Il 24 aprile il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha firmato il pacchetto da 95 miliardi di aiuti militari a lungo bloccato al parlamento statunitense, di cui 61 formalmente destinati all’Ucraina.
In realtà solo 15 serviranno per acquistare armi da inviare in Ucraina (foraggiando ovviamente l’apparato militare-industriale di Washington) ma si tratta comunque di una grossa boccata d’ossigeno per Kiev che da mesi attendeva con ansia che il Pentagono riprendesse le consegne di armi al suo esercito sempre più sfiancato e alle prese con una cronica mancanza di munizioni.
L’avanzata russa prosegue
Le consegne di armi (anche a lunga gittata) e munizioni statunitensi sono riprese immediatamente ma con il contagocce, sortendo finora scarsi effetti sul campo. Nelle ultime due settimane, infatti, le truppe russe hanno continuato ad avanzare e a conquistare territori soprattutto nell’Ucraina orientale, impossessandosi di una decina di villaggi e cittadine. La perdita di Chasiv Yar, strategica cittadina dell’oblast di Donetsk nel frattempo ridotta in macerie, sembra inoltre inevitabile.
I comandi militari ucraini continuano a temere che la sostenuta pressione militare russa degli ultimi mesi si tramuti improvvisamente in una possente offensiva concentrata su alcuni dei punti più deboli di un fronte che sembra sul punto di cedere. I bombardamenti di Mosca sulle infrastrutture militari ed energetiche non sono mai calati di intensità e continuano a mettere in seria difficoltà le retrovie ucraine. Al fronte le cose non vanno meglio, con le unità di Kiev costrette a indietreggiare per evitare l’annientamento, bersagliate dall’artiglieria e dai droni russi.
Le sortite ucraine, con i droni o i missili a lunga gittata lanciati in profondità nel territorio russo a colpire le infrastrutture o le città, non sembrano impensierire più di tanto Mosca e sicuramente, al momento, non riescono a indebolire il meccanismo offensivo russo.
Quest’ultimo sembra puntare alla conquista di Sloviansk e Kramatorsk, le due maggiori città del Donetsk ancora sotto controllo ucraino, per poi proseguire fino alla sponda orientale del fiume Dnepr. Allo scopo i russi starebbero costruendo una base aerea nell’area di Belgorod, a circa 70 km dal confine.
Il fronte è sul punto di cedere?
Da più parti si segnala il rischio imminente di un cedimento del fronte. Gli inviati dell’agenzia di stampa Reuters, che seguono la 93ª Brigata meccanizzata ucraina, testimoniano che «le forze ucraine si sono assottigliate e si trovano in inferiorità di armi, di fronte a un nemico meglio equipaggiato».
La ritirata continua delle prime linee ucraine mette a dura prova gli apparati logistici e i rifornimenti destinati alle truppe, così come la realizzazione delle infrastrutture difensive che vengono spesso bypassate dai russi prima ancora di diventare del tutto operative. Nel frattempo, Kiev ha dovuto ritirare dal fronte 31 carri armati statunitensi Abrams che si sono rivelati troppo vulnerabili agli attacchi dei droni da bombardamento russi.
In questo quadro, il pacchetto di aiuti statunitensi potrebbe essere sufficiente solo a evitare il completo collasso ucraino, ma non a imprimere alla situazione un’inversione di tendenza, almeno non nei prossimi mesi. «La situazione al fronte è peggiorata» ha riconosciuto nei giorni scorsi il capo dell’esercito ucraino, Oleksandr Syrskyi, subentrato l’8 febbraio al generale Valery Zaluzhny. Quest’ultimo, inviso al presidente Zelensky, è stato ora del tutto esonerato dalle forze armate con un decreto ad hoc che giustifica la misura con presunti “problemi di salute”.
Kiev mobilita i detenuti
Le consegne di aiuti statunitensi procedono a rilento e comunque le truppe ucraine scontano parecchi mesi di razionamento delle munizioni, oltre a una cronica mancanza di ricambi nonostante l’approvazione, da parte della Rada, dei provvedimenti diretti ad allargare la coscrizione obbligatoria. Ora, nel tentativo di rimpinguare le prime linee, il parlamento di Kiev ha approvato mercoledì un disegno di legge sulla mobilitazione volontaria dei detenuti, che però esclude coloro che sono stati condannati per reati gravi. Agli altri, se si arruoleranno, i tribunali potranno concedere la condizionale. Il governo di Kiev ha anche chiesto agli alleati europei di “incoraggiare” i rifugiati ucraini a tornare in patria per combattere.
Si combatte in vista del negoziato
Kiev sta tentando in ogni modo di frenare l’avanzata russa, cosciente che presto o tardi dovrà intavolare serie trattative con Mosca e accettare dei duri compromessi. Ormai, che i due eserciti stiano combattendo in vista di una trattativa alla quale giungere nella posizione più favorevole possibile, viene riconosciuto pubblicamente anche dall’establishment ucraino.
Lo ha fatto, ad esempio, il generale Vadim Skibitski, vice direttore dell’intelligence militare ucraina (Gur), in un’intervista al settimanale britannico “The Economist”. Secondo Skibitski, però, negoziati realmente significativi potrebbero iniziare solo nella seconda metà del 2025. A meno che l’esercito russo – che per il vice direttore del Gur opera ora «come un corpo unico, con un piano chiaro e sotto un unico comando» – non riescano nelle prossime settimane a sfondare in profondità nel territorio ucraino.
Secondo il generale Skibitski, la Russia si sta preparando per un assalto contro le regioni di Kharkiv e Sumy, nel nord est del Paese, e l’offensiva potrebbe iniziare tra fine di maggio e inizio di giugno.
Macron: “servono truppe Nato”
Il netto squilibrio delle forze e la possibilità di un crollo del fronte orientale ucraino sembrano preoccupare soprattutto la Francia, il cui presidente Macron continua da mesi a evocare la necessità di un intervento militare occidentale sul campo per impedire che le truppe di Mosca dilaghino nel paese invaso.
L’inquilino dell’Eliseo è tornato nei giorni scorsi a ribadire, in un’intervista sempre a “The Economist”, che un invio di truppe in Ucraina non è escluso nel caso in cui la Russia dovesse «bucare le linee del fronte» e nel caso in cui «Kiev lo richiedesse». Macron, che sembra cercare un rischioso protagonismo francese nel momento in cui l’impegno statunitense a sostegno di Kiev sembra ridimensionarsi, ha affermato che scartare a priori l’ipotesi di un intervento militare diretto occidentale «significa non trarre insegnamento dagli ultimi due anni», durante i quali i paesi della Nato hanno inviato a Kiev sistemi d’arma che inizialmente avevano escluso.
Nessun altro capo di stato dell’Alleanza Atlantica – esclusi i baltici – ha dato corda a Macron, e anzi in molti si sono affrettati a giurare alle proprie opinioni pubbliche che nessun soldato europeo metterà piede in Ucraina.
Intanto però, nel corso di una visita a Kiev, il ministro degli esteri britannico David Cameron ha promesso un invio rapido dei potenti missili Storm Shadow con una gittata di 500 km, affermando che l’Ucraina gode del consenso di Londra per attaccare obiettivi all’interno del territorio russo.
Russia e Bielorussia testano l’arsenale nucleare tattico
Vladimir Putin, che ha appena iniziato il suo quinto mandato alla guida della Federazione Russa, ha voluto reagire ricordando che i paesi europei potrebbero pagare molto caro un coinvolgimento diretto nel conflitto.
La Russia ha avvisato che «si sente obbligata» a rafforzare il deterrente nucleare a causa di quella che considera una “escalation”, ha detto ieri il vice ministro degli Esteri di Mosca Sergei Ryabkov.
Già lunedì il Cremlino aveva annunciato l’avvio a breve di una serie di esercitazioni, che coinvolgeranno Marina e Aviazione, all’uso delle armi nucleari tattiche nei pressi del confine con l’Ucraina. Subito dopo, anche l’esercito bielorusso ha avvisato di aver avviato un’esercitazione per verificare il grado di “preparazione” dei suoi lanciatori tattici dei missili a testata nucleare schierati nel paese da Mosca nel 2023.
Intanto l’Unione Europea ha deciso, dopo un lungo dibattito interno, di utilizzare i proventi derivanti dai capitali russi sequestrati nella primavera del 2022 per finanziare lo sforzo bellico ucraino. Secondo i rappresentanti dei 27 membri dell’UE riuniti a Bruxelles, gli asset della Banca Centrale della Federazione Russa requisiti – per un valore di circa 210 miliardi di euro – dovrebbero generare dai 2,5 ai 3 miliardi di euro l’anno. Gli USA chiedevano invece la completa confisca dei beni russi congelati.
10/05/2024
da Pagine Esteri