ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

Ucraina, la deterrenza armata non prepara la pace

Ucraina, la deterrenza armata non prepara la pace

Commenti

18/12/2025

da Il manifesto

Marco Bascetta 

Riarmo Domina il tema del riarmo. Ma il vero "deterrente" è o quando i governati chiamati in guerra rovesciano i governanti, o quando si rifiutano di pagare i costi della sua preparazione

La minaccia russa i cui contorni, le cui motivazioni, le cui chance geopolitiche e le cui effettive capacità operative nessuno si sente mai in dovere di illustrare, sembra essere diventata, oltre che un atto di fede, l’unico oggetto di discussione tra i leader dell’Unione europea.

Una realtà politica sempre più vicina a quella “Europa delle nazioni” che da anni rappresenta la bandiera delle destre estreme.

Quale sia il quadro alla vigilia del Consiglio europeo di oggi è facilmente riassumibile in poche righe. L’Unione in storico deficit di soggettività politica cerca, inascoltata dai protagonisti che contano, i russi e gli americani, di ritagliarsi un ruolo nelle trattative di pace e nella spartizione della ricostruzione postbellica dell’Ucraina sposando «fino in fondo», ma con mezzi insufficienti e senza unanimità reale, la causa di Zelensky. La retorica dice: solo l’Ucraina è legittimata a decidere del futuro dei propri territori. La realtà dice: Kiev deciderà i suoi confini con la pistola di Trump puntata alla tempia e la Ue non potrà che adeguarsi. Davvero un luminoso esempio di autodeterminazione.

Washington ha chiaramente scelto i suoi alleati nel Vecchio continente: le destre nazionaliste impegnate a smantellare la dimensione sovranazionale del progetto europeo, non da oggi invisa agli Stati uniti. Bruxelles, sempre più sbilanciata a destra, rifiuta di prenderne atto e soprattutto di riconoscere nel depotenziamento dell’Unione europea un evidente interesse comune della Casa bianca e del Cremlino. Trump punta, senza del resto farne mistero, alla destituzione della zoppicante maggioranza di centrosinistra che governa a Bruxelles e che però, qualunque cosa accada, qualunque insulto riceva non smette di ossequiarlo, di rivendicarne l’amicizia e di piegarsi nella sostanza a tutte le prescrizioni americane.

L’Europa farà dunque da sola, ma soprattutto attraverso le singole nazioni che la compongono, quello che Washington desidera.

Non vi è infatti la minima traccia sul versante europeo, in risposta agli attacchi di Trump, di uno speculare tifo per le opposizioni statunitensi che pure, da New York alla Florida, lentamente riprendendosi dal KO delle presidenziali, hanno dato segni di nuova vitalità. Sullo scontro che attraversa gli Stati uniti i vertici della Ue si guardano bene dal proferire verbo. Chiunque occupi la Casa bianca è il solo legittimo interlocutore, anzi è l’America tout court.

Nelle cancellerie europee si ragiona come se le politiche trumpiane fossero eterne e immutabili e il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico, se non per sempre almeno per un tempo molto lungo, quello imposto dall’attuale inquilino della Casa bianca. Che non ha nulla a che vedere con un ritiro isolazionista degli Usa, ma piuttosto con una nuova insidiosa forma di egemonia fondata sul ricatto.

L’argomento che domina il dibattito europeo e al quale tutto il resto viene sacrificato, dal welfare alla transizione verde, è il riarmo e il sostegno bellico e postbellico all’Ucraina, nonché le sue forme di finanziamento che ruotano intorno all’utilizzo dei capitali russi congelati in Europa. Ovverosia a qualcosa che nel mondo del capitalismo finanziario, quello in cui viviamo, equivale a un imperdonabile sacrilegio gravido di temibili conseguenze. I governi europei ripetono comunque in coro che la pace si ottiene solo con la deterrenza, costi quel che costi il riarmo necessario.

La guerra in Ucraina è una drammatica realtà, ma anche un’occasione per mascherare dietro l’esibizionismo muscolare la precaria sussistenza di deboli governi europei in grave deficit di legittimazione popolare e di prospettiva politica. Nonché pretesto per diverse rese dei conti: tra l’est e l’ovest dell’Unione europea, tra integrazione sovranazionale e nazionalismo, tra l’Unione europea e gli Stati uniti, tra i profitti dell’industria (rilanciata in versione bellica) e la spesa sociale.

Queste contrapposizioni, che i governi cercano di occultare con la favola pietosa dello scontro tra democrazie liberali e autocrazie, peraltro travolta dalla sconveniente figura di Donald Trump e dalle sue intemerate, si manifestano con sempre maggiore evidenza.

A raccoglierne il valore conflittuale, più che le traballanti formazioni politiche rappresentate nelle istituzioni della Ue, potrebbero candidarsi movimenti, corpi intermedi, forze sindacali ed extraparlamentari, renitenti e disertori capaci di guardare oltre la logica oppressiva delle nazioni e la sfera irraggiungibile della geopolitica.

Per dirla in maniera un po’ enfatica e che nelle attuali circostanze suona piuttosto surreale, la pace non si fa con la deterrenza (l’unica che fino a un certo punto ha funzionato è quella nucleare) ma con le rivoluzioni. E cioè quando i governanti vengono rovesciati dai governati chiamati a partire per la guerra. O, meno drammaticamente, quando i cittadini si rifiutano di pagare i costi della sua preparazione “deterrente”.

share