Alla fine è arrivato l’annuncio ufficiale, che tutti i commentatori si aspettavano da giorni. Il Presidente Zelensky ha licenziato il capo delle forze armate ucraine, generale Valery Zaluzhny, e lo ha sostituito con il comandante che aveva difeso Kiev nelle prime fasi dell’invasione russa, Oleksandr Syrsky.
«È il generale più esperto del Paese», ha detto Zelensky commentando la nomina, «e gli ha chiesto un piano d’azione realistico e dettagliato per il 2024, che tenga in considerazione la situazione reale sul campo di battaglia e le prospettive future».
Situazione reale e prospettive future
Chi è che prima ‘raccontava favole’, illudeva? La politica o i generali. Forse Zelensky del troppo ottimismo, ha deciso, o lo ‘hanno aiutato a decidere’ di cambiare registro. In molti pensano che Syrsky, oltre a essere indubbiamente molto capace, abbia anche un’altra qualità, assolutamente indispensabile, specie di questi tempi: «è amico degli americani». Nel senso che va d’accordo con i generali del Pentagono e, diciamo, che condivide con loro tattiche e possibili strategie. L’anno scorso, durante l’offensiva di Kherson, ha avuto un gran successo, guadagnandosi l’apprezzamento dei potenti alleati. Quest’anno, però, è rimasto impantanato nel fango delle trincee, come tutti gli altri comandanti che hanno guidato una controffensiva ucraina fallimentare.
Fallimenti sempre senza padri
Le colpe? A leggere come stanno andando i fatti, pare che le stiano scaricando tutte sulle spalle di Zaluzhny. A cominciare proprio dagli strateghi militari della Casa Bianca che, non solo forniscono le armi, ma dietro le quinte spiegano anche quando e come usarle. E, recentemente, il Washington Post, ha dedicato un report all’argomento, per spiegare come negli Usa, non fossero propriamente soddisfatti delle tattiche seguite sul campo di battaglia da Valery Zaluzhny. Che, dopo un iniziale attacco in massa contro le munitissime trincee russe, si era rifiutato di continuare a mandare le sue truppe al massacro in ripetuti assalti frontali. Sconfessando una tattica che aveva fatto riguadagnare all’Ucraina solo pochi chilometri di territorio, ma che era costata migliaia e migliaia di morti.
Rivoluzione interna ancora in corso, attendere l’esito finale
Certo, nulla avviene per caso. Tutto il fronte diplomatico e geopolitico, legato alla guerra in Ucraina, è in movimento. E tutto avviene in sincronia, quasi a orologeria. Così, la notizia del siluramento ufficiale di Zaluzhny, arriva mentre il governo ucraino aumenta le sue pressioni internazionali per ottenere maggiori aiuti finanziari. O, almeno, per riuscire a incassare quelli che gli erano stati promessi.
La maschera di un Putin vincente
Ieri, uno dei maggiori aiutanti di Zelensky, Mikhailo Podolyak, ha detto che ormai Kiev è costretta a fare una guerra sbilanciata, che potrebbe consentire a Putin di far girare rapidamente dalla sua parte l’equilibrio del confronto. «Siamo a corto di munizioni – ha detto Podolyak – e mentre i russi sparano 10 mila colpi d’artiglieria al mese, noi ci dobbiamo fermare a usarne tra 1500 e 2500». La stessa cosa vale per i missili e per le altre attrezzature. Il motivo è semplice e lo identifica il britannico Guardian, dedicando la sua apertura all’argomento: «Il fallimento dei finanziamenti statunitensi avrà gravi conseguenze sul campo di battaglia, afferma l’Ucraina».
Ucraina troppo onerosa
E si torna al punto di partenza. L’Occidente a bandiera Usa non più in grado di mantenere gli onerosi impegni presi con il governo di Kiev, quando lo si è incoraggiato ad andare avanti con la guerra. Cosciente di questa situazione, Podolyak mette il dito nella piaga: «Stiamo assistendo a elezioni americane molto difficili – dice l’adviser di Zelensky – forse le più conflittuali di sempre. E vediamo entrambe le parti che si contendono posizioni di partenza complicate. Purtroppo la politica estera è diventata ostaggio della politica interna». Evidentemente, Podolyak si riferisse al travagliatissimo iter parlamentare che riguarda gli aiuti americani all’Ucraina, una matassa difficile da sbrogliare. Forse anche loro con qualche problema politico di casa ancora seminascosto.
Ucraina all’americana
Intorno a questi 61 miliardi di dollari promessi e bloccati al Congresso si è scatenata una ‘tempesta perfetta’, sulla quale insistono diversi altri potenti fattori: gli aiuti a Israele, le nuove leggi anti-immigrazione, lo scontro all’ultimo sangue tra Democratici e Repubblicani e, addirittura, le violente lotte fratricide all’interno di questi due grossi partiti. Tutto questo sullo sfondo di un unico potente ‘attrattore’: cioè le elezioni presidenziali di novembre e lo scontro (prevedibile) tra Biden e Trump. Così, gli ucraini si sono improvvisamente trovati stritolati in una macchina infernale più grande di loro. E cercano disperatamente di venirne a capo.
Ucraina illusa e disillusa e l’ombra di Trump
Gli ucraini non possono dire più di quello che stanno dicendo, perché finora Trump si è espresso per il ‘no’ ai finanziamenti. Ma potrebbe essere solo una manovra elettorale. Nessuno lo sa. Come nessuno sa quello che capiterà in America da qui a 10 mesi. Una situazione grottesca, in cui il centro di gravità del mondo, l’alfiere della ‘unipolarità’, in questo momento dispensa solo incertezze, sconcertando non solo l’Ucraina ma anche tutto il pianeta.
Ieri, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha scritto un articolo, per il Wall Street Journal, sulla guerra in Ucraina. Beh, più che un’opinione sembra lo sfogo di uno statista frustrato, che si rivolge all’America, incitandola col solito mantra: Putin dev’essere battuto, ma non dalla Nato. Dagli ucraini. Che vanno sostenuti e aiutati, perché, in fondo, combattono (e muoiono) pure per noi. Comodo, no?
09/02/2024
da Remocontro