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UE-Von der Leyen sotto i colpi di Trump questa volta scricchiola

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Quello raggiunto tra Donald Trump e Ursula Von der Leyen, sulle tariffe doganali, più che un accordo sembra un mezzo ricatto. Non tanto e non solo per i molto vaghi contenuti dell’intesa, ma anche e soprattutto per le sue imprevedibili ripercussioni sul terreno squisitamente politico.

Rapporti di forza

Dal punto di vista dei rapporti di forza diplomatici, il Presidente americano ha indubbiamente messo a nudo gli attuali limiti dell’Unione. Un blocco che, alla prova dei fatti, nei momenti cruciali della sua storia, tende immancabilmente a sgretolarsi, faticando a trovare una strategia comune veramente condivisa. La guerra dei dazi con Trump è una di tali occasioni, in cui i Paesi del Vecchio continente avanzano in ordine sparso, ognuno prigioniero del proprio prioritario interesse nazionale. Il piano elaborato da Trump è semplice e brutale nello stesso tempo: l’alleanza con gli Usa non è gratis. Si paga. E la sicurezza dell’Europa resta nelle mani di Washington, specie in un’epoca di (molto presunte) minacce in arrivo dalla Russia. Così, se le tariffe “all around” scendono al 15 per cento (il che è già una bella botta), quelle per l’alluminio e per l’acciaio restano intatte (al 50%), ma soprattutto Bruxelles si impegna a spendere negli Stati Uniti almeno 750 miliardi di dollari l’anno in carburanti (fossili) e a investirne altri 600 in impianti e beni ad alta tecnologia.

5% Nato e poi armi americane

E indovinate quali potrebbero essere questi beni “ad altissimo valore aggiunto” e di ultima generazione? Probabilmente saremo obbligati a rifornirci di armi. Grati per essere stati malmenati solo a metà, la Von der Leyen e i suoi ‘adviser’ si stanno sforzando di presentare l’accordo raggiunto con Trump come una specie di «vittoria della moderazione». Nel senso che, finora, l’Europa aveva chiacchierato assai di possibili rappresaglie, ma nei fatti, non aveva mosso un dito. Qualcuno dice perché si sperava nel tradizionale voltafaccia trumpiano (che in parte c’è stato); qualche altro invece, più velenosamente, sostiene che c’era così tanta discordanza, nella Commissione, che alla fine si è deciso di non fare niente. E di attendere gli eventi. Ma con l’avvicinarsi delle scadenze, anzi degli ultimatum posti da Trump, si è scelto di aderire al “piano B”: cioè, ingoiare il pillolone rappresentato dal parziale “taglio” delle tariffe, accompagnato però da tutta una serie di pesanti “bonus”, dal sapore vagamente neocolonialistico.

27 conti in tasca: Germania e Italia

Le reazioni sono state sia tecniche che politiche e, in alcuni casi, di tono molto duro, specie pensando al fatto che gli inglesi, per “scippare” il loro 10 per cento, non hanno dovuto genuflettersi come invece ha fatto l’Unione. Hanno cominciato i tedeschi, che si proclamano come “i più colpiti”. «Miliardi di danni all’economia tedesca a causa dell’accordo con gli USA», titola il quotidiano Handelsblatt. «Calcoli esclusivi mostrano che l’accordo rallenterà la crescita in Europa. Il Kiel Institute for the World Economy (IfW) ha calcolato gli effetti a breve termine sul prodotto interno lordo (PIL) in esclusiva per Handelsblatt. Secondo lo studio – scrive il giornale – i dazi generali del 15% e del 50% su acciaio e alluminio si tradurranno in una riduzione dello 0,15% del PIL in Germania entro un anno. Ciò comporterebbe una perdita di circa 6,5 miliardi di euro. Per l’UE nel suo complesso, la perdita è dello 0,1%. La Francia, con una perdita del PIL dello 0,01%, e l’Italia, con una perdita dello 0,02%, sono meno colpite». Certo, un calcolo negativo totale diventa difficile, anche perché l’intesa su alcuni punti è vaga e può consentire interpretazioni, “estensive” o “restrittive”. C’è, per esempio, l’impegno di Bruxelles a ridurre determinati dazi doganali in entrata, come quelli sulle auto e sui prodotti agricoli statunitensi. Ma con Trump, si sa non si può mai essere sicuri di niente.

Rischio di altre sorprese. Francia feroce

Così, con l’accordo ancora “caldo”, già ieri sera si parlava di possibili “sorprese”, nei prossimi giorni, nel delicato settore dei prodotti farmaceutici. Per ora, comunque, si prevedono “tariffe zero” per componenti per l’aviazione, prodotti chimici, farmaci generici, apparecchiature a semiconduttore, prodotti agricoli e alcune materie prime essenziali. Reazioni negative, quasi feroci, alla firma dell’accordo sui dazi, si sono avute anche al più alto livello in Francia. «È un giorno buio quando un’alleanza di popoli liberi, riuniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi», ha scritto il Primo ministro François Bayrou su X. L’accordo commerciale raggiunto all’ultimo minuto dalla Commissione Europea – scrive Le Figaro – non sta chiaramente convincendo Parigi. Lunedì, il Primo ministro ha risposto con il messaggio sinistro pubblicato sul social network X. François Bayrou non è l’unico ad aver accolto freddamente l’accordo: da parte parigina, la soddisfazione non è giustificata. «È un accordo che porta stabilità, ma che rimane sbilanciato», ha lamentato Marc Ferracci, Ministro dell’Industria e dell’Energia, a RTL. «Gli Stati Uniti hanno deciso di imporre con la forza una nuova legge della giungla», ha aggiunto il suo collega, il delegato al Commercio Estero, Laurent Saint-Martin. «Se gli europei non si svegliano, le difficoltà degli altri sembreranno del tutto relative di fronte al nostro disimpegno», ha avvertito il Ministro delegato per l’Europa, Benjamin Haddad.

Colpo economico di natura politica

Il problema principale del “patto” tra Trump e la Von der Leyen, è nella sua natura ibrida, dove si mischiano interessi commerciali a obiettivi più chiaramente politici. E proprio la sua vaghezza può consentire al Presidente Usa di fare ciò che gli riesce meglio: tenere sempre i suoi avversari sulla corda, cambiando continuamente idea. Scrivono gli specialisti di Handelsblatt: «Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump rimane una forza imprevedibile nelle relazioni transatlantiche, soprattutto in politica commerciale. Per anni ha criticato il deficit commerciale degli Stati Uniti con l’UE e ha definito Bruxelles ‘più malvagia della Cina’. Rifiuta gli accordi multilaterali, preferendo invece ‘relazioni transazionali’ bilaterali, in cui il vantaggio nazionale a breve termine prevale sulle regole collettive e sulla stabilità a lungo termine. Nel breve termine, potrebbe accontentarsi e spacciare l’accordo per un successo ai suoi sostenitori. Ma a lungo termine – conclude il giornale tedesco – con Trump non ci sono garanzie. Tutti gli accordi precedenti – con Cina, Vietnam, Gran Bretagna o Filippine – sono stati intenzionalmente conclusi su scala molto limitata. La strategia di Trump è quella di usare l’incertezza come leva di potere. L’ex capo negoziatore di Trump, Michael Beeman, ha recentemente avvertito con enfasi che un accordo con Trump non è mai definitivo: tutto può essere rivisto, in qualsiasi momento».

Mai fidarsi di Donald Trump

  • Altri punti deboli del “patto” sono di natura costituzionale. La Corte suprema Usa potrebbe intervenire per invalidare alcuni degli ordini esecutivi di Trump in materia di dazi doganali. E si dovrebbe così ricominciare tutto l’iter daccapo. Infine, c’è chi sostiene che proprio il carattere del documento siglato, molto generico, consentirà a Trump di rimangiarselo in qualsiasi momento. Qualche uccellino ha già cominciato a cantare: tra un po’ di tempo ripartirà all’assalto, mettendo dazi aggiuntivi, balzelli e gabelle su farmaci e semiconduttori. Alla prossima luna

29/07/2025

da Remocontro

Piero Orteca

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