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Un Consiglio vuoto, Europa appiattita su Stati uniti e Israele

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Ue. Un Consiglio europeo che non riesce a decidere praticamente nulla, piuttosto rimanda. Sulla difesa comune, si limita a registrare le decisioni prese all’Aja dal vertice Nato

Un Consiglio europeo che non riesce a decidere praticamente nulla, piuttosto rimanda. Sulla difesa comune, si limita a registrare le decisioni prese all’Aja dal vertice Nato. Sull’accordo di associazione Ue-Israele, rinvia ancora, dopo mesi di tira e molla, tra le proteste di chi come il premier socialista spagnolo Sánchez, denuncia un immobilismo sempre più imbarazzante, se non colpevole. L’unica parola chiara che il consesso dei leader riesce a pronunciare è quello sulla Russia, dando il via libera al 18esimo pacchetto di sanzioni con un accordo tra 26. E a margine del Consiglio, l’iniziativa guidata da Meloni, con i primi ministri di Danimarca e Paesi Bassi per una nuova stretta sui rimpatri, a cui si sono uniti altri undici paesi, compresa la Germania del cancelliere Merz.

                                 

I DAZI – IL PROBLEMA più pressante per l’Ue, guerra escluse – non sono neppure in agenda e dunque non finiscono nel testo scritto delle conclusioni. «Il presidente Costa ha voluto tenere il punto per cena, in modo che la discussione sia più libera», spiega un diplomatico. E sì che mancano pochi giorni al 9 luglio, data finale per trovare un accordo con Washington sui dazi. Dopo l’ipotesi, ventilata nei giorni scorsi di accettare un’imposizione del 10% per l’export Ue da parte degli Usa, il negoziato potrebbe complicarsi di nuovo. Complice l’opt-out di Madrid rispetto al 5% di Pil in spese militari e la minaccia di Trump di imporre dazi a parte proprio verso la Spagna. Dagli ambienti Ue informati della trattativa trapela una evidente preoccupazione, rispetto a una mossa che Washington sarebbe in diritto di decidere (mentre non varrebbe al contrario da un paese europeo verso beni e servizi Usa). L’indicazione di massima è che in questo caso si farebbe quadrato intorno alla Spagna. Ma le modalità e gli strumenti sono ancora tutti da decidere.

Il punto più divisivo del summit rimane l’atteggiamento dell’Europa verso Israele. Al suo arrivo a Bruxelles, il premier spagnolo Sánchez invoca la «sospensione immediata» dell’accordo di associazione Ue-Israele, dopo che un’indagine condotta dalla responsabile Esteri Ue Kaja Kallas ha accertato le violazioni dei diritti umani a Gaza e in Cisgiordania. La richiesta del leader della sinistra europea però cade nel vuoto. Nelle conclusioni, il Consiglio si limita a «prendere atto» del rapporto sulle violazioni dei diritti umani da parte di Tel Aviv. Poi il testo glissa e ripropone l’estenuante formula con cui invita a «continuare le discussioni». Si apprende infine che il presidente Costa si impegnerà a proporre misure sulle violazioni a Israele nel prossimo Consiglio Esteri di luglio. Forse è qualcosa, ma comunque un altro rinvio.

A PUNTARE IL DITO contro l’immobilismo di Bruxelles sul Medio Oriente, rimangono i capi di governo di Dublino e Lubiana. «I cittadini europei trovano incomprensibile che l’Europa non sembri in grado di fare pressione su Israele e di fare leva per fermare questa guerra a Gaza e il continuo massacro di bambini e civili innocenti», accusa il premier irlandese. «A meno che l’Ue non faccia qualcosa di concreto oggi o nel giro di due settimane, ogni Stato dovrà fare i prossimi passi da solo», propone il premier sloveno Robert Golob, in modo da «fare pressione reale sul governo israeliano».

L’INIZIATIVA SLOVENA, i cui contorni restano da definire, si basa sull’amara considerazione che «alcuni importanti stati membri, hanno deciso di dare priorità ai propri interessi e non ai diritti umani del popolo palestinese». L’urgenza di schierarsi con le vittime dello sterminio nella Striscia era arrivata anche dalla sinistra dello schieramento politico europeo. Per la leader del gruppo S&D, la spagnola Iratxe García Pérez «l’Europa non può rimanere in silenzio, il Consiglio deve decidere». Sempre da Bruxelles, la leader Pd Elly Schlein aveva chiesto, in aggiunta, l’embargo totale del commercio di armi con Israele e sanzioni al governo Netanyahu. Tra l’altro, la delegazione dem è numericamente la prima all’interno del gruppo socialista all’Eurocamera, anche se la presidenza è espressa dalla componente iberica, sostenuta dal premier Sánchez. E la posizione dei socialisti segnala plasticamente la sofferenza del gruppo, in questi giorni già ai ferri corti con von der Leyen per i continui passi indietro sul Green Deal.

IN SERATA, INFINE, via libera alla dichiarazione in favore di Kiev e all’invito ad adottare il 18esimo pacchetto di sanzioni alla Russia. L’ok dei leader a questo capitolo arriva da 26 paesi su 27, con l’opposizione – scontata – del premier ungherese Viktor Orbán. L’approvazione formale però spetta ai ministri dei governi europei. Nella riunione degli ambasciatori oggi, la Slovacchia chiede una risposta sul gas russo che continua utilizzare. «Sennò facciamo saltare tutto», minaccia il premier Fico.

27/06/2025

da Il Manifesto

Andrea Valdambrini

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