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Un ‘Muro di droni’: e l’Europa diventa Fort Apache

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Politica Estera

28/09/2025

da Remocntro

Piero Orteca

I recenti avvistamenti di misteriosi velivoli senza pilota, su alcuni aeroporti danesi e in Norvegia, hanno accelerato la decisione (già presa, pre-finanziata e politicamente digerita) di erigere, sul ‘limes orientale’ dell’Unione, un apparato di difesa, pomposamente definito da Ursula Von der Leyen, ‘muro di droni’.

I piani di guerra Von der Leyen

Il progetto è stati entusiasticamente annunciato durante il discorso sullo ‘Stato dell’Unione’, tenuto dalla Presidente della Commissione all’inizio del mese.  Esso fa intravedere, sollevando anche serie preoccupazioni, in che direzione si muovano i programmi di spesa di Bruxelles, spostando risorse dai settori sociali a quello militare. Ora, guarda caso, proprio a una settimana dalla riunione dell’EUCO (Consiglio Europeo), che si dovrà tenere giusto a Copenaghen (la Danimarca ha la Presidenza UE semestrale) si alza ulteriormente e improvvisamente la tensione con Mosca. Ieri, si è svolta una riunione preliminare, di preparazione al supervertice, nel quale verrà definito l’ambizioso e costosissimo progetto «Drones Wall». All’incontro, coordinato dal Commissario europeo per la Difesa, il lituano Andrius Kubilius, hanno partecipato una decina di Stati dell’Europa centro-orientale, oltre a un ospite ormai fisso: l’Ucraina. Infatti, per quello che si è potuto capire, sarà proprio la tecnologia bellica di Kiev a essere ‘esportata’ e impiegata massicciamente per la produzione dei droni dell’Unione. Insomma, business is business, perché la guerra, come sempre, diventa una buona occasione per fare affari. «Kubilius – scrive il britannico Guardian – ha affermato che un muro di droni, per proteggersi dalle incursioni aeree, è una priorità immediata e un elemento fondamentale delle difese del fianco orientale del blocco. Ha poi detto che è urgente disporre di un sistema di rilevamento efficace, che comprenda radar e sensori acustici, nonché capacità di intercettare e distruggere i droni. Il Commissario ha inoltre riconosciuto il potenziale squilibrio nei costi della difesa contro i droni. ‘Se si utilizzano missili aria-aria del proprio aereo da caccia per colpire il drone – ha chiarito – allora si sta utilizzando… un missile che costa 1 milione di dollari per distruggere il drone che ne costa solo 10 mila».

Kiev al centro di un giro di affari

La Commissione ha invitato anche il Ministro della Difesa ucraino, Denys Shmyhal, a partecipare al vertice dei cosiddetti ‘Paesi in prima linea’ coordinato da Kubilius. Il motivo, ufficializzato da Bruxelles, era quello di informarsi sul know how bellico di Kiev e di studiare eventuali forme di collaborazione. Presenti anche funzionari e tecnici della Nato. Secondo il think tank Euractiv, il consigliere presidenziale ucraino Alexander Kamyshin ha dichiarato che i produttori del Paese possono realizzare oltre 5 milioni di droni con visione all’anno, in grado di fornire agli operatori una copertura video dettagliata. «L’Ucraina è molto più avanti di tutti i Paesi europei della Nato in termini di tecnologia dei droni e in particolare anti-droni», ha sostenuto a questo proposito Carlo Masala, direttore del Centro per gli studi di intelligence e sicurezza presso l’Università della Bundeswehr di Monaco. L’esperto ha previsto che «i produttori di droni ucraini potranno fornire il loro know-how per mitigare le tecnologie di jamming e spoofing (contromisure elettroniche n.d.r.) impiegate dalla Russia».

Da dove arriveranno i finanziamenti?

Naturalmente, i faraonici piani di riarmo europei hanno urgente bisogno di capitali per essere realizzati. Quelli relativi al ‘Muro dei droni’, poi, si riveleranno particolarmente costosi, data l’estensione dei confini che dovrebbero sorvegliare. Fonti specializzate ucraine, secondo studi fatti e relativi solo ai 900 chilometri che interessano la Lituania, parlano della stratosferica cifra di almeno 3 milioni di droni, necessari per garantire una buona impenetrabilità dello spazio aereo in quella regione. Se poi si guarda sommariamente alle cartine geografiche, ci si renderà conto che, per l’intero continente, questa cifra va moltiplicata almeno per cinque. Dunque, quindici milioni di droni, ai quali bisogna aggiungere le spese di gestione e utilizzo. Sembra una barzelletta, ma è la realtà incontrovertibile dei fatti. Euractiv scrive: «I capitali potrebbero sostenere il Muro dei droni attraverso i prestiti SAFE (Security Action For Europe) da 150 miliardi di euro, stanziati per 19 Paesi, e attingere al Programma EDIP (European Defence Industry Programme) da 1,5 miliardi di euro». Ma è chiaro che stiamo parlando delle briciole, rispetto agli impegni di spesa previsti, se l’escalation del confronto con la Russia dovesse continuare con i ritmi delle ultime settimane. Un altro modo per Kiev di partecipare all’iniziativa di finanziamento – suggerisce Euractiv – sarebbe quello di avviare la produzione nell’UE. A giugno, la Danimarca ha firmato un accordo con Kiev affinché le aziende di difesa ucraine aprano linee di produzione nel Paese, a partire da un investimento di 1, 4 miliardi di euro. Inoltre, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato che il suo Paese revocherà il divieto di esportazione di armi introdotto dopo l’invasione russa, il che potrebbe consentire l’esportazione di droni di fabbricazione ucraina». L’obiettivo è quello di delocalizzare la produzione di armi ucraine da esportare in Europa, perché produrle su licenza in Germania o in Romania eviterebbe di vedersi bombardare gli impianti dai russi.

Ma la vera partita è un’altra

Parliamoci chiaro: al prossimo vertice EUCO di Copenaghen, la discussione sul ‘Muro dei droni’ rappresenterà solo l’antipasto di un confronto molto più serrato sulla guerra in Ucraina. Dove la domanda principale sarà: chi paga? Si, perché la strada è ormai tracciata e in diversi governi europei hanno ripreso fiato i sostenitori della soluzione militare. Nelle segrete stanze, tra gli esperti di strategia, nessuno crede seriamente che Putin abbia la forza o la voglia di attaccare l’Europa. No, il gioco è più sottile e mette nello stesso calderone le foie tardo imperialistiche di una Russia alla ricerca dell’identità perduta e una profonda crisi di sistema delle democrazie postindustriali occidentali. Insomma, la guerra in Ucraina, politicamente parlando, è un comodo alibi per tutti. Perché maschera le magagne di classi dirigenti inette, di scarsa qualità, incapaci di interpretare i reali bisogni della gente. Quindi, la lingua batte dove il dente duole e si finisce per parlare sempre di soldi. Ma, in un periodo di pesante congiuntura economica, con i mercati in fibrillazione e la fiducia dei consumatori messa a dura prova, tutti devono stare molto attenti alle scelte che fanno. Perché i loro elettori potrebbero punirli severamente. Ecco, allora, che bisogna inventarsi degli artifici finanziari, per continuare ad alimentare il carnaio, in nome e per conto di ideali patriottici che, nella realtà, finiscono per essere ingenuamente al servizio delle potenti lobby del complesso militare-industriale. Una multinazionale unita solo dall’etica del dollaro.

Soldi Ue a Kiev ‘garantiti’.. da Putin

«Mentre erano in corso i colloqui sulla difesa – ha rivelato il Guardian – una proposta trapelata ha rivelato il crescente slancio dietro i piani per un prestito di 140 miliardi di euro all’Ucraina, basato sui beni congelati della Russia in Europa». Secondo un documento trapelato e visionato dallo stesso giornale britannico, la Commissione europea «ritiene di poter erogare un prestito UE senza interessi di 140 miliardi di euro per l’Ucraina, sulla base degli asset immobilizzati della Banca centrale russa, senza confiscare i fondi». Finora l’UE si è limitata solo a prelevare gli interessi sui capitali congelati, senza sequestrarli. Contro la completa requisizione dei fondi, tenuti da Euroclear, a Bruxelles, si erano espresse Germania, Francia e Belgio. L’azione infatti appariva una forzatura legale. Ma, adesso, guardate cosa si sono inventati i funzionari dell’Unione: «Ritengono – dice il Guardian –  di aver trovato un modo legalmente sicuro per prestare denaro all’Ucraina sulla base dei beni, partendo dal presupposto che la Russia pagherà alla fine a Kiev, le riparazioni per i danni colossali inflitti durante oltre 1.300 giorni di guerra su vasta scala». Avete capito bene. I cittadini europei daranno i loro soldi a Zelensky e in cambio saranno garantiti da… Putin. Che dovrebbe perdere, firmare una resa senza condizioni e impegnarsi a pagare le riparazioni di guerra. Sembra il film di Totò che vende la fontana di Trevi al turista ‘broccolino’.

Per farla completa ci mancava Merz

  • «Con una mossa significativa – conclude il Guardian – il Cancelliere tedesco Friedrich Merz ha appoggiato questa idea, annunciando in un editoriale sul Financial Times. il suo sostegno ‘a uno strumento finanziario giuridicamente sicuro per garantire la resilienza militare dell’Ucraina per diversi anni’. Merz ha affermato che idealmente i piani sarebbero stati sostenuti all’unanimità dai 27 stati membri dell’UE, ma ha suggerito che potrebbero essere approvati a maggioranza, in un tacito riconoscimento del fatto che l’UE deve valutare il modo di evitare il veto del governo ungherese, amico del Cremlino». Quest’ultima sparata dell’ambiguo Cancelliere dimostra che il ‘partito della guerra’ è ancora fortissimo in Europa. Esso è raccolto in una Grosse Koalition che mette assieme politici, diversi gruppi di potere imprenditoriale e molti istituti finanziari. In definitiva, alimentare l’isteria della guerra, presentarla come l’unica soluzione credibile per difendere la democrazia, è invece quanto di più antidemocratico e reazionario

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