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Un’Europa priva di politica estera che si è autoemarginata

Un’Europa priva di politica estera che si è autoemarginata

Politica Estera

15/08/2025

da Remocontro

Piero Orteca

Mai, come in occasione di questo vertice Trump-Putin, l’Europa si era scoperta così geopoliticamente marginale. Sdegnoso sconcerto, alla notizia che gli Stati Uniti l’avevano scavalcata sul dossier-Ucraina, e una rabbia quasi isterica. Ma il Vecchio continente su questa guerra, così maldestramente gestita, si è praticamente autoemarginato, bruciandosi i ponti alle spalle.

Sempre e solo a traino Usa

Sia l’Unione che il Regno Unito hanno assunto una posizione che è sempre stata al traino di quella americana. Ai tempi di Biden si trattava di un atteggiamento ‘duro e puro’, intransigente, che ora con Trump si è capovolto, diventando ‘trattativista’. Per questo, dice Sven Biscop, politologo del think tank belga Egmont Institute, «il blocco è rimasto congelato in una posizione senza opzioni, perché fino ad oggi si è rifiutato di discutere qualsiasi altro scenario… che non fosse la vittoria completa e la liberazione totale del territorio ucraino».

Senza un ‘piano B’

Domanda: come si fa a trattare, se non hai un piano B? È questo il vero dramma dell’Europa, e dell’Unione in particolare, nel caso dell’Ucraina. Una riflessione che però può essere estesa a tutto il «foreign policy making process» di Bruxelles. Per tre anni e passa, tutti i più seri analisti si sono affannati a rimarcare alcune distorsioni strutturali, esistenti nelle visioni geopolitiche del Vecchio continente. Innanzi tutto, la chiara mancanza di una linea d’azione comune, basata su una prospettiva strategica (di lungo periodo) e non su mosse ‘tattiche’, buone solo per gestire l’esistente e tirare a campare. Tutto questo, inutile girarci intorno, viene dalla politica di ‘allargamento accelerato’ dell’Unione che, a partire dalla fine del Novecento, ha portato le elitès di Bruxelles a scegliere la strada del progetto ‘di scala’.

Se sei più grande conti di più e vedi crescere il tuo potere contrattuale a livello internazionale, oltre ad avere l’opportunità di ampliare il mercato interno. Solo che, così facendo, imbarchi anche nuove disparità (di tutti i tipi), rendendo il sistema, complessivamente, sempre più ‘asimmetrico’.

Gigante economico nano politico

Tradotto, significa che devi spendere maggiori risorse in “politiche di convergenza”, per intervenire sul tessuto dell’Unione ed equilibrarlo, restringendo le differenze e aiutando le regioni più svantaggiate. È un cane che si morde la coda. Arrivati a un certo punto, la velocità con cui si è allargata l’Unione Europea è stata superiore alla sua capacità di riassorbirne i contraccolpi. E meccanismi burocratici e di governance bizantini hanno fatto il resto, rendendo di fatto il blocco un gigante economico e un nano nelle relazioni internazionali. La politica estera e di difesa, al di là della retorica fatta di slogan preconfezionati, è rimasta spesso gelosamente presidiata dagli Stati nazionali, che a Bruxelles parlavano in un modo e poi, nelle loro capitali, razzolavano in un altro. Insomma, l’UE è diventata un’enorme cassaforte di Zio Paperone, da cui attingere per finanziare programmi di tutte le fogge. Alcuni buoni, altri decisamente meno.

Politica estera a doppio canale

Ma quando si è trattato di argomenti ‘scottanti’ (specie in politica estera), in molti hanno preferito utilizzare un doppio canale: oltre a quello comunitario ‘ufficiale’, anche quello più riservato, di tipo ‘bilaterale’. Come per l’affaire dei dazi doganali, dove dietro le quinte si è visto e sentito dire di tutto e di più. Ora, nel caso dell’Ucraina, i nodi sono venuti al pettine. I governi europei, forse condizionati dalla precedente e altrettanto disastrosa retorica americana di Biden, hanno sempre parlato di un solo obiettivo: vincere. Cioè, ottenere il ritiro totale delle truppe russe dai territori ucraini invasi e che sono costati finora a Putin una cifra (mezzo milione?) catastrofica di morti. Ovviamente, solo un idiota potrebbe pensare di prendere sul serio una proposta di questo tipo. Stiamo ragionando di guerra, beninteso, e non di diritto internazionale. E le truppe di Mosca sul terreno, lentamente, sanguinosamente, drammaticamente, ingiustamente: insomma, tutto quello che volete voi, stanno avanzando. Lo abbiamo scritto già un sacco di volte.

Armamenti ma soprattutto uomini

Il problema non sono le armi, ma gli uomini, il turn-over delle riserve che sostituiscono l’imponente emorragia di perdite quotidiane. I russi sono tre volte più degli ucraini e non hanno difficoltà a reperire nuova carne da cannone, perché pagano profumatamente. Pure i morti, con lauti indennizzi alle loro famiglie. Gli ucraini, invece, sono spalle al muro e stanno cominciando ad andare a caccia di giovani da spedire al fronte. Si mette male, e a Washington lo sanno. Ma la cosa più raccapricciante e che lo sanno pure a Bruxelles, e infatti la retorica è cambiata, ma l’opposizione alla ‘pace ingiusta’ è sempre fortissima. L’alternativa? I ‘volenterosi’ (l’Unione + gli inglesi) vogliono un cessate il fuoco, senza nessun altro impegno formale. Come mai? Beh, i russi (e non solo loro, per la verità) pensano che gli occidentali vogliano approfittare della pausa per riarmare fino ai denti l’Ucraina e ripartire al contrattacco. Il che forse è vero, ma è pure una mezza idiozia, visto che, come abbiamo già visto, se in Ucraina non entra direttamente in guerra l’Europa con i suoi soldati, Zelensky è sicuramente destinato a perdere.

Legge della demografia

Prima di tutto per la legge della demografia. Che, purtroppo per lui, in questo caso viene prima di quella della democrazia. Ma c’è forse una ragione più oscura, che spinge alcuni governi europei a mettersi decisamente di traverso, sulla strada di una pace monca, contorta e quasi schifata dalla ‘crème’ della governance europea, «la pax trumpiana»? Certo, diceva un grande magistrato italiano, se vuoi capire come funziona il marchingegno, segui i soldi. Bene, l’Europa ha varato piani di riarmo stramiliardari, sottraendo risorse vitali allo Stato sociale. Si è trattato di un atto di genuflessione, non solo nei confronti dei diktat di Trump, ma anche di una lampante dimostrazione del peso che il complesso militare-industriale continua ad avere nei mercati occidentali. Gli Stati Uniti devono immediatamente spostare uomini e risorse nello scacchiere dell’Indo-Pacifico, per fronteggiare la Cina, e pretendono che l’Europa badi a se stessa e provveda (questo è il punto) alla totale ricostruzione dell’Ucraina.

Bugie propagandistiche

Per giustificare spese militari così ingenti davanti ai propri elettorati, gli attuali governi del Vecchio continente hanno dovuto elaborare una narrativa che sottolinei «un grave pericolo per la sicurezza nazionale». Che sarebbe rappresentato dalla Russia. Nazione che però, detto tra noi, non è stata capace di conquistare in oltre tre anni di furioso sforzo bellico tutto il Donbass. Perciò, chi si presta a tali giochetti propagandistici (Putin che assalta l’Europa), non fa altro che cercare di tenere alto un clima di tensione, per giustificare spese cervellotiche, che vanno a ingrassare il capitalismo in doppio petto. Non c’è alcun dubbio, per esempio, che il Cancelliere tedesco Friedrich Merz, che spenderà mille miliardi per il riarmo e le infrastrutture ‘strategiche’, non veda tanto di buon occhio un immediato ‘appeasement’ con Mosca. D’altro canto, tutti i governi occidentali stanno togliendo risorse ai loro cittadini, invocando il ‘pericolo russo’.

  • Dunque, la domanda finale è: come impiegheranno, poi, tutti i carri armati e le bombarde nuovi di zecca, se Putin dovesse veramente decidere di fare il pensionato? Gli elettori europei potrebbero anche avere una reazione clamorosa, contro quei politici che vivono di sciatti slogan e vecchie camarille. Decidendosi finalmente a spedirli a casa, una volta per tutte.

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