La deriva del continente. Nuove norme contro gli irregolari. E' scontro sugli hub nei paesi terzi. Previsto un «ordine di rimpatrio europeo» e divieto di ingresso per 10 anni
Era uno dei «pezzi mancanti» del Patto immigrazione e asilo, come lo aveva definito il commissario all’Immigrazione Magnus Brunner, un vuoto che – in linea con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – l’austriaco aveva promesso di voler colmare quanto prima. Cosa che avverrà oggi a Strasburgo, quando la Commissione presenterà il nuovo regolamento rimpatri dei migranti irregolari e di quanti si sono visti respingere la domanda di asilo (fatta eccezione per minori e famiglie con bambini piccoli), nuove norme utili a mettere ordine tra le varie legislazioni nazionali in materia stabilendo criteri validi per tutti e 27 gli Stati membri. Aprendo allo stesso tempo la strada alla realizzazione di hub per i rimpatri da realizzare in Paesi terzi con i quali esiste un accordo. Un punto, quest’ultimo, che se in Italia vine letto dalla maggioranza come un’apertura verso il «modello Albania» al parlamento europeo ha provocato l’immediata reazione dei socialisti che, pur dicendosi disponibili a lavorare sui rimpatri purché «con un approccio efficace, sostenibile e dignitoso», hanno sbarrato la strada agli hub per i rimpatri, definiti «altamente controversi» tanto da «non poter far parte di questo approccio».
Al di là delle intenzioni dei vertici europei, le nuove regole difficilmente potranno però essere attuate prima di un anno, un anno e mezzo. E questo nonostante la scelta, fatta per velocizzare i tempi, di presentarle come regolamento e non di una direttiva. La proposta presentata oggi dalla Commissione andrà infatti discussa prima dal parlamento e poi dal consiglio europeo e si dovrà trovare una sintesi tra gli eventuali emendamenti di modifica che verranno presentati. Una volta approvati, i 52 articoli che compongono il regolamento saranno vincolanti per gli Stati. «L’attuale mosaico di 27 diversi sistemi nazionali di rimpatrio, ciascuno con il proprio approccio e le proprie procedure – si legge nell’introduzione del testo – compromette l’efficacia dei rimpatri a livello Ue». Contrariamente a quanto avviene oggi, la nuova stretta prevede che un «ordine di rimpatrio europeo» possa essere eseguito anche da un paese diverso da quello che ha emesso il provvedimento, se nel frattempo il migrante si è trasferito all’interno dei sui confini. L’articolo 10 stabilisce che in questo caso venga emesso anche un «divieto di ingresso» nel territorio Ue previsto per chiunque non lasci lo Stato membro «entro la data indicata» oppure, come detto, si sposti in un altro Stato «senza autorizzazione». Il divieto può arrivare a un massimo di 10 anni e scatta anche per chi rappresenta «un rischio alla sicurezza dei Paesi Ue» (articolo 16).
L’articolo 11 prevede inoltre il divieto di espellere o estradare «in un paese dove c’è un rischio serio di essere soggetto alla pena di morte, tortura o altri trattamenti degradanti», una sottolineatura che non potrà non avere un peso anche nella nuova lista europea dei paesi di origine sicuri e dei paesi Terzi sicuri che la commissione Ue ha assicurato di voler presentare entro giugno.

Non è la prima volta che la Commissione europea si prone di aumentare il numero di rimpatri, e anche questa volta non è detto che l’annuncio di oggi non sia destinato a restare tale anche in futuro. L’assenza di specifici accordi bilaterali con i paesi di origine ha infatti ostacolato finora il rimpatrio dei migranti (oggi non più del 20%) e nulla lascia pensare che non sarà così anche in futuro. Stesso discorso per gli hub da realizzare nei paesi terzi, sui quali la stessa commissione pone però paletti ben precisi: «Un accordo o un’intesa – è scritto infatti nella bozza di regolamento – può essere concluso solo con un paese terzo dove sono rispettati gli standard e i principi internazionali in materia di diritti umani, in conformità con il diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento».
11/03/2025
da Il Manifesto