14/11/2025
da Remocontro
Al Parlamento Ue il Partito popolare europeo, travolto da eterne tentazioni, vota con l’estrema destra. L’intesa sulle leggi su responsabilità e rendiconto delle multinazionali che tanto dispiace e rabbia, provoca a Donald Trump e alla sua politica di bottega. Sgarbo Ppe contro impotenza a sinistra.

Io, solo io
- «Il Partito popolare europeo vota con l’estrema destra, spaccando la maggioranza Ursula. I socialisti protestano ma non vanno alla rottura, mentre i popolari, a cose fatte, gettano acqua sul fuoco». La triste Unione europea descritta dal manifesto. Troppo a sinistra? Valutate voi.
L’intesa a destra si consuma sulle leggi sulla responsabilità e rendicontazione delle multinazionali per la tutela ambientale e dei diritti dei lavoratori che la Commissione ha proposto di ‘semplificare’, di fare sconti sulle regole per sollecitazioni Usa. L’Eurocamera approva: ai voti del Ppe si è unito quello del gruppo Ecr, guidato da FdI, e dei Patrioti, di cui fanno parte gli eurodeputati della Lega oltre a quelli di Le Pen e Orbán, con il supporto anche del gruppo delle nazioni sovrane (Esn), costruito intorno alla tedesca Afd. Brutta compagnia, ma Ursula accetta di buon grado, salvo pentimento postumo solo formale
Nelle segrete stanze di Bruxelles
Ambiente e tutela lavoratori svenduti. Regolamenti depotenziati. La direttiva si applicherà ora solo alle aziende con oltre 5.000 dipendenti e con un fatturato netto superiore a 1,5 miliardi, via l’obbligo di richiedere informazioni sul rispetto delle regole alle aziende partner, e basta obiettivi climatici stabiliti dagli accordi di Parigi. Trump rompe gli accordi, l’Unione Von dì’Der lo segue facendo finta di no. «Il leader Ppe Manfred Weber legge il risultato come ‘il giorno della fine della burocrazia europea’, e con lui presidente Ecr Nicola Procaccini esulta per il ‘ritorno del buonsenso’», informa Andrea Valdambrini.
Deriva a destra dei Popolari
Il compromesso al ribasso giù definito un mese fa aveva portato alle dimissioni della laburista olandese Lara Wolters, la relatrice. Primo atto del ricatto Ppe di formare una maggioranza alternativa con l’estrema destra. «Ma la bocciatura, salutata come un sussulto di onorabilità ecologista da parte degli eurodeputati di sinistra, ha aperto le porte al risultato di ieri, rivelandosi una vittoria di Pirro». Il Ppe di fatto si spacca, compresa la delegazione italiana, cioè FI. Al primo cenno di concessioni, accordate da Von der Leyen in materia di fondi alle lobby agricole, il Ppe si è detto soddisfatto, lasciando da soli i socialisti.
Socialisti ‘foglia di fico’?
«Ci rifiutiamo di fungere da foglia di fico per un programma di estrema destra che si nasconde dietro la cortina fumogena degli emendamenti del Ppe», commenta l’eurodeputato tedesco René Repasi che spiega la bocciatura del testo finale da parte dei socialisti e di tutta la sinistra. Condanna netta, ma per ora circoscritta. L’asse tedesco, anche con Repasi, sostiene comunque la maggioranza Ursula. «In altre commissioni, popolari e socialisti lavorano molto bene insieme. E tanti nel Ppe detestano collaborare con l’estrema destra». Sarà, ma non si vede.
L’Unione dal fiato corto
Riepilogo dei fatti. Ieri il parlamento europeo ha registrato per la prima volta la nuova alleanza alternativa alla cosiddetta «maggioranza Ursula». Il Ppe, principale gruppo, ha voltato le spalle a socialisti, liberali e verdi e ha unito i voti all’estrema destra dei conservatori di Ecr (Meloni) e dei patrioti (Lega e Le Pen), per ridurre il dovere di vigilanza delle industrie europee, sia sul rispetto dei diritti sociali che su quelli ambientali e sul dovere di riparazione. Con il primo voto di ieri le ambizioni dell’Unione europea sono sacrificate sull’altare della «competitività e della semplificazione delle norme – sociali e ambientali – accusate di intralciare l’economia, in un momento di difficoltà», sottolinea Anna Maria Merlo.
Salvare il presente senza badare al futuro
L’industria del vecchio continente, già penalizzata dai dazi di Trump, teme la concorrenza della Cina. Ma tarda a investire nei settori della transizione. E le lobby legate all’energia fossile adottano tecniche di assalto: instillano dubbi sulla credibilità scientifica del riscaldamento climatico, fanno green washing, denunciano un’ecologia «punitiva», giocano sull’insicurezza dell’occupazione e minimizzano il peso dell’Europa sulle emissioni globali di Co2 (solo il 6%, quindi non varrebbe la pena di fare troppi sforzi, poiché i danni sono soprattutto responsabilità di altri blocchi, Usa e Cina in testa).
Miti da sfatare
Ignorare la propaganda sulle crescenti tensioni internazionali. La Cina, per esempio, è in prima linea nell’affrontare il delicato tema della transizione energetica globale. Nel corso di pochi anni, Pechino ha letteralmente rivoluzionato la mobilità, puntando sulle auto elettriche, si è affidata alle energie rinnovabili e modificato radicalmente il proprio paniere energetico. La sostenibilità è una delle parole chiave dell’agenda politica cinese, i cui obiettivi sono per altro in linea con quelli stabiliti dall’Onu.
- Mentre l’Unione europea si dimostra più sensibile alla spinta al riarmo per sostituire i posti di lavoro persi dall’auto. In Germania, l’amministratore di Rheimetall, soprannominato ‘Lord of war’, promette di assumere 500-600mila lavoratori tra i 770mila del settore auto, oggi a rischio. La Ue aiuta l’Ucraina, in nome della difesa dei propri valori, sociali e ambientali, ma poi comincia a smantellarli al suo interno.

