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Usa, che cosa è lo shutdown e perché (in parte) ci riguarda

Usa, che cosa è lo shutdown e perché (in parte) ci riguarda

Politica estera

29/08/2025

da Avvenire

Angela Napoletano

Lo stallo sulla legge di bilancio paralizza l’amministrazione federale: senza stipendio migliaia di dipendenti, anche in Italia

«Shutdown». È la parola più ricorrente del dibattito pubblico americano degli ultimi 37 giorni. Da tanto dura, infatti, la paralisi dell’amministrazione federale innescata dalla mancata approvazione della legge di bilancio. Ciò significa che negli Stati Uniti ci sono oggi 1,4 milioni di dipendenti federali in congedo non retribuito. Centinaia di migliaia di persone stanno invece lavorando senza percepire stipendio. Quelli che ce l’hanno sono costretti a fare turni massacranti per compensare l’assenza dei colleghi assenti. L’Italia è immune a questo tipo di problema perché ha un sistema finanziario molto diverso da quello statunitense dove le battaglie politiche condotte sul terreno della finanziaria sono ricorrenti. Eppure, la questione, ci riguarda (in parte).

 

Lo shutdown in corso è il più lungo che sia mai stato registrato negli Usa. Trump non ha i numeri, al Senato, per poter far passare senza l’appoggio parziale dei democratici la legge che finanzia i servizi governativi oltre il primo ottobre, data di scadenza del precedente bilancio federale. I repubblicani sono quindi costretti a negoziarne l’approvazione.

La sinistra chiede che il provvedimento includa una proroga dei crediti d’imposta in scadenza che rendono l’assicurazione sanitaria più economica per milioni di americani e una revoca dei tagli di Trump a Medicaid, il programma sanitario pubblico per anziani, disabili e persone a basso reddito. Inoltre, si oppone ai tagli alle agenzie sanitarie governative. Ogni tentativo di negoziazione finora è fallito. Il primo ottobre è quindi scattato il blocco. Successe (tre volte) anche durante il primo mandato di Trump alla Casa Bianca: il più lungo durò 35 giorni. Il Congressional Budget Office stimò che quella chiusura, allora, costò circa undici miliardi di dollari, di cui tre non sono mai stati recuperati. Negli anni ’80, durante la presidenza di Ronald Reagan, di shutdown ce ne furono otto ma furono tutti di breve durata. Nel 1995 dovette gestirne uno, di 21 giorni, anche il democratico Bill Clinton. Quello avvenuto nel 2013, ai tempi di Barack Obama, durò due settimane.

Lo shudown in corso è particolarmente duro perché l’amministrazione è stata snellita dai licenziamenti di massa disposti nei primi mesi della presidenza Trump da Elon Musk, allora titolare del Dipartimento per l’Efficienza governativa.

Gli agenti di frontiera, le forze dell’ordine, gli addetti alla gestione dell’immigrazione e il personale medico ospedaliero continuano per ora a lavorare regolarmente, e a percepire una paga, perché rientrano nella categoria dei servizi essenziali. Tanti altri no. Il Dipartimento dei Trasporti ha annunciato la cancellazione di migliaia di voli in 40 aeroporti del Paese perché a corto di controllori di volo. Gli asili nido federali e i musei del circuito Smithsonian hanno in parte chiuso i battenti. Sospeso anche l’accesso ai parchi e ai monumenti nazionali.

Esauriti pure i fondi destinati al programma Supplemental Nutrition Assistance, quello dei «buoni alimentari», ma il giudice John McConnell ha ordinato a Trump di attingere ai fondi di emergenza per garantire l’erogazione dei sussidi di cui godono 42 milioni di persone. Durissima è stata la reazione del vicepresidente JD Vance che ha liquidato la sentenza come «assurda»: «Un giudice non deve dirci quello che dobbiamo fare, lo shutdown lo hanno provocato i democratici».

Nel complesso, gli analisti stimano che la paralisi dell’amministrazione ridurrà la crescita economica dello 0,1–0,2% ogni sette giorni: in pratica 15 miliardi di dollari a settimana. Perdite che rischiano di diventare più gravi e difficili da recuperare quanto più si prolungherà. La sospensione della pubblicazione di importanti dati economici, come il rapporto mensile sull’occupazione, aumenta inoltre l’incertezza: senza informazioni di base sull’andamento del Paese, i responsabili delle politiche economiche rischiano di commettere gravi errori.

Molti sospettano che Trump possa approfittare della crisi per licenziare in modo permanente i lavoratori «non essenziali». Del resto, ha già detto che alcuni «non meritano» di mantenere il posto né di ricevere la paga arretrata quando la situazione si sarà sbloccata.

La questione riguarda, in parte, anche l’Italia. Sono senza stipendio i 1500 cittadini non statunitensi, prevalentemente connazionali, impiegati presso le basi militari Usa di Vicenza, Aviano e Livorno. Sindacati di categoria Fisascat-Cisl e Uiltucs hanno proclamato uno stato di agitazione del personale civile proprio per chiedere l’intervento urgente delle istituzioni italiane e americane. Il ritardo nel pagamento degli stipendi rappresenta, questa è la denuncia delle due federazioni, una violazione del Trattato bilaterale Sofa del 1951 secondo cui «le condizioni di impiego e di lavoro sono regolate in conformità alla legislazione in vigore nello Stato ricevente».

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