07/12/2025
da Il manifesto
Lo Stato dell'Unione L’Alta rappresentante europea, Kaja Kallas, minimizza il documento di Trump: «Critiche anche vere. Restiamo uniti». Zelensky sente Witkoff, negoziato in stallo. Domani sarà a Londra con i Volenterosi. La guerra continua
«Le questioni più importanti che l’Europa deve affrontare includono le attività dell’Unione Europea e di altri organismi transnazionali che minano la libertà politica e la sovranità». Il nuovo documento sulla Sicurezza strategica nazionale statunitense è un attacco senza precedenti al Vecchio continente. Una bomba che esplode nel momento in cui l’Unione è più debole, mentre i partiti sovranisti minano alla base le fondamenta delle istituzioni di Bruxelles e lavorano incessantemente come quinta colonna di Donald Trump. Il pretesto, comune all’amministrazione di Washington e agli estremisti di destra di casa nostra, è la guerra in Ucraina. La quale, è scritto nero su bianco, dovrà pagare il prezzo della nuova politica estera Usa: non più diplomazia e gestione dell’ordine mondiale occidentale, ma affari, commercio e convenienza.
LA PAROLA «UCRAINA» è usata quattro volte nel testo, tutte in relazione agli errori europei. «A seguito della guerra della Russia in Ucraina, le relazioni europee con la Russia sono ora profondamente indebolite e molti europei considerano la Russia una minaccia esistenziale». Ma come, non era stato Joe Biden a invocare l’«unità dell’Occidente» basata sui «valori condivisi e la storia comune»? Il riferimento al passato resta, ma in una luce affatto diversa: proprio siccome condividiamo tanto dobbiamo adeguarci ai tempi nuovi che Trump e i suoi stanno costruendo, altrimenti «spariremo. La colpa sarebbe dei burocrati, ovvero dell’organismo sovranazionale che fin dalla fine della seconda guerra mondiale è cresciuto come sbarramento ai nazionalismi che avevano – davvero – portato il continente dentro il baratro. Ora, approfittando di temi dal forte richiamo populista come immigrazione, la presunta censura, il crollo dei tassi di natalità e la perdita di identità Trump vuole spingerci a invertire la rotta: basta con l’Unione, si torni agli stati nazionali.
QUALSIASI GOVERNO nel pieno possesso delle sue funzioni rifiuterebbe questo documento programmatico come un’ingerenza inammissibile e prenderebbe provvedimenti. Dalla nostra parte dell’Atlantico invece si è espressa solo l’Alta rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, che da Doha ha addirittura dato ragione a Trump. «Certo, ci sono molte critiche, ma credo che alcune siano anche vere» e inoltre, «gli Stati uniti sono ancora il nostro più grande alleato e dovremmo restare uniti». Non solo non ci difendiamo, ma giustifichiamo il nostro aguzzino. L’unica, timida, protesta, è stata affidata a un portavoce della Commissione europea: «Per quel che riguarda le decisioni relative all’Unione europea, queste vengono prese dall’Ue, per l’Ue». Tutto qui? Anche sulle misure più temerarie, come l’utilizzo degli asset russi congelati per finanziare l’Ucraina, arrivano nuove tegole. Oltre all’opposizione degli Stati uniti, ieri il Financial Times ha scritto che «l’uso dei beni russi congelati potrebbe avere un impatto negativo sull’euro».
«La Nato è in stato di morte cerebrale» diceva il presidente francese Emmanuel Macron nel 2019. Oggi chi avrebbe il coraggio di affermare altrettanto per l’Ue? Nel dubbio l’hanno fatto dalla Casa bianca e non si tratta di una critica costruttiva. Tra l’altro i nostri alleati vogliono comunque, come scrive Reuters, che «l’Ue prenda il controllo della Nato entro il 2027». Sempre a spese nostre, ben inteso, ma sotto l’egida della Casa bianca. Si prepari l’Ucraina: basta con i distinguo e si accelerino i negoziati. «I funzionari europei nutrono aspettative irrealistiche sulla guerra, appoggiati da governi di minoranza instabili, molti dei quali calpestano i principi fondamentali della democrazia per reprimere l’opposizione» ovvero il Front National e Afd? È il momento di chiuderla, in modo «rapido» al fine di «stabilizzare le economie europee e ristabilire la stabilità strategica con la Russia». L’accenno alla «ricostruzione post-bellica dell’Ucraina» appare come una deprecabile consolazione che, ancora una volta, rimanda agli affari delle aziende che di quella ricostruzione si occuperanno.
DEL RESTO I NEGOZIATI non procedono così spediti. Ieri Zelensky ha sentito al telefono l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff. Lo stesso che, secondo il consigliere del Cremlino Yuri Ushakov, «con Putin si capisce perfettamente». «Abbiamo affrontato i punti chiave che potrebbero garantire la fine dello spargimento di sangue» e le garanzie di sicurezza, ha scritto su X il presidente ucraino. Ma alla luce della nuova impostazione strategica Usa tali dichiarazioni appaiono un po’ vuote. Neanche all’interno dell’opinione pubblica ucraina la direzione è chiara. Ieri il Comandante delle Forze armate, Oleksandr Syrsky, ha dichiarato che cedere dei territori «sarebbe inaccettabile», in pieno contrasto con quanto dichiarato dall’ex Comandante, Valerii Zaluzhni, che probabilmente si prepara a sfidare Zelensky.
LUNEDÌ ZELENSKY sarà a Londra per incontrare i leader di Francia, Gran bretagna e Germania e «coordinare le prossime mosse». Per le quali, tuttavia, Usa e Russia hanno già fatto capire di non avere alcun interesse.
I timori per i futuri equilibri geopolitici e la corrispondenza d’amorosi sensi tra Mosca e Washington non fermano la guerra sul campo. Ieri l’ennesimo bombardamento russo su vasta ha lasciato migliaia di persone al buio, distruggendo diverse infrastrutture energetiche, soprattutto a Odessa. Oltre 650 droni e decine di missili, tra cui anche gli ipersonici Kinzhal, sono stati lanciati su sei diverse regioni ucraine.

