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Usa-Venezuela rischio guerra: ancora ‘il giardino di casa’?

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Politica estera

01/11/2025

da Remocontro

Ennio Remondino

Usa-Venezuela. Scusa narcotraffico, bersaglio reale Maduro. Porti, aeroporti e basi militari nel mirino delle forze armate Usa schierate nel mare dei Caraibi, che Trump afferma di essere pronte bombardare i ‘narcos’ fatti protagonisti politici per presunti collegamenti tra narcotraffico e regime di Maduro.

Versione filo americana della crisi

«Porti, aeroporti e basi militari del Venezuela sono finiti nel mirino dell’amministrazione Trump, pronta a bombardarli in quanto rappresentano punti di collegamento tra le bande del narcotraffico e il regime di Maduro». Così descrive la situazione il Wall Street Journal dopo aver interpellato alcune fonti del Pentagono, secondo le quali i raid aerei – attraverso i B-1 bombers e F-35 già dispiegati nei Caraibi – potrebbero precedere le operazioni di terra, già annunciate da Trump, ma sulle quali non è stata presa una decisione ultima. Fonti di Caracas confermano i timori per attacchi alla base militare dell’Isola dell’Orchila, già sorvolata dai B-52 statunitensi, alla zona costiera dello Stato Sucre – la più vicina all’Isola di Trinidad & Tobago -, le basi militari aeree Francisco de Miranda (Maracaibo) e Rafael Urdaneta (Zulia) e altri punti chiave. Azioni di guerra aperta contro una nazione sovrana, per quanto criticabile essa sia.

Impaccio Usa e il mancato Nobel

Funzionari statunitensi precisano e di fatto ammettono: «l’eventuale attacco costituirebbe “un monito chiaro al leader venezuelano Nicolás Maduro, spingendolo alla rinuncia». Alla rinuncia del suo incarico per mano armata staunitense? Le reali intenzioni della Casa Bianca rimangono sotto una coltre di mistero, sino a impedire a parlamenti Dem l’accesso a un’informativa classificata sul Venezuela, mentre i soldati nei Caraibi hanno dovuto sottoscrivere un accordo di riservatezza sulle operazioni in corso nei Caraibi e nel Pacifico. Memoria di Golpe d’altri tempi. L’America spara per aria sempre più vicino alle coste del Paese sudamericano e sono almeno dodici le imbarcazioni affondate dagli Usa, con oltre 43 vittime. Narcos forse, o forse no. E sale la tensione e Caracas con arresti di presunti di agenti vincolati alla Cia intenti a eseguire operazioni False flag contro i soldati Usa in Trinidad & Tobago.

Tensione alle stelle utile a chi?

Il clima è teso e la sorveglianza aumenta e Caracas minaccia la revoca della cittadinanza a 25 dissidenti, compresa la premio Nobel María Corina Machado, avverte di Estefano Tamburrini su Avvenire. Secondo l’ex-ambasciatore Usa a Caracas, James B. Story, l’escalation, che vede la presenza di oltre 10mila soldati nei Caraibi, non si limita a Maduro ma punta a mettere in discussione l’egemonia cinese sul continente. «Potrebbe succedere qualcosa nei prossimi 30 giorni», ha assicurato il diplomatico a Univisión. Pechino ha già condannato le operazioni Usa nell’area caraibica, definendola una ‘zona di pace’, mentre Mosca corre a ratificare l’accordo di cooperazione strategica con Caracas «al fine di assicurare la resilienza di entrambi i Paesi di fronte alle sanzioni Usa e promuovere un ordine internazionale multipolare». Il messaggio del Cremlino a Washington, dalla portavoce Maria Zarakhova è inequivocabile: «Siamo pronti a intervenire, se gli Usa attaccano».

Con la Colombia agli insulti

Queste azioni di forza stanno facendo salire alle stelle la tensione anche con la Colombia, tradizionale partner di Washington, oggi schierata in difesa del vicino orientale contro l’approccio interventista dell’amministrazione Trump. Il presidente statunitense ha autorizzato la Cia a operazioni segrete in Venezuela, dove non esclude possibili «attacchi terrestri» contro i narcotrafficanti qualora se ne presentasse la necessità. Risposta facile dal leader venezuelano Maduro: «l’America Latina non vuole, non ha bisogno e ripudia i golpe della Cia». Se è vero che Washington non intrattiene rapporti diplomatici con Caracas dal 2019 e considera illegittimo il governo Maduro, sottoposto a dure sanzioni, è però indubbio che gli ultimi sviluppi rappresentano un’escalation pericolosa, annota lo stesso Vaticano (Vatican news).

‘Wanted’, come del Far West

Da una parte nei confronti di Maduro: già prima del dispiegamento militare, gli Usa avevano posto una taglia da 50 milioni di dollari sullo stesso leader venezuelano, accusato da Washington di essere sponsor dei cartelli della droga che invade alcune città statunitensi. Dall’altra nei confronti della politica del Venezuela che, proprio mentre la leader dell’opposizione María Corina Machado viene insignita del Nobel per la Pace, appare un Paese profondamente diviso e polarizzato. Oltre metà della popolazione vive in condizioni di povertà estrema, mentre sono quasi 8 milioni i venezuelani emigrati all’estero da quando 12 anni fa Maduro ha preso il testimone del ‘chavismo’ e del potere a Caracas. Ma certo l’escalation statunitense si inserisce nel solco di un rinnovato interventismo nel ‘cortile di casa’, che rievoca azioni già viste nel corso del Novecento e un approccio dalle conseguenze più ampie.

Basta ‘cortile di casa’

La partita militare Statunitense nei Caraibi soscita molte preoccupazioni e motivato sospetti oltre i Paese direttamente interessati. La presidente del Messico, Claudia Scheinbaum: «Agli Stati Uniti ribadisco un concetto che per noi è molto chiaro: non permetteremo mai che forze armate statunitensi né di nessun altro Paese operino all’intero del nostro territorio nazionale». Il Messico, tradizionale elemento di equilibrio nelle dispute tra Usa e Venezuela, ha anche respinto l’idea che vi siano prove concrete a sostegno delle accuse avanzate da Washington contro Maduro. Questa stessa linea è stata peraltro condivisa anche da tre relatori speciali dell’Onu secondo cui, anche se le accuse di Washington fossero comprovate, «l’uso della forza letale in acque internazionali senza un’adeguata base giuridica viola il diritto internazionale del mare e equivale a esecuzioni extragiudiziali». La prova di forza dell’amministrazione Trump sta sollevando critiche bipartisan anche a livello interno, perché non sarebbe stata chiesta alcuna autorizzazione al Congresso. Ma Trump tira dritto fondando questi interventi sulla stessa autorità legale usata da Georg W. Bush durante la guerra al terrorismo all’indomani dell’11 settembre 2001.

Primo presidente di sinistra colombiano

La Colombia che rischia di scivolare in uno scontro aperto senza precedenti con gli Stati Uniti. Bogotá per decenni uno dei principali alleati di Washington in America Latina. Oggi si assiste ad uno scontro tra i presidenti Gustavo Petro e Donald Trump. Petro — primo presidente di sinistra della storia della Colombia, in carica dal 2022 — ha denunciato che gli attacchi statunitensi contro le imbarcazioni nel Mar dei Caraibi che hanno ucciso anche un pescatore colombiano. «Omicidio e violazione della sovranità». Trump, delicato come sempre, ha definito Petro «il peggior presidente di sempre e un leader del narcotraffico illegale», ha annunciato la fine immediata di tutti gli aiuti e ha annunciato un innalzamento dei dazi sulle importazioni colombiane, e sanzioni contro il presidente Petro e contro il ministro dell’Interno colombiano, Armando Benedetti.

  • Se le azioni di forza degli Usa nel Mar dei Caraibi fanno spirare a Caracas venti di cambiamento, spingendo la neo premio Nobel Machado a dichiarare che «dopo 26 anni di oscurità, finalmente la libertà del Venezuela è vicina», dall’altra parte l’interventismo a stelle e strisce è un’arma a doppio taglio che può sortire l’effetto di compattare il fronte anti Usa sempre presente nella regione.

 

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