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Venezuela; che partita vera sta giocando Trump nei Caraibi?

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Politica estera 

16/11/2025

da Remocontro

Remocontro

Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha chiesto assistenza ad esperti internazionali per rimuovere la presenza militare statunitense nei Caraibi. E quasi viene da sorridere ad immaginare Trump che davvero ritira la dozzina di navi e 12mila soldati guidati dalla portaerei USS Gerald Ford che sta esibendo nel Mare dei Caraibi. Alla guerra ai narcos non credono più neppure alla Casa Bianca. E allora, che sta accadendo realmente?

                                                             

Trump: «Sul Venezuela ho preso una decisione»

  • Lui, padrone del mondo annuncia ma non svela. Trump ha preso una decisione sul Venezuela, ma afferma di non poterne rivelare il contenuto. Lo ha detto ai giornalisti che lo hanno mentre si preparava a salire sull’Air Force One diretto in Florida per il fine settimana. “Ho preso una decisione” ha detto il presidente Usa circa le prossime azioni militari.

Maduro: «Non saremo la Gaza del Sud America»

  • Il leader di Caracas: «Una minaccia volta a provocare un cambio di regime. Vogliamo un’altra Gaza ora in Sud America? Cosa dice il popolo americano? (…) Lasciatemelo dire, no. La pace trionferà qui”, ha dichiarato il presidente. E ha invitato il popolo americano a fermare «la mano folle di coloro che ordinano i bombardamenti, le uccisioni e la guerra»

USA contro Venezuela: cosa vuole veramente Trump?

Le mosse di Washington sono ufficialmente motivate da operazioni antidroga, ma il dispiegamento massiccio e le dichiarazioni del presidente impongono obiettivi reali ben più ampi. E infatti, la più grande nave da guerra del Pianeta è arrivata nelle acque del Mar dei Caraibi: la posizione esatta ovviamente non è stata comunicata; ora tutti si chiedono come sarà impiegata in uno scenario che non è da conflitto bellico, ma poco ci manca.

Gigantografia planetaria

La Gerald Ford è una portaerei a propulsione nucleare lunga 337 metri e larga 78 metri, può trasportare fino a 90 caccia e droni speciali, oltre a 4.500 marines. Un ‘mostro’ da guerra che è il fiore all’occhiello della marina militare statunitense ed era impiegata fino a un mese fa nel Mediterraneo, attraccata in una base in Croazia. Il colosso, costato 13 miliardi di dollari, si affianca a un’altra decina di imbarcazioni, formando così il più grande contingente militare americano schierato attualmente. Il Gigante ed i ‘bambini’. Nemici narcos di cui finora state distrutte una ventina di imbarcazioni con a bordo non più di 70 ‘nemici’. I dubbi sulle reali motivazioni alla base dello schieramento di forze sono più che legittimi, non foss’altro per lo spropositato dispiegamento di forze rispetto alla natura dichiarata di tutta l’operazione.

Prove di invasione?

A Caracas Nicolas Maduro parla senza mezzi termini di ‘prove tecniche di invasione’ e mobilita esercito e milizia bolivariana e si parla di una possibile legge marziale. «Siamo pronti a qualsiasi scenario, difenderemo la rivoluzione contro questo attacco imperialista». In una intervista alla BBC il diplomatico statunitense James Story, che fino al 2018 lavorava all’ambasciata americana a Caracas, spiega che lo scenario dell’invasione non è possibile perché non ci sono gli uomini necessari: «Nei Caraibi disponiamo oggi di 8.000-10.000 unità e per invadere una nazione grande come il Venezuela ci vorrebbero almeno 30.000 uomini. Ma è chiaro che le forze in campo non sono quelle di un’operazione antidroga, pur estesa che sia», ripota InsideOver. Un mese fa Trump aveva parlato di simulazioni della CIA su possibili operazioni in territorio venezuelano, quando un piano del genere non viene di certo annunciato.

Le questioni reali sul tavolo

Se si guardano i numeri del traffico di droga verso gli USA, poi, è chiaro che il problema non è affatto il Venezuela, da dove proviene meno del 5% della cocaina e praticamente nessun carico di droghe sintetiche come il fentanyl, precisa uno studio di ISPI. L’ipotesi della volontà di spingere per un cambio di regime a Caracas è sul tavolo. Per Trump, Maduro è un fiancheggiatore dei cartelli della droga e un elemento destabilizzatore degli interessi statunitensi in America Latina. Per non parlare della pressione migratoria, con un quarto della popolazione venezuelana che ha lasciato il Paese negli ultimi dieci anni. Ed ecco che la ’operazione antidroga nel Mar dei Caraibi’ potrebbe essere un grande banco di prova per esportare questo modello anche in altre zone.La stragrande maggioranza della cocaina prodotta in Colombia diretta verso gli USA parte dall’Ecuador e passa via Pacifico. A loro volta, le droghe sintetiche sono prodotte per lo più in Messico e per bloccare questo traffico Washington è pronta a esportare il modus operandi che si sta testando al largo del Venezuela.

Quiete prima della tempesta?

La guerra a Caracas, per ora, pare correre sul filo della pressione psicologica: mostrare i muscoli per intimorire il regime e cercare sottobanco di spezzare la fedeltà della casta militare a Maduro. Come sempre accade in queste occasioni, si dice e si scrive di tutto ed è molto difficile cercare le briciole di verità nella girandola di versioni e ipotesi. Diversi media teorizzano sui possibili piani di fuga del presidente; il governo del Qatar si è detto pronto a ospitare un tavolo dei negoziati; l’opposizione venezuelana, a partire dal Premio Nobel della Pace Maria Corina Machado, si dice pronta ad assumere un ruolo nel processo di transizione.

Alleati di Maduro cauti

  • Gli alleati di Maduro sono cauti. La Cina dice di osservare con attenzione gli sviluppi; da Mosca ribadiscono la loro alleanza strategica con Caracas; Teheran non si sbilancia più di tanto. In Sudamerica cresce, invece, la preoccupazione soprattutto tra i governi non apertamente ostili al governo venezuelano. Il colombiano Gustavo Petro è stato molto duro contro le operazioni militari nei Caraibi; dal Brasile si dicono pronti a lavorare per mediare; un po’ ovunque si teme una nuova ondata migratoria in caso di un conflitto. Il chavismo governa da 26 anni, la fine di un regime non è mai semplice, ogni movimento interno o esterno va analizzato con cautela.
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