17/10/2025
da Remocontro
Le nuove tasse portuali cinesi sulle navi Usa che si aggiungono alle limitazioni per le forniture di Terre Rare, alimentano uno scontro commerciale senza precedenti. Oggi, le catene di approvvigionamento e le mosse dei governi sono variabili tanto importanti quanto i bilanci aziendali.
Se Trump minaccia la Cina colpisce
Il ministero dei Trasporti cinese ha annunciato 10 misure di aumento delle tasse portuali alle navi americane allo scopo di tutelare gli interessi dell’industria navale cinese e come ritorsione alle analoghe misure decise dagli Usa, operative da oggi. Pechino denuncia Washington di «violare gravemente i principi del commercio internazionale e l’Accordo sui trasporti marittimi Cina-Usa, e di compromette gravemente il commercio marittimo bilaterale». Sull’altro fronte, quello delle Terre Rare, il presidente americano ha prima annunciato ritorsioni con il 100% di dazi a merci cinesi, salvo poi fare marcia indietro come ormai è in uso al negoziatore di Manhattan. Quando si parla di Terre Rare è importante notare la totale dipendenza delle industrie americane ed europee dai fornitori cinesi. La disponibilità di estrazione di queste materie prime è abbastanza diffusa in tutto il mondo, ma he la vera sfida non è trovarle, bensì raffinarle per ottenere le proprietà ottiche, magnetiche ed elettriche che le rendono adatte a un’ampia varietà di applicazioni.
La Cina conviene tutti
La scelta di importarle fatta nei decenni passati dalle industrie americane ed europee, è dipesa dal minor costo di lavorazione praticato dalle industrie cinesi. Così che negli anni l’unico Paese disponibile a questo tipo di lavorazioni è diventata la Cina. Oggi alcuni di questi materiali essenziali per l’industria dell’Intelligenza Artificiale e dei sistemi militari, come il ‘disprosio’, per esempio, sono raffinati al 99% in Cina. Da qui la capacità cinese di tenere il coltello dalla parte del manico. Altra misura ritorsiva aggiunta da Pechino in risposta agli Usa, riguarda gli acquisti di soia. La Cina, che acquistava il 52% del totale delle esportazioni americane, ha smesso totalmente di comprarla. Risultato: milioni di tonnellate invendute nel Midwest, proprio dove ci sono gli Stati agricoli determinanti per l’elezione di Trump, costringendo il governo a preparare un pacchetto di aiuti da 50 miliardi di dollari per gli agricoltori. Brasile e Argentina sono diventi oggi i maggiori fornitori di Pechino.
Rapporti di forza e dipendenza
Se i rapporti di forza scandiscono i tempi e i modi del confronto Usa-Cina è altrettanto evidente che le due economie sono legate da una reciproca dipendenza. La Cina non è un partner sostituibile, così come non lo è l’enorme mercato statunitense. Da qui deriva una selva di dichiarazioni e controdichiarazioni che ci dicono che lo scontro è duro, ma che nessuno vuol far deflagrare un conflitto aperto. il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, ha dichiarato che le ultime restrizioni annunciate dalla Cina sono un segnale dei problemi economici della Cina stessa e che se la Cina «vuole rallentare la crescita economica globale, saranno loro a subire il danno maggiore». Concetto sicuramente chiaro anche a Pechino che, come riporta il Financial Times, ha adottato un tono più conciliante. Si segnala anche che, dopo lo scambio di colpi commerciali, le due parti hanno tenuto dei colloqui nei giorni scorsi.
Guerra commerciale ma non troppo
Né la Cina né gli Stati Uniti possono permettersi una guerra commerciale totale. Ma poiché ci troviamo nel pieno di uno scontro muscolare è lecito osservare l’evidenza di una vittoria ai punti della Cina. La confermano due dati rilevati da Reuters. Il primo riguarda le esportazioni cinesi di settembre cresciute del +8,3%. Come? Compensando il crollo verso gli USA (-27%) con un aumento delle vendite verso l’UE (+14,2%) e i paesi del ASEAN, ovvero del sud est asiatico (+15,6%). Piccola nota per Bruxelles: l’incremento delle vendite in Europa conferma la minaccia della Cina di riversare prodotti a basso prezzo, a discapito delle produzioni locali.
- Il secondo dato segnala che la Cina ha un’altra arma pesante che può usare nei confronti degli Stati Uniti: a luglio deteneva 730 miliardi di dollari in titoli del Tesoro USA. Se volesse aumentare la pressione potrebbe vendere obbligazioni statunitensi su larga scala o lasciar scadere i titoli esistenti senza essere sostituiti provocando qualche ‘grattacapo’ alle finanze di Washington.