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Venti minuti per una riforma, tributo postumo a Berlusconi

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GIUSTIZIA. Il consiglio dei ministri stravolge la giustizia: «Evento epocale». Csm sdoppiato (con membri sorteggiati) e Alta corte. È l’antipasto alla separazione delle carriere. L’Anm verso lo sciopero

Venti minuti è il tempo che ci vuole, a passo lento, per raggiungere il Quirinale da palazzo Chigi. È anche lo stesso tempo che ieri, all’ora di pranzo, il consiglio dei ministri ci ha messo a licenziare la sua riforma della giustizia, preludio a quella separazione delle carriere che per Silvio Berlusconi è sempre stata un sogno proibito nei suoi pur lunghi anni di governo.

Una riforma «epocale» per Nordio. «Giusta, necessaria e storica» per Meloni. Tre pagine e una riga di testo, otto articoli (compresa le disposizioni transitorie). E dentro un po’ meno di quello che ci si aspettava: l’ultima riunione per limare i dettagli la maggioranza l’ha fatta nella notte tra martedì e mercoledì, dopo l’incontro di Mantovano e Nordio con Mattarella. È scomparsa l’idea di inserire gli avvocati nella Costituzione, né c’è l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. C’è però l’annuncio della separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente.

Ancora non lo si dice esplicitamente, ma il senso è quello: sorgeranno due Csm, entrambi guidati dal presidente della Repubblica, ma comunque con funzioni distinte. E i suoi membri saranno sorteggiati: in maniera integrale per i togati, in maniera parziale (cioè scelti da una lista di eletti dal parlamento) per i laici. Poi ci sarà un’Alta corte per dirimere le questioni disciplinari, con giudici nominati dal Quirinale e gli altri sorteggiati. Nessuna possibilità di ricorso in Cassazione: l’impugnazione andrà fatta davanti alla stessa Alta corte, che poi affiderà la valutazione a giudici diversi da quelli del primo pronunciamento. E questo è quanto, in attesa delle leggi attuative che seguiranno.

Quando? Difficile a dirsi: l’iter di un disegno di legge costituzionale è lungo e il passaggio fatto ieri, per quanto importante, è soprattutto lo scalpo che Forza Italia porta a casa alla vigilia delle elezioni europee. Una prova di esistenza e una dimostrazione di peso politico, decisamente maggiore rispetto all’inizio della legislatura, quando gli azzurri erano il vaso di coccio della coalizione di destra. Un trofeo alla memoria di Berlusconi, che ha sempre accarezzato, ma mai realizzato, il sogno proibito della separazione delle carriere.

NELLA BREVISSIMA conferenza stampa a margine del consiglio dei ministri, Nordio ha avvisato l’Anm («Devono accettarlo: la volontà popolare è sacra ed è stata espressa dagli elettori che ci hanno dato mandato di fare questa riforma»), ha difeso la stramba idea del sorteggio integrale dei membri del Csm («Non possiamo immaginare vengano sorteggiate persone inette, incapaci, di scarsa credibilità etica, proprio perché il canestro da cui vengono estratte è estremamente qualificato») e per finire ha dedicato la riforma a Giuliano Vassalli e a Giovanni Falcone.

Il primo, «eroe della resistenza», perché «aveva voluto il codice accusatorio al quale ci siamo ispirati per questa riforma costituzionale». Il secondo per motivi più esoterici, legati a una vecchia leggenda che lo racconta come favorevole alla separazione delle carriere. Non è così, in realtà: Falcone, all’indomani della riforma del codice penale e della cancellazione della figura del giudice istruttore, si espresse per una maggiore specializzazione dei pm, senza mai accennare alla divisione tra giudicanti e requirenti. Peraltro, durante la sua carriera, il magistrato palermitano aveva più volte chiesto e ottenuto il passaggio da una funzione all’altra.

IL SOTTOSEGRETARIO Alfredo Mantovano, artefice della riforma come e forse più di Nordio, è perfettamente consapevole che la partita non è finita. Dunque lancia messaggi: «Il testo non è blindato», dice alludendo ai futuri passaggi parlamentari. Poi la sfida: «Il referendum non è certo». Vuol dire che in parlamento bisognerà trovare una maggioranza di due terzi disposta a votare la riforma. Qui Mantovano ricorda la bicamerale di D’Alema. Ai tempi, sostiene, sul tema della separazione delle carriere c’era «una condivisione neanche marginale nelle forze politiche di sinistra».

IL FRONTE DELLE TOGHE, in tutto questo, si prepara a dare battaglia. «La logica di fondo del disegno di legge – si legge in una nota della Giunta esecutiva centrale dell’Anm – si rintraccia in una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria. È una riforma che non incide sugli effettivi bisogni della giustizia, ma che esprime la chiara intenzione di attuare un controllo sulla magistratura da parte della politica».

Il segretario di Area democratica per la giustizia Giovanni Zaccaro rilancia: «Ai cittadini serve una giustizia che funzioni bene, devono invece avere paura di questa riforma che mira ad avere giudici delegittimati ed impauriti». Alle accuse risponde Meloni in persona con una dichiarazione al Corriere.it. «Di che cosa dovrei vendicarmi con i magistrati? Non capisco perché si possa considerare punitiva nei confronti dei pubblici ministeri la separazione delle carriere – si interroga la premier -. Considero bizzarro che possa essere una vendetta, uno si vendica di qualcuno che ha fatto qualcosa di male, si vendica di un nemico. Non considero i magistrati nemici, chiedo a chi ha fatto questa dichiarazione se pensa che chi governa sia un nemico». Il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia però resta gelido: «Sciopero? Non lo so, siamo in una fase di studio. Decideremo». Sabato 15 giugno, in via straordinaria, si riunirà il comitato direttivo centrale del sindacato delle toghe. E il clima è già quello dei giorni più cupi.

30/05/2024

da il manifesto

Mario Di Vito

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