30/10/2025
da Remocontro
Trump e Xi si incontrano in Corea del Sud in un momento segnato da tensioni USA-Cina sul fronte commerciale e geopolitico: quale la posta in gioco e quali le possibili conseguenze per l’Europa? Domanda semplice, risposte spesso contradditorie tra loro e sempre complesse. Remocontro sceglie di condividere l’analisi del nostro ISPI, ‘Studi di politica internazionale’ di Milano.

Intreccio pericoloso
- «Mese dopo mese, le relazioni tra Stati Uniti e Cina si avvitano in quella che assomiglia sempre più a una ‘guerra fredda commerciale’ tra le due superpotenze. Materie prime critiche, beni sia critici (semiconduttori) sia all’apparenza decisamente meno (come la soia), politiche industriali, tariffe portuali, relazioni energetiche: tutto oggi sembra essere sul tavolo, oggetto di negoziato e motivo di scontro», la premessa di Matteo Villa e Giovanni Maria Della Gatta.
Dalle dichiarazioni ai fatti
Dopo il ‘Liberation Day’, gli Stati Uniti hanno alzato i dazi sulle importazioni cinesi dall’11% a oltre il 40%, causando un calo del 30% delle esportazioni cinesi verso il mercato americano. Ma gli USA assorbono solo il 12% delle esportazioni cinesi, e l’impatto resta limitato. Mentre Pechino sta compensando ampiamente le perdite, con un aumento del 15% delle esportazioni verso il resto del mondo. Al momento, l’effetto netto è un +300 miliardi di dollari di esportazioni (+8% rispetto al 2024).
‘Terre rare’ contro ‘semiconduttori’
Sulle terre rare, la Cina ha rafforzato le restrizioni all’esportazione portando da 7 a 12 gli elementi soggetti a licenza e introducendo limiti al trasferimento di tecnologie all’estero. Con il 60% dell’estrazione e il 90% della raffinazione mondiale, Pechino detiene un semi-monopolio globale. Le nuove regole minacciano settori cruciali per l’Occidente (automobilitica, difesa, rinnovabili e ‘Information Tecnology’). Sui semiconduttori, sono gli Stati Uniti ad aver imposto rigidi controlli sull’export sin dal 2022, e varato il Chips Act per sostenere la produzione interna e attrarre quella ‘alleata’.
Potenza Cina e risposta Usa
Sostanza dei fatti, la Cina domina oggi la cantieristica mondiale, producendo oltre il 50% del tonnellaggio globale, contro il 28% della Corea del Sud e il 12% del Giappone. Gli Stati Uniti hanno deciso di estendere lo scontro anche a questo campo, introducendo una sovrattassa per l’ingresso nei porti americani di navi costruite in Cina. Per le due più grandi compagnie cinesi di logistica marittima i costi arriverebbero al 7% dei ricavi globali. Sul versante energetico, le nuove sanzioni statunitensi contro i giganti russi del petrolio Rosneft e Lukoil diventano parte della guerra commerciale a tutto campo. La Cina assorbe circa il 30% di tutto il petrolio russo esportato. Mala Russia dispone già di reti di elusione, tra cui flotte fantasma e la capacità di fare trasbordi in alto mare.
Tra Usa e Cina perde sempre l’Europa
- Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina si riversano anche sull’Europa. I prodotti cinesi esclusi dal mercato americano potrebbero inondare quello europeo, aggravando le difficoltà di un’industria già in rallentamento. Per la Commissione europea la Cina è il principale Paese per questo tipo di rischio (‘trade diversion’), seguita dal Regno Unito e da vari partner asiatici emergenti.
I dazi ad elastico
La prima prova del clima teso tra Stati Uniti e Cina è, naturalmente, la guerra commerciale. Dal ‘Liberation Day’ a oggi, i dazi imposti dagli Stati Uniti alla Cina sono cresciuti dall’11% a oltre il 40%. Questi dazi stanno provocando un crollo delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti di circa il 30% che potrebbe estendersi fino al 40-45%. Ma la Cina è il primo partner commerciale di oltre 120 paesi del mondo, il che le permette di avere alternative agli Stati Uniti. La seconda è che gli USA sono sì il primo importatore di merci al mondo, ma che nel 2024 verso di loro si dirigeva ‘solo’ il 10% delle esportazioni mondiali e il 12% di quelle cinesi.
Stati Uniti sempre meno decisivi
Per la Cina, una contrazione delle esportazioni verso gli USA del 30% significa perdere meno del 4% delle esportazioni totali. Nel frattempo, dopo il ‘Liberation Day’ le esportazioni cinesi verso il resto del mondo hanno continuato a crescere. Anzi, si è addirittura rafforzata rispetto al periodo precedente alla guerra commerciale, passando da un +6% nel 2024 a un +15% ad agosto. In termini assoluti, questo significa che Pechino ha al momento circa 160 miliardi di dollari di esportazioni annue verso gli Stati Uniti, ma che sta più che compensando queste perdite con un aumento di esportazioni per circa 460 miliardi di dollari all’anno verso il resto del mondo.
Terre sempre più rare
A inizio ottobre, la Cina ha annunciato nuove restrizioni all’esportazione di terre rare che dovrebbero entrare in vigore dall’8 novembre. Pechino ha aggiunto 5 elementi nella lista di quelli che devono ottenere un’autorizzazione per essere esportati, portandoli a 12, e soprattutto ha esteso i divieti di esportazione senza licenza a magneti composti da terre rare e prodotti che li contengano. Altre restrizioni in vigore dal 1° dicembre, e riguardano le aziende e i cittadini cinesi che si trovano all’estero, limitando il trasferimento di know-how e tecnologie necessarie per estrarre, raffinare o riciclare terre rare altrove nel mondo. Nel caso entrassero davvero in vigore, queste nuove restrizioni avrebbero ulteriori gravi conseguenze per gli Stati Uniti, ma anche per l’Unione Europea.

Il mondo a microchip
Da questi elementi dipende in diversa misura un buon numero di settori produttivi occidentali, in particolare l’automotive, il settore difesa, quello delle rinnovabili e quello della Information Technology. Dal momento che la Cina controlla circa il 60% dell’estrazione e il 90% della raffinazione di terre rare nel mondo, il suo quasi-monopolio la rende oggi l’unico paese al mondo in grado di poter negoziare da una posizione di forza. Quanto alcuni settori occidentali possano andare in crisi quando Pechino stringe le maglie è diventato chiaro nella prima parte di quest’anno, quando le prime restrizioni cinesi, imposte ad aprile, hanno scatenato le reazioni di diversi produttori di auto europei, che hanno denunciato una crisi imminente prima che l’UE negoziasse migliori condizioni con Pechino.
Pianeta ‘semiconduttori’
L’esposizione dei Paesi occidentali nei confronti della Cina nel campo delle terre rare è un problema antico diventato caldo solo quest’anno. La Cina provocata può imporre restrizioni non solo sui beni, ma anche sul trasferimento di tecnologie e know how. Tema che esiste da tempo, ma fino a oggi però ribaltato: era l’Occidente a imporre misure restrittive sui trasferimenti verso la Cina, tra le quali le più discusse sono state quelle su semiconduttori e loro componenti. Gli Stati Uniti si chiudono per mantenere il loro vantaggio, proprio mentre la Cina cerca di accelerare per creare un ecosistema che le permetta di far emergere campioni nazionali capaci di competere con il resto del mondo.
Quello che permette la crescita cinese
Uno degli strumenti più importanti utilizzati dalla Cina per garantire un vantaggio alle proprie industrie, e tra i più criticati da parte americana e occidentale, è l’ampio ricorso agli aiuti pubblici e ai sussidi industriali. Il Fondo monetario internazionale stima che tra il 2011 e il 2023 gli aiuti di stato cinesi siano stati superiori al 4% del PIL. Per questo ingente sforzo di politica industriale, la Cina ha tassi di crescita del PIL molto elevati. Con la progressiva riduzione del tasso di crescita, Pechino potrebbe essere costretta nei prossimi anni a razionalizzare e ridurre la portata di tali aiuti. Per adesso, gli aiuti crescono di pari passo con la crescita economica, diventando sempre più ingenti rispetto a quelli di altri Paesi del mondo.
L’antico dominio dei mari
Un altro elemento di scontro tra Cina e Stati Uniti è diventato il dominio dei mari, o meglio, del controllo e della produzione del naviglio commerciale mondiale. Nel 2024 in Cina si produceva più del 50% del tonnellaggio globale di navi. Gli unici Paesi in grado di competere sono la Corea del Sud (28% della produzione mondiale) e il Giappone (12%). Se si guarda alle 5.448 grandi navi commerciali in costruzione nel mondo, più del 60% si trovano in cantieri navali cinesi, mentre negli Stati Uniti se ne stanno costruendo solo 3. Ad aprile, ad aggiungere questa ‘componente navale’ alla guerra fredda commerciale tra Stati Uniti e Cina è stato Trump. La Casa Bianca ha stabilito che, dalla metà di ottobre, chiunque voglia entrare in un porto americano con navi costruite in Cina o da aziende cinesi dovrà pagare una sovrattassa. Ma la trovata Usa otterrà solo di far crescere i costi di trasporto delle merci e ‘dirottare’ più navi cinesi verso il resto del mondo.
Sanzioni petrolifere Usa oltre la Russia
Gli Stati Uniti hanno deciso sanzioni nei confronti di due giganti del petrolio russo, Rosneft e Lukoil, con il prezzo del petrolio cresciuto dell’8% in poche ore. La mossa punta ad aumentare la pressione economica su Mosca, il cui bilancio dipende per circa il 30% da petrolio e gas naturale. Ma è automatico guardare agli importatori, ovvero Cina e India, che insieme assorbono circa il 60% di tutto il petrolio russo esportato al mondo. Le sanzioni di Trump, il cui reale impatto è ancora tutto da valutare, ottiene il duplice risultato di mettere sotto pressione sia Mosca, sia Pechino e New Delhi. Ma tutti gli attori coinvolti hanno interesse a trovare modi per aggirare le sanzioni, e dal 2022 le compagnie petrolifere russe hanno messo in piedi un sofisticato sistema fatto di flotte fantasma e trasbordi di petrolio in alto mare che probabilmente anche in questo caso si rivelerà utile.
L’Unione Europa in questo marasma?
E l’Unione Europea e i suoi 27 Paesi sparsi come risentono di tutte queste tensioni? Solo parte più classica di questa guerra commerciale. Pericolo immediato che il mercato europeo sia inondato di prodotti che non vengono più destinati agli Stati Uniti. La Commissione europea ha avviato un nuovo sistema di monitoraggio periodico dei rischi di ‘trade diversion’. Una rielaborazione ISPI mostra chi dobbiamo ‘temere di più’. La Cina risulta di gran lunga il paese che più sta aumentando i propri volumi di esportazioni verso l’UE, seguita dal Regno Unito e da una serie di paesi asiatici. Se la guerra fredda commerciale tra USA e Cina dovesse proseguire, anche l’Europa potrebbe essere sempre più tentata di seguire gli Stati Uniti e chiudersi, piuttosto che cercare di mantenere la sua posizione come uno degli ultimi alfieri del libero commercio nel mondo.

