Guerre energetiche Le forniture provenienti da oltreoceano occuperanno fette di mercato sempre più consistenti. Il giro d’affari è miliardario
Il mancato rinnovo dell’accordo per il transito del gas russo diretto in Europa attraverso l’Ucraina porterà a un ulteriore aumento dell’acquisto di gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti. Se da un lato la diversificazione dei fornitori del mercato europeo ha contribuito a limitare l’aumento delle bollette nell’immediato (al netto di un inverno non troppo rigido e di eventi inattesi), dall’altro le modalità con le quali Washington potrebbe sostituirsi progressivamente a Mosca sollevano diversi interrogativi. Senza contare le implicazioni per il clima dell’eventuale uso massiccio della tecnica del fracking per estrarre il gas e i procedimenti chimici per liquefare e successivamente rigassificare il Gnl statunitense.
«ORMAI si sapeva già da un po’, anche se fino alla fine era possibile che si risolvesse tutto in extremis» ci spiega una nostra fonte che lavora in una delle più grandi compagnie europee di trading del gas e che si occupa di analizzare l’andamento del punto di scambio virtuale Ttf (acronimo di Title Transfer Facility), «non è nulla in comparazione allo shock successivo all’invasione russa del 2022… ci sono alcuni miei colleghi che in quei mesi hanno fatto talmente tanti soldi che possono permettersi di non lavorare mai più per tutta la vita».
Stavolta, invece, è diverso. «Si tratta di 42 milioni di metri cubi al giorno (mcm), non è una cifra irrilevante, ma se guardiamo il dato complessivo non è un valore che può influire sull’andamento generale del mercato». Siccome di solito i mcm si calcolano su base giornaliera e per il computo annuale si usano i miliardi di metri cubi (bcm), la stima della perdita totale per il 2025 si aggira intorno ai 14/15 miliardi di metri cubi di gas. Per dare un termine di paragone, dagli ultimi rapporti pubblicati sappiamo che da gennaio a settembre 2024 i Paesi dell’Ue hanno consumato poco più di 210 bcm e che questi riescono a provvedere al proprio fabbisogno solo per il 7-9 %, a seconda dei mesi. Dei volumi importati dall’estero al momento la Norvegia è la prima fornitrice (circa 33% del totale), segue la Russia (scesa al 20%, ma in aumento fino alla metà dell’anno appena terminato) e gli Usa (11-13%).
SEBBENE il gas che transitava dall’Ucraina rappresentasse una fetta pari a meno del 5% del fabbisogno europeo e la decisione di Kiev fosse ampiamente attesa dagli addetti ai lavori, il prezzo del combustibile è schizzato lo stesso a 50 euro al megawattora nella prima sessione del nuovo anno alla borsa di Amsterdam. Si tratta del prezzo più alto da novembre del 2023, con un aumento del 30% negli ultimi 12 mesi. Dunque perché non preoccuparsi? «Dall’inverno prossimo, in teoria, si rafforzeranno molto le esportazioni di Gnl provenienti dagli Stati uniti e il loro ammontare totale sarà progressivamente maggiore. Certo, può sempre esserci un rallentamento delle nuove produzioni, ma ormai la traiettoria negli studi di settore è questa».
Ma non è forse vero, come si diceva a inizio della guerra in Ucraina, che per noi europei importare il gas dagli Stati uniti vorrà dire pagare di più? «Rispetto ai costi del gas russo fino a sei anni fa sì. Ma in realtà non è la fonte del gas che fa tanto la differenza, dato che i costi di produzione sono molto bassi, è il bilancio tra domanda e offerta». Nell’immediato, prosegue la nostra fonte, «Asia ed Europa si litigano il Gnl perché la Russia è in difficoltà. Ma nel giro di un paio d’anni con la produzione Usa in aumento, le esportazioni russe che si sposteranno verso la Cina e l’Asia in generale, i prezzi dovrebbero abbassarsi».
Sempre in teoria, poiché come indicato da alcuni report delle compagnie di rating, «se le previsioni metereologiche dovessero avverarsi nel peggiore degli scenari, può anche darsi che il freddo porti a un’ulteriore impennata dei prezzi». Tuttavia, al momento le previsioni ufficiali continuano ad attestarsi poco sotto i 50 €. «Mentre i prezzi per i futures (prezzi del gas a una determinata data futura, ndr) del 2028 tornano ad abbassarsi fino a 26 €/mwh», quasi ai livelli precedenti all’invasione russa dell’Ucraina «quando Mosca aveva comunque deciso di tagliare i flussi terrestri attraverso l’Ucraina per insistere sul Nord Stream 2 e i prezzi si aggiravano tra i 10 e i 20 euro».
STANDO ALLE PREVISIONI – che però dobbiamo leggere con le dovute precauzioni considerando quanto successo negli ultimi 3 anni nel mondo – per l’Europa non ci sarà quindi la crisi del gas dato che un grosso fornitore (gli Usa) si sostituirà progressivamente a un altro. Ma in tal caso è difficile non considerare le accuse che dal 24 febbraio 2022 vengono mosse alla Casa bianca di avere degli scopi paralleli – e ben più prosaici – rispetto alla «difesa della democrazia» in Europa dell’Est. L’aggressività russa e l’intransigenza anglo-statunitense hanno privato l’Ue di un alleato energetico e commerciale che negli anni di Merkel e Berlusconi era diventato sempre più vicino ai centri del potere europeo.
Che l’Europa occidentale finse di non vedere le innumerevoli violazioni dei diritti umani perpetrate dal Cremlino e che il gas di Putin fu uno dei catalizzatori dello sviluppo europeo (tedesco, in particolare) è un fatto (si legga a tale proposito l’autobiografia di Angela Merkel). Ma che gli Usa abbiano i loro interessi a continuare a sostenere l’Ucraina è ancora un argomento tabù, una sorta di boomerang che ritorna come uno stigma sulla faccia di chi si azzarda a lanciarlo. Eppure, a un certo punto dovremo rassegnarci a riconoscere che persino in Ucraina, come già altrove, l’appoggio delle superpotenze non è mai disinteressato.
10/01/2025
da Il Manifesto