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Da Gaza all’Ucraina le crisi mattatoio consumano troppe armi, piange la Nato

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Troppe guerre -dopo l’Ucraina anche quella di Gaza- stanno mettendo in crisi il ‘motore armamenti’ che gira già al massimo, e che fonde e confonde la ‘difesa della democrazia’ con quella dei propri lauti guadagni. «Le guerre aumentano la domanda di armi, suscitando timori di carenza», titolava ieri il Wall Street Journal, riflettendo sul Medio Oriente.
«Negli Stati Uniti e in Europa cresce la pressione per aumentare la produzione, mentre salgono le preoccupazioni per le lotte su nuovi fronti».

                                                      

‘Nato Industry Forum’

Le conclusioni del «Nato Industry Forum», dove, oltre a parlare di sofisticate strategie geopolitiche e militari, si è molto discusso di business e di dollari. La monetizzazione della guerra, dato che tutti i discorsi sono arrivati proprio al punto. Senza troppi giri di parole, il Wall Street Journal ha così sintetizzato lo spirito dell’incontro: «I funzionari della difesa Nato temono che, con Israele che entra in guerra, mentre l’Occidente combatte la Russia per procura in Ucraina, non ci saranno abbastanza proiettili d’artiglieria e altre armi per mantenere entrambi gli alleati in battaglia».

L’enorme consumo di armi in Ucraina

L’analisi degli esperti intervenuti al Forum (tenutosi in Svezia, che una volta era terra di pacifisti), ha puntato sull’enorme consumo di armi e munizioni a cui si sta assistendo in Ucraina. Nonostante l’eccezionale aumento di trasferimenti verso Kiev, è stato sottolineato, la capacità di ripianare perdite e consumi rimane ancora al di sotto di quanto l’industria occidentale dovrebbe fare. Il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che Stati Uniti ed Europa devono sbrigarsi a produrre maggiori riserve di armi e munizioni. Anche se programmi di questo tipo costano maledettamente tanto, troppo.

Basti solo pensare che un proiettile d’artiglieria da 155 mm. fino a 20 mesi fa costava intorno ai 2.100 dollari. Oggi ne costa quasi 8.500, con un aumento superiore al 400%.

L’orrendo business e il tungsteno russo cinese

Sono proprio questi numeri, che danno una precisa indicazione dello straordinario business offerto dalle guerre. E anche delle incapacità in alcuni dei gangli vitali della difesa occidentale. Un esempio? Aumentare la produzione di armi e munizioni non è così semplice, perché bisogna fare i conti con le catene di approvvigionamento di materie prime e semilavorati. Nikkei Asia, proprio ieri, ha pubblicato un report sulla carenza di tungsteno, un metallo indispensabile per la produzione di proiettili d’artiglieria. L’Occidente contemporaneo, un po’ idealista e molto forcaiolo, ne richiede sempre di più. Ma non ha fatto i conti (o nessuno glielo ha spiegato) col mercato internazionale, perché il 90% di questo prezioso ‘ingrediente’ viene prodotto da Cina e Russia. Cioè, dai potenziali nemici.

Variabile israeliana e Ucraina brucia tutto

Tornando alla ‘variabile israeliana’, secondo gli esperti molto dipenderà dalla capacità degli Stati Uniti di tenere la guerra circoscritta. Anche perché i magazzini dell’US Army cominciano a essere desolatamente vuoti. L’Ucraina sta bruciando tutto.

Mercato guerra, i ‘costi fissi’

E qui, come hanno fatto capire i produttori al Forum, entra in ballo una seconda considerazione: i costi fissi. Determinate produzioni belliche hanno bisogno, per entrare a regime, di contratti di medio-lungo periodo. Per capirci, aprire una linea produttiva costa un occhio e ne deve valere la pena. Cioè, gli ordini devono continuare nel tempo e, trattandosi di armi e munizioni, devono durare a lungo anche le guerre da combattere. Una logica che rischia di imporsi sulla durata delle guerre. Il «fino a quando sarà necessario» deciso da chi? Dalle ragioni degli aggrediti, da quelle della democrazia, o da quelle brutalmente elettorali di qualcuno, per fare un esempio.

2,2 trilioni di dollari ed Europa spendi tutto

«Lo scorso anno – scrive l’Economist – le spese militari in tutto il mondo sono aumentate del 3,7%, arrivando a 2,2 trilioni di dollari. In Europa, invece, sono salite del 13%, più velocemente che in qualsiasi altra area del pianeta. Ciò si sta traducendo in un grande affare, per i produttori del Vecchio continente, che negli ultimi mesi si sono assicurati una serie di nuovi contratti». L’economia europea, dunque, è alimentata dalla guerra? Si e no, nel senso che alcuni settori soffrono, mentre altri prosperano. Più in generale e guardando i numeri, si può dire che ad andare a gonfie vele è soprattutto «l’industria della guerra americana», dicono statistiche e le previsioni del SIPRI, lo Stockholm International Peace Research Institute.

Un vero affare per le grasse corporation americane, anche se forse, in termini di consenso, cominciano a lasciare sempre più perplessi milioni di elettori. Statunitensi e non soltanto.

31/10/2023

da Remocontro

Piero Orteca