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L’atomica di Israele: ‘Netanyahu vattene’

L’atomica di Israele: ‘Netanyahu vattene’

Il ministro religioso che propone l’uso dell’arma atomica per cancellare Gaza a gaziani dalla faccia della terra e Netanyahu sospende il ministro, per salvare se stesso. E nonostante il divieto di assembramenti e la repressione del dissenso politico, la piazza di Israele ribolle. A migliaia questo sabato a Gerusalemme, Haifa, Tel Aviv, Cesarea, Beer Sheva, Eilat, elenca Sarah Parenzo sul Manifesto. Anche davanti alla casa del premier Netanyahu, al canto di «In prigione ora». Scelte politiche cha hanno acuito le tensioni con la parte palestinese, l’incapacità a prevenire l’attacco del sette ottobre e il mancato sostegno alle famiglie degli ostaggi.

Il premier e il suo ministro che vuole usare l’atomica su Gaza

L’atomica sulla credibilità di Israele

«Sganciare una bomba atomica su Gaza è un’opzione». A dirlo è stato Amihai Eliyahu, responsabile degli Affari e del Patrimonio di Gerusalemme. Il leader dell’opposizione Lapid insorge e il premier Netanyahu lo esclude dalle riunioni del governo: «Dichiarazioni avulse dalla realtà», ma intanto Gaza sta scomparendo lo stesso sotto una tempesta di bombe convenzionali.

Jewish National Front

Il governo Netanyahu è pieno di ministri di estrema destra denunciata spesso come fascista. Membro del Jewish National Front il ministro aveva esortato Tel Aviv ad annettere la Cisgiordania occupata. «Dovremmo imporre la sovranità su Giudea e Samaria. Dovremmo cominciare a dirlo ovunque, per creare il riconoscimento internazionale che questo posto è nostro».

Netanyahu più impopolare che mai

La maggior parte degli israeliani ritiene il premier  inadeguato a guidare il paese, e lui non sta facendo molto per convincerli, la lapidaria premessa del Post. A quasi un mese dal ‘sabato nero’, nell’opinione pubblica di Israele si stanno sviluppando due fenomeni apparentemente opposti. Il «rally ‘round the flag», il sostegno all’operazione militare che l’esercito sta conducendo nella Striscia di Gaza. Ma al contrario di quanto avviene in questi casi, la popolazione israeliana non si sta riunendo attorno alla leadership di Bibi Netanyahu, anzi: il primo ministro israeliano è più impopolare che mai, e la stragrande maggioranza dei suoi concittadini lo ritiene inadeguato a gestire l’enorme crisi provocata dall’attacco di Hamas.

Solo il 7% si fida ancora di Bibi

Secondo alcuni sondaggi riportati dal Financial Times, soltanto il 7 per cento della popolazione israeliana si fida di Netanyahu nella gestione della guerra, e nel complesso. Questa sfiducia è enorme tra gli elettori di centrosinistra (soltanto il 4 per cento di loro si fida di Netanyahu) ma è molto forte anche tra gli elettori di centrodestra (il 10 per cento si fida). È anche in fortissimo contrasto con l’ampia fiducia (al 74 per cento) che invece viene accordata ai capi delle forze armate, con cui Netanyahu ha avuto ampi dissidi in passato e anche dopo l’inizio della guerra.

Fine politica con la fine della guerra

Anche a livello politico Netanyahu è in crisi: se si votasse oggi, soltanto il 29 per cento degli israeliani lo vorrebbe come primo ministro, contro il 48 per cento di Benny Gantz, il capo dell’opposizione che dall’inizio della guerra è entrato in un governo di unità nazionale.

Due colpe imperdonabili

Prima gravissima colpa, l’aver sottovalutato la pericolosità di Hamas, sminuito la gravità della situazione nella Striscia di Gaza e cercato di politicizzare l’esercito per esigenze che non riguardavano priorità politiche sue e della sua coalizione di ultradestra. Ed riemergono le critiche venute da alcuni ex capi del Mossad e Shin Bet, i servizi segreti. Secondo molte analisi Netanyahu, vedendo nella leadership delle forze armate e dell’intelligence un possibile avversario interno, l’ha molto spesso indebolita, anziché rafforzarla.

Hamas usato contro l’ANP

Da molti, soprattutto a sinistra, Netanyahu è anche accusato di aver concesso legittimità politica a Hamas, per indebolire la leadership palestinese moderata di Fatah in Cisgiordania, e approfittato del dominio del gruppo sulla Striscia di Gaza per evitare di affrontare politicamente la questione palestinese e la possibilità di negoziati seri con la leadership di Fatah.

L’arroganza della paura

La seconda ragione di malcontento, riguarda il suo comportamento dopo al massacro di Hamas. Discorsi bellicosi contro Hamas, ma sempre attento a scansare ogni responsabilità. E mentre i comandanti delle forze armate e delle forze di sicurezza hanno chiesto scusa per quanto avvenuto con Hamas, Netanyahu ha evitato in tutti i modi anche soltanto di mostrare rammarico.

‘Ego sum’, ma ancora per poco

Secondo Aviv Bushinsky, un ex consigliere di Netanyahu che adesso fa l’analista politico, Netanyahu evita di chiedere scusa o di fare ammenda perché teme che le scuse saranno usate contro di lui a livello politico. Ma così facendo, ha spiegato al Financial Times, ha finito per alienarsi buona parte del suo elettorato. «La gente dice: i nostri soldati stanno rischiando le proprie vite a Gaza, migliaia di persone hanno perso la propria casa, Moody’s, Fitch e S&P potrebbero ridurre il nostro rating e tutto quello a cui pensa Netanyahu è la sua sopravvivenza politica».

                                       
                                                                                     Yair Netanyahu alla destra del padre

C’è famiglia e famiglia

Netanyahu ha anche mostrato distacco nei confronti delle famiglie delle oltre 200 persone rapite da Hamas e portate nella Striscia di Gaza. E mentre migliaia di riservisti dell’esercito israeliano sono già tornati dall’estero per rispondere alla mobilitazione, i figli del premier restano al sicuro. Yair Netanyahu, 32 anni, che aveva bollato come ‘terroristi’ i compatrioti scesi in piazza contro suo padre, nel momento della ‘dichiarazione di guerra al terrorismo di Hamas’ se ne resta oltre l’Oceano.

Precetti religiosi a convenienza

Quello della liberazione degli ostaggi è del resto un precetto fondamentale dell’ebraismo, ricorda ancora Sarah Parenzo, sul quale si sono pronunciati importanti rabbini a partire dalla fondazione dello stato. Uno di questi è stato il grande rabbino sefardita Ovadia Yossef (1920-2013) che ha sottolineato la necessità di prediligere il pericolo imminente della sorte degli ostaggi ad uno futuro di un possibile attacco nemico.

Esattamente il contrario della scelta di Netanyahu sostenuta, almeno per ora, dagli Stati Uniti.

05/11/2023

da Remocontro

Remocontro