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Israele a giudizio per ‘Territori occupati, West bank e Gerusalemme Est’

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 Politica estera Israele Palestina

Corte di Giustizia Internazionale per giudicare il comportamento di Israele nei confronti del popolo palestinese, oltre l’accusa di genocidio fatta dal Sudafrica rispetto a Gaza. Ieri, l’udienza ha riguardato le politiche israeliane di insediamento e annessione ebraica nei Territori occupati della Cisgiordania e di Gerusalemme Est.

                                    

Prima dell’accusa di genocidio

Un procedimento diverso da quello già aperto, alcune settimane fa, per genocidio. Nel dicembre 2022, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva chiesto alla Corte internazionale di giustizia un ‘parere consultivo non vincolante’ sulle «conseguenze legali derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est». La pronuncia della Corte dovrà stabilire su «come le politiche israeliane di insediamento e annessione ebraica influiscano sullo status giuridico dell’occupazione e sulle sue conseguenze per il resto del mondo».

In pratica, sostiene il britannico Guardian, verrà valutato in che modo viene esercitata l’occupazione, sia militarmente che dal punto di vista amministrativo, da parte del governo di Tel Aviv.

‘Prede di guerra’, ma non tolte ai palestinesi

Israele sostiene, in via preliminare, che la Palestina non ha alcun diritto giuridico da esercitare sui territori interessati. Infatti, argomentano gli israeliani, Cisgiordania e Gerusalemme Est sono a tutti gli effetti ‘prede di guerra’, cioè terre sottratte alla Giordania nel corso del conflitto dei ‘Sei giorni’, nel 1967. La stessa cosa viene ribadita per la Striscia di Gaza, che viene considerato un territorio sottratto, dopo i combattimenti, all’Egitto. Per questo motivo, l’Autorità nazionale palestinese (ANP) non può essere ritenuta, giuridicamente, una reale controparte, sostengono Netanyahu e i suoi alleati.

Le ragioni dei palestinesi

Ieri, a sostegno della posizione dei palestinesi, è intervenuto il Ministro degli Esteri dell’ANP, Riyad al-Maliki. Con toni accorati, il diplomatico ha pronunciato una vera e propria arringa densa di pesanti accuse. «Per oltre un secolo il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione è stato negato e violato. La Palestina non era una terra senza popolo. Non era, come l’hanno descritta i leader israeliani, una terra desolata. C’era vita su questa terra». Al-Maliki ha sostenuto la presentazione delle sue tesi, appoggiandosi con l’illustrazione di cinque mappe, che hanno ripercorso l’evoluzione storica del conflitto israelo-palestinese.

Percorso di sofferenze e sottrazioni

Si è partiti dall’epoca dei Mandati (1920), passando per le spartizioni decise dall’Onu alla fine degli anni ’40, fino ad arrivare alle piccole aree frammentate di oggi, in Cisgiordania. Sempre più minacciate dall’invadenza illegale dei coloni ebraici. Al-Maliki ha chiuso la sua presentazione, davanti alla Corte, esibendo una foto del premier Netanyahu, mentre mostra una mappa del «nuovo Medio Oriente» (foto di copertina). Una mappa, sostiene al-Maliki – da dove è completamente sparita la Palestina e sulla quale campeggia solo la sagoma del Grande Israele.

È questo, si chiede il Ministro palestinese, il vero progetto politico dell’attuale governo dello Stato ebraico? Un progetto, conclude, che ha portato tanta sofferenza.

Colonialismo, apartheid e diritto all’autodifesa

«I palestinesi hanno sopportato il colonialismo e l’apartheid – ha detto il ministro – e c’è anche chi si arrabbia per queste parole. Dovrebbero essere infuriati per la realtà che stiamo soffrendo». Naturalmente, gli israeliani hanno alzato un muro di obiezioni, puntando le loro maggiori argomentazioni sul diritto all’autodifesa e alla tutela dell’esistenza dello Stato ebraico. Netanyahu ha più volte ribadito che i problemi dovrebbero essere risolti attraverso negoziati, e non davanti alla Corte di Giustizia Internazionale.

Ministro fuori tutto

Molto meno diplomatico il commento del Ministero degli Esteri di Tel Aviv, che si sta distinguendo per i suoi contrattacchi fuori misura. Come quello rivolto al Presidente del Brasile Lula, per le sue critiche. Il Guardian riporta che un portavoce del Ministro, Lior Haiat, ha accusato la stessa Corte internazionale, definendola, sull’ex Twitter, «uno strumento politico per attaccare Israele». Aggiungendo che ciò danneggia «sia la fiducia globale nel sistema legale internazionale e sia le possibilità di raggiungere una soluzione del conflitto».

52 Stati come testimoni

Nelle udienze di questa settimana, compariranno ben 52 Stati, compresi Stati Uniti, Cina e Russia che presenteranno memorie scritte e valutazioni nella sessione di una settimana del tribunale Onu. Israele non parteciperà, ma ha già presentato una sua memoria scritta lo scorso luglio, invitando la Corte internazionale a respingere la richiesta di parere.

Agnes Callamard, segretaria di Amnesty International, ha dichiarato: «L’occupazione israeliana della Palestina è l’occupazione militare più lunga e più mortale al mondo»

20/02/2024

da Remocontro

Piero Orteca

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