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Rovesciano la Costituzione, il 25 aprile cominciamo a dire di no

Rovesciano la Costituzione, il 25 aprile cominciamo a dire di no

Premierato; regionalismo differenziato; separazione delle carriere dei magistrati; flat tax. Le minacce che incombono sul futuro sono numerose e ciascuna, di per sé, insidiosissima. A rischio sono gli equilibri della forma di governo, la tenuta dell’organizzazione territoriale dello Stato.

Ma anche la configurazione dello stato di diritto e il principio di uguaglianza. Messe tutte assieme, costituiscono il più grave tentativo di rovesciamento dell’assetto costituzionale vigente che sia mai stato progettato. E, tuttavia, dopo decenni di scivolamento verso la sempre più marcata disattuazione della Costituzione – di cui l’esplosione della povertà è la più evidente conseguenza – debolissima è la percezione del pericolo in atto. E anche là dove la consapevolezza esiste, non di rado a dominare sono lo scoramento e la rassegnazione.

È per questo che l’idea del manifesto di «tornare a Milano il 25 aprile» arriva così opportuna. Anzi, necessaria. È davvero quello di cui c’era bisogno. Una grande manifestazione capace d’infondere coraggio a chi ha chiara la percezione del pericolo e di aprire gli occhi a chi ancora il pericolo non ha saputo coglierlo in tutta la sua imminenza. Una grande riunione di popolo, che valga anche da risposta all’irresponsabilità con cui le dirigenze dei partiti, pur ostili alla destra, decidendo di andare divise al voto hanno regalato una scontata vittoria elettorale ai nemici della Costituzione.
Il pericolo incombente è che i disegni governativi riescano a far deragliare il paese dai binari tracciati dal costituzionalismo del dopoguerra. L’obiettivo è ridurre la democrazia alla scelta del capo cui obbedire, al punto che la composizione del parlamento, l’organo che dovrebbe rappresentare la sovranità popolare, dipenderà dall’elezione del presidente del Consiglio.

Nelle mani del governo confluiranno i poteri d’indagine giudiziaria oggi assegnati alla magistratura, grazie alla separazione delle carriere che consentirà di porre i pubblici ministeri sotto il controllo del ministro della giustizia. Facile predire il loro alacre impiego nella repressione di un dissenso sociale destinato ad acuirsi nel momento in cui, con la flat tax, diminuiranno le risorse necessarie ad attuare i diritti costituzionali e, con il regionalismo differenziato, s’intensificheranno le disuguaglianze territoriali. Una doppia secessione dei ricchi – individuale e regionale – volta a definitivamente archiviare il principio di uguaglianza, pietra angolare della Costituzione repubblicana.

Salvare la Costituzione dev’essere l’obiettivo. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia rappresentano una minoranza del corpo elettorale. E una minoranza anche piuttosto circoscritta. Godono dei favori del 44 per cento dei votanti, ma, se si contano gli aventi diritto, il dato crolla al 24,5 per cento: appena un elettore potenziale su quattro. Se la destra appare più grande di quanto non sia, è grazie a una narrazione mediatica interessata a intimidire sul nascere ogni iniziativa d’opposizione. La realtà è che sconfiggere l’attacco alla Costituzione – cosa certamente non facile – è tutt’altro che impossibile. Il revisionismo costituzionale è fallito già due volte; può fallire la terza. A una condizione: riuscire a mobilitare tutte le persone animate da sincere convinzioni democratiche, incluse quelle che, alle elezioni, si rifugiano in un astensionismo politicamente motivato ma che, come accaduto nel 2016, sono pronte a riattivarsi quando in gioco sono i fondamenti costituzionali della Repubblica. Celebrare tutti insieme la prossima festa della Liberazione a Milano potrebbe essere il primo, decisivo, passo in questa direzione.

Scriveva Norberto Bobbio a proposito della guerra atomica, che pure è tornata a occupare la scena: «Non si può, non si deve essere ottimisti», perché «ottimista è colui che ha rinunciato a rendersi conto con sincerità, senza falsi idoli, del mondo in cui vive. Bisogna fare i conti coi pessimisti, perché potrebbero aver ragione». Ma poi aggiungeva: «Potrebbero, ma non devono. La salvezza è uno sforzo cosciente, e, ancora una volta, come sempre accade nella storia quando sono in gioco valori ultimi, un ideale morale». Ecco, dunque, perché ritrovarci in tantissimi il 25 aprile a Milano: per prendere coscienza che siamo giunti al punto in cui, per la Repubblica nata dalla Resistenza, sono in gioco i valori ultimi e avviare uno sforzo cosciente per la loro – la nostra – salvezza.

09/04/2024

da Il Manifesto

Francesco Pallante

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