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LA DEMOCRAZIA RIDOTTA PER LEGGE

Giovanni Russo Spena

08/08/2019

da Left

 

Insieme all’autonomia differenziata eversiva, il governo sta portando un attacco grave alla democrazia costituzionale: la riduzione del numero dei parlamentari, consistente nei numeri, motivata essenzialmente, demagogicamente, dalla riduzione della spesa.

La legge costituzionale che la prevede, bandiera programmatica del M5s, può fare scivolare l’Italia verso il presidenzialismo. La “secessione dei ricchi”, voluta dalla Lega e parte del Pd, connessa con l’indebolimento per sfinimento del ruolo del Parlamento, voluto dal M5s, potrebbe far maturare nel senso comune la necessità di un punto di riferimento istituzionale “forte”, un “uomo forte al comando” a cui delegare una decisionalità sempre più accentrata. Non a caso, ben lo sappiamo dalla lettura dei testi fondativi del M5s, da quello di Casaleggio a quello di Grillo, il M5s non ha a cuore la democrazia parlamentare. Finora, comunque, la proposta di legge costituzionale sul taglio dei parlamentari, che ha bisogno della doppia lettura alla Camera ed al Senato, ha ricevuto un numero di voti favorevoli che è al di sotto della soglia dei 2/3. Sarà dunque necessario, in primavera, procedere al cosiddetto referendum confermativo, come prescritto dall’art.138 della Costituzione.

 

Occorre costruire, sin da ora, un fronte politico e sociale largo, plurale, cosciente del tema. Non possono, infatti, interessarci le miserie tattiche: probabilmente il M5s usa questa sgangherata riforma costituzionale per allontanare caduta del governo e nuovo voto politico, che molto lo penalizzerebbe in termini di risultato. Forse spera di costruire una campagna elettorale qualunquista contro le spese della politica. In alcuni casi abbiamo dato loro ragione sulla necessità di contenere i costi eccessivi ed immotivati. Questa volta, invece, temiamo non si tratti di riduzione dei costi ma di riduzione della democrazia. Una riduzione drastica e giusta dei costi si potrebbe ottenere, ad esempio, con una netta riformulazione della paga dei parlamentari (di cui la legge costituzionale del M5s, è bene ricordarlo, non parla). Senza la necessità di cambiare la Costituzione. Si fa cattiva propaganda, poi, sostenendo che la riduzione del numero dei parlamentari condurrebbe automaticamente ad una maggiore efficienza. Sciocchezze demagogiche: molti costituzionalisti democratici, in questi anni, a cominciare da Gaetano Azzariti, hanno illustrato come la maggiore efficienza dipenda da una riforma seria e democratica dei regolamenti delle Camere, dal riconoscimento del ruolo e dei diritti dei gruppi parlamentari di minoranza, dall’evitare la pletora dei voti di fiducia, dalla riduzione della decretazione d’urgenza, che è una gabbia posta dal governo contro il Parlamento, ecc. Riforme serie, insomma, non verbosa demagogia.

 

Il problema diventa ancora più grave perché la proposta di legge costituzionale si accompagna ad una legge elettorale che non permette a cittadine e cittadini di eleggere democraticamente i propri rappresentanti (nominati direttamente dai capi-partito), i quali spesso agiscono come ancelle e non come persone a cui la Costituzione assegna autonomia e mandato libero, vincolato solo ai propri convincimenti. L’idea migliore sarebbe quella di tornare alla classica proposta di legge di Rodotà, Ferrara, parlamentari del Prc e molti altri, che prevede di mantenere la sola Camera dei Deputati con funzione legislativa piena, ma con parlamentari eletti con il sistema proporzionale puro, proprio perché il superamento del bicameralismo necessita di un dispiegamento dell’autorevolezza del Parlamento nell’attività legislativa. Invece l’attuale proposta di legge costituzionale è strettamente collegata ad una legge elettorale come l’attuale pessimo Rosatellum, che tiene conto solo della nuova proporzione tra elettori ed eletti. Con conseguenze aberranti anche per quanto concerne le soglie di eleggibilità (che supereranno il 5% alla Camera e il doppio al Senato). Quante aree del Paese rimarranno prive di rappresentanza? Potranno più minoranze, anche importanti e consistenti, entrare in Parlamento? Si creerà un sostanziale “numero chiuso” per eventuali nuovi partiti? Non vi sarà un immiserimento della dialettica democratica? Non si arriverà alla deriva di una separazione ancora maggiore tra “autonomia del politico” ed “autonomia del sociale”?

 

Il ministro per i Rapporti col Parlamento, Riccardo Fraccaro, uscendo dalla bolla della sua demagogia, si è mai posto queste domande? C’è poi il fatto – per me spiacevolissimo – che tutte le simulazioni fatte dagli esperti, anche istituzionali, ci dicono che la proposta di legge costituzionale M5s porterebbe, come esito elettorale, ad un surplus di parlamentari eletti da parte della Lega anche per la nuova configurazione dei collegi elettorali. Ma lo scopo dei Cinque stelle è la dissolvenza graduale del ruolo del Parlamento, inseguendo la frottola di una presunta democrazia diretta che “diretta” non è, perché è la democrazia tecnologica passivizzante del clic, del “mi piace”. La democrazia diretta è ben altro: è partecipazione, democrazia del conflitto, autogestione, autoorganizzazione. Noi siamo, invece, sicuri del fatto che quando il Parlamento è debole (e non si è in un contesto rivoluzionario), la democrazia è a rischio. Il governo non deve scaricare difficoltà, contrasti, differenti punti di vista sugli splendidi equilibri costituzionali, sulla separazione ed autonomia dei poteri costituzionali. Anche perché la democrazia costituzionale è sotto pressione. Si rischia di giungere ad un punto di non ritorno, se continuano controriforme e pericolosi strattonamenti quotidiani salviniani di militarizzazione della Rai, di tutte le strutture intermedie della società, delle Autorità di controllo.

 

Preoccupano le narrazioni di quotidiano autoritarismo a cui si accompagna una ribellione democratica molto fievole e atomizzata. Una «rivoluzione passiva», scrisse Gramsci in contesti simili. In una simile situazione storica aprire una campagna demagogica da parte del M5s adducendo i costi eccessivi del Parlamento è una ferita grave per la democrazia costituzionale. Anche perché, in controluce, si intravvede una operazione di media durata, condotta dalle destre ma su cui settori del Pd sono coinvolti, tesa a giungere a forme di presidenzialismo. Un regionalismo differenziato ed eversivo, un Parlamento sempre più debole, una opinione pubblica divisa e spaesata (con una sinistra politica debole ed emarginata) possono indurre il senso comune ad affidarsi ad un uomo forte, che sequestra la decisionalità. Meglio essere attenti, vigili. Noi di Left con le nostre forze, modeste ma essenziali, cominceremo da subito ad alimentare la mobilitazione contro la legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari (della democrazia, in realtà). Sosterremo comitati plurali larghi, con forte impronta sociale se si giungerà al voto sul referendum confermativo. Lo abbiamo già fatto – bene e con esito vittorioso – contro la riforma Boschi/Renzi. Lo faremo contro gli attuali poteri dominanti. Noi pensiamo che si viva bene e in democrazia se si vive dalla parte della Costituzione.