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20/02/2021
Tommaso Fattori
A me pare che lo “strano caso del programma di governo che nessuno conosce” (Gad Lerner) sia tutt’altro che risolto dopo l’intervento di Draghi alle Camere. ll che conferma che la fiducia al governo è stata concessa dai parlamentari, perdonate il gioco di parole, “sulla fiducia”, ossia alla cieca. Con il conforto di un sistema mediatico unanimemente adulante e di un sentimento popolare incline ad incoronare l’uomo della provvidenza di turno, osannato anche quando faccia discorsi di straordinaria banalità come quelli ascoltati alla Camera e al Senato.
Siccome Mario Draghi è infinitamente più intelligente e preparato di così, mi pare evidente che abbia scelto consapevolmente di sciorinare meri intenti generici, peraltro identici a quelli sentiti negli ultimi decenni in occasioni simili. Draghi si è limitato a pronunciare alcuni slogan, dove lo svolgimento dei singoli temi non aggiungeva niente rispetto ai titoli.
Dunque manca un programma specifico - o molto più probabilmente il programma non è ancora noto e ‘comunicato’ - ma non manca certo un’ideologia e una strategia di fondo. Si racconta che oltre destra e sinistra vi è un superiore sapere tecnico, incarnato da Draghi: non un mero sapere relativo ai migliori mezzi da utilizzare per raggiungere gli scopi identificati dalla politica, bensì profonda conoscenza dei giusti obiettivi stessi e dei fini da perseguire. Il governo Draghi, si dice, ha a cuore l’astratto bene della nazione, che è lo stesso per i milionari del Billionaire e per i riders in bicicletta, per i ricchi e per i poveracci. Un bene patriottico posto al di là e al di sopra delle ideologie.
Tuttavia, in termini concreti, il governo Draghi squarcia il velo di Maya, rivelando come centrodestra e centrosinistra condividano alcune scelte di fondo. Da lungo tempo i due poli, pur rappresentandosi come opposti, convergono verso politiche neoliberiste più o meno temperate, dalle privatizzazioni alla precarizzazione del lavoro. E chiunque abbia uno sguardo non ingenuo sa bene quale sia il grado di consociativismo presente a tutti i livelli, a partire dagli enti locali. Renzi e Verdini (ora suocero di Salvini) sono stati in Toscana il fulcro di questo neoconsociativismo, non a caso Renzi è uno dei registi dell’operazione Draghi per conto di un consistente blocco di interessi economico-finanziario.
Prenderà quindi forma un “liberismo dolce”, che cita Papa Francesco e si propone di garantire un certo grado di coesione sociale entro un contesto di espansione monetaria e fiscale antirecessiva. Ci attende un governo che avrà 210 miliardi da spendere e distribuire dando centralità all’impresa e mettendo lo Stato al servizio del mercato. In questa visione aziendalistico-mercatista, motore dello sviluppo sono le aziende e lo Stato deve limitarsi ad aiutare quelle non decotte, deve regolare il mercato, deve costruire le infrastrutture ritenute necessarie (speriamo non il ponte sullo stretto). Persino la scuola che ha in mente Draghi è, per l’appunto, professionalizzante e legata all’impresa, nel solco dell’alternanza scuola-lavoro.
Per questo Draghi non ha fatto alcun cenno allo Stato imprenditore e innovatore, non ha menzionato il reddito di cittadinanza, il salario minimo, la precarietà, né ha parlato di una riforma che rafforzi e valorizzi la sanità ‘pubblica’. Anche rispetto all’emergenza covid19, dopo aver detto alcune ovvietà sulle vaccinazioni, non ha voluto schierare il nostro Paese con chi sta chiedendo di garantire un rapido accesso ai vaccini per tutti, sospendendo i brevetti. Rispetto all’immigrazione, Draghi si schiera invece decisamente con Salvini (e Minniti): rimpatri, severità sugli ingressi, ripartizione fra Stati UE. E nel suo discorso menziona significativamente la Nato prima dell’Onu, tendendo oltretutto la mano ad un pericoloso autocrate come Erdogan, entro un rinnovato atlantismo che non mi pare coincidere esattamente con gli interessi europei.
Draghi naturalmente ha anche detto cose condivisibili, ad esempio sulla parità di genere, per quanto contraddette dalla formazione del suo stesso governo (maschile al 70%), o sulla questione ambientale, per quanto sembri volerla affrontare senza toccare l’attuale modello di produzione-consumo e confidando solo in miracolosi e profittevoli avanzamenti tecnologici.
Nel complesso questo sarà un governo di restaurazione ma senza essere passati da una rivoluzione. Sono anzi bastate alcune timidissime scelte in materia sociale a far ritenere persino Conte un’anomalia da normalizzare, il che pone un serio tema di democrazia in questo Paese, di cui però nessuno sembra preoccuparsi. E ora abbiamo davanti la maggioranza più larga della storia repubblicana dai tempi del governo Andreotti del 1978, nel periodo del rapimento Moro, dal quale rimasero fuori da una parte DP e radicali, dall’altra il MSI. Adesso il governo Draghi è quasi senza opposizione in Parlamento, ad esclusione della Meloni e del solo segretario di Sinistra Italiana Fratoianni, prontamente abbandonato dai due (ex) colleghi di partito De Petris e Palazzotto. E’ una vera e propria anomalia per una democrazia così detta liberale.
Questo non significa che saranno rose e fiori, il tasso di litigiosità di questo governo sarà altissimo specie attorno alla spartizione della torta dei 210 miliardi, dove peraltro la Lega si è portata un bel pezzo avanti piazzando Giorgetti in uno dei ministeri chiave, quello dello sviluppo economico. La sua durata è quindi incerta. Ma la destra, che riuscirà abilmente a giocare il doppio ruolo di governo e opposizione, vincerà le prossime elezioni.
Sia chiaro, Giorgia Meloni non è ‘altro’ da questo governo, come ha onestamente dichiarato lei stessa (“Draghi potrebbe scoprire che all'opposizione c'è qualcuno più leale di alcuni partiti della sua maggioranza”), ma ciò non toglie che quando le contraddizioni esploderanno, assieme al conflitto sociale, sarà Fratelli d’Italia l’unica forza parlamentare in grado di amministrare e capitalizzare l’alternativa e l’alterità al governo Draghi. L’ ‘appropriazione’ di Bertolt Brecht, che ha tanto indignato, è solo un assaggio di quel che ci attende. Insomma, grazie alla scelta dei parlamentari di LEU di governare, pur eletti con voti di sinistra, assieme agli xenofobi della Lega e al nemico assoluto d’un tempo, Silvio Berlusconi, sarà Giorgia Meloni ad intercettare tutto il malcontento e a divenire il naturale riferimento parlamentare del conflitto sociale che inevitabilmente crescerà nel Paese, spostando il quadro ulteriormente a destra. Mi era chiaro da tempo che non esiste più alcun limite allo pseudorealismo politico, neppure un limite di tipo etico. E’ ormai possibile e naturale, dall’accettazione del meno peggio per fermare il peggio, scivolare direttamente nell’alleanza con il peggio.
[immagine: “Mario Draghi e i quattro putti” di Cristina Donati Meyer]