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EDITORIALI E COMMENTI | DIRITTI
07/03/2022
da Valori
In passato l'Europa ha sostenuto Vladimir Putin politicamente ed economicamente. I diritti umani, invece, dovrebbero prevalere sempre
L’attacco all’Ucraina da parte di Vladimir Putin ha provocato una risposta dura da parte dei governi e delle aziende europei, che hanno scelto di schierarsi in difesa delle vite umane. Sebbene ciò sia confortante, questa nostra analisi dimostra e ricorda che le decisioni assunte a livello politico da parte di esecutivi, imprese, banche e investitori europei hanno svolto un ruolo cruciale nella costruzione del potere economico e militare di Putin.
Inoltre, sarebbe stato auspicabile che l’Europa rispondesse in modo simile ad altri terribili conflitti degli ultimi anni. E che avesse preso più sul serio l’enorme minaccia umanitaria posta dai cambiamenti climatici. Ciò fornisce quindi una lezione proprio per gli stessi governi, aziende e finanziatori europei. Utile per consolidare la loro ritrovata capacità di affrontare collettivamente le crisi umanitarie presenti e future.
Le risposte europee all’invasione russa in Ucraina, che sta creando ogni giorno sofferenza e sfollati, sono dunque – allo stesso tempo – confortanti e tardive. È confortante il fatto che i governi europei siano risoluti nel condannare l’invasione militare, imponendo sanzioni e offrendo sostegno agli ucraini in fuga dal Paese. È altrettanto confortante che grandi aziende come BP e Shell si ritirino dalle loro enormi joint-venture russe e che grandi investitori come il Fondo sovrano norvegese e ABP disinvestano da tutti i titoli di Stato e dalle azioni russe.
Allo stesso tempo, però, tutti questi passi risoluti non devono farci dimenticare il ruolo cruciale che gli interessi commerciali e finanziari europei hanno giocato nella costruzione del potere di Putin. Contrastare la sua aggressione comporta ora un’escalation molto pericolosa e sanzioni forti. Che colpiranno gli interessi economici russi e l’élite politica attorno al leader del Cremlino. Abbattendosi allo stesso tempo, in misura sproporzionata, sui cittadini russi comuni. Ce non hanno scelto questa guerra e la cui opposizione contro di essa è repressa con violenza. Le sanzioni europee stanno infatti punendo i cittadini per gli atti del loro leader autoritario. Che è sempre stato sostenuto dall’Europa.
L’Europa ha una buona parte di responsabilità nella creazione di questa crisi. A causa di decenni di sostegno economico, finanziario e morale al regime russo da parte di attori politici e aziendali europei, più dei loro omologhi di Stati Uniti, Giappone, Cina e altrove. Le continue violazioni dei principi umanitari, etici e giuridici negli ultimi decenni hanno pesato meno delle abbondanti riserve di petrolio, gas e carbone che Putin aveva da offrire.
Nulla ha fermato le aziende, le banche e gli investitori europei dal finanziare il settore dei combustibili fossili russi, il governo russo e – indirettamente – la produzione russa di armi (anche nucleari). Né la soppressione della voce di Alexei Navalny e di altre figure dell’opposizione in Russia, né le campagne delle Ong che chiedono il disarmo nucleare, né la devastazione ambientale causata dall’industria petrolifera russa, né la distruzione dei mezzi di sussistenza delle comunità locali intorno ai giacimenti di petrolio e gas e alle miniere di carbone.
Le prove presentate più e più volte dalla società civile sulle devastanti conseguenze sociali e ambientali degli enormi investimenti della Shell nel progetto Sakhalin LNG nell’estremo oriente della Russia – da cui ora sta finalmente disinvestendo – sono state ignorate dalla compagnia anglo-olandese e dai suoi finanziatori per più di 20 anni.
Anche i precedenti interventi militari della Russia all’estero non hanno scoraggiato le aziende e i finanziatori europei. Non l’invasione della Russia in Georgia nel 2008, né l’annessione della Crimea nel 2014. Né il bombardamento dei civili siriani da parte degli aerei di Putin dal 2015 in poi. Che la guerra in Ucraina abbia rappresentato la goccia che ha fatto traboccare il vaso e fatto finalmente cambiare le posizioni europee è sì confortante, ma anche tardivo.
Solo ora i governi e i consumatori europei hanno cominciato a rendersi conto della loro dipendenza dai combustibili fossili russi. Soprattutto dal gas, visto che i prezzi sono alle stelle. Ma è troppo facile incolpare Putin, o la fame di gas dei consumatori e delle aziende europee. I governi europei non sono riusciti a fare da apripista investendo in infrastrutture rinnovabili.
Le grandi compagnie europee dei combustibili fossili hanno preferito fornire ai loro partner russi le tecnologie necessarie per estrarre riserve fossili negli aspri ma vulnerabili ecosistemi russi, spesso coperti dal permafrost. E per trasportare questi combustibili fossili ai mercati europei, distanti migliaia di chilometri. Le banche e gli investitori hanno alimentato l’industria russa con migliaia di miliardi di euro. Finanziando tutte le fasi della catena del valore, dall’esplorazione e produzione agli oleodotti e altre infrastrutture necessarie per lo stoccaggio e il trasporto.
I grafici seguenti indicano quali sono le principali banche europee che hanno finanziato i settori del petrolio, del gas e del carbone in Russia nei cinque anni successivi all’Accordo di Parigi.
Anche se alcuni investitori europei hanno escluso gli investimenti in combustibili fossili e società russe già da tempo, i dati indicano che in molti detengono ancora partecipazioni azionarie e obbligazionarie. Nel frattempo, le banche e gli investitori europei hanno trascurato, come detto, gli investimenti nelle energie rinnovabili. Per esempio, alla fine del 2020, l’88% (34,3 miliardi di euro) degli investimenti totali di banche, assicuratori e fondi pensione olandesi nel settore energetico è andato a carbone, petrolio e gas. Tra il 2018 e il 2020, il 69% (9,1 miliardi di euro) dei prestiti bancari olandesi al settore energetico era attribuibile ai combustibili fossili. Persino l’Agenzia Internazionale dell’Energia, per lungo tempo la più importante sostenitrice dell’industria, in un recente rapporto ha concluso che il mondo «non ha bisogno di nuovi progetti sui combustibili fossili» se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima. L’attacco all’Ucraina da parte di Vladimir Putin ha provocato una risposta dura da parte dei governi e delle aziende europei, che hanno scelto di schierarsi in difesa delle vite umane. Sebbene ciò sia confortante, questa nostra analisi dimostra e ricorda che le decisioni assunte a livello politico da parte di esecutivi, imprese, banche e investitori europei hanno svolto un ruolo cruciale nella costruzione del potere economico e militare di Putin. Inoltre, sarebbe stato auspicabile che l’Europa rispondesse in modo simile ad altri terribili conflitti degli ultimi anni. E che avesse preso più sul serio l’enorme minaccia umanitaria posta dai cambiamenti climatici. Ciò fornisce quindi una lezione proprio per gli stessi governi, aziende e finanziatori europei. Utile per consolidare la loro ritrovata capacità di affrontare collettivamente le crisi umanitarie presenti e future. Le risposte europee all’invasione russa in Ucraina, che sta creando ogni giorno sofferenza e sfollati, sono dunque – allo stesso tempo – confortanti e tardive. È confortante il fatto che i governi europei siano risoluti nel condannare l’invasione militare, imponendo sanzioni e offrendo sostegno agli ucraini in fuga dal Paese. È altrettanto confortante che grandi aziende come BP e Shell si ritirino dalle loro enormi joint-venture russe e che grandi investitori come il Fondo sovrano norvegese e ABP disinvestano da tutti i titoli di Stato e dalle azioni russe. Allo stesso tempo, però, tutti questi passi risoluti non devono farci dimenticare il ruolo cruciale che gli interessi commerciali e finanziari europei hanno giocato nella costruzione del potere di Putin. Contrastare la sua aggressione comporta ora un’escalation molto pericolosa e sanzioni forti. Che colpiranno gli interessi economici russi e l’élite politica attorno al leader del Cremlino. Abbattendosi allo stesso tempo, in misura sproporzionata, sui cittadini russi comuni. Ce non hanno scelto questa guerra e la cui opposizione contro di essa è repressa con violenza. Le sanzioni europee stanno infatti punendo i cittadini per gli atti del loro leader autoritario. Che è sempre stato sostenuto dall’Europa. L’Europa ha una buona parte di responsabilità nella creazione di questa crisi. A causa di decenni di sostegno economico, finanziario e morale al regime russo da parte di attori politici e aziendali europei, più dei loro omologhi di Stati Uniti, Giappone, Cina e altrove. Le continue violazioni dei principi umanitari, etici e giuridici negli ultimi decenni hanno pesato meno delle abbondanti riserve di petrolio, gas e carbone che Putin aveva da offrire. Nulla ha fermato le aziende, le banche e gli investitori europei dal finanziare il settore dei combustibili fossili russi, il governo russo e – indirettamente – la produzione russa di armi (anche nucleari). Né la soppressione della voce di Alexei Navalny e di altre figure dell’opposizione in Russia, né le campagne delle Ong che chiedono il disarmo nucleare, né la devastazione ambientale causata dall’industria petrolifera russa, né la distruzione dei mezzi di sussistenza delle comunità locali intorno ai giacimenti di petrolio e gas e alle miniere di carbone. Le prove presentate più e più volte dalla società civile sulle devastanti conseguenze sociali e ambientali degli enormi investimenti della Shell nel progetto Sakhalin LNG nell’estremo oriente della Russia – da cui ora sta finalmente disinvestendo – sono state ignorate dalla compagnia anglo-olandese e dai suoi finanziatori per più di 20 anni. Anche i precedenti interventi militari della Russia all’estero non hanno scoraggiato le aziende e i finanziatori europei. Non l’invasione della Russia in Georgia nel 2008, né l’annessione della Crimea nel 2014. Né il bombardamento dei civili siriani da parte degli aerei di Putin dal 2015 in poi. Che la guerra in Ucraina abbia rappresentato la goccia che ha fatto traboccare il vaso e fatto finalmente cambiare le posizioni europee è sì confortante, ma anche tardivo. Solo ora i governi e i consumatori europei hanno cominciato a rendersi conto della loro dipendenza dai combustibili fossili russi. Soprattutto dal gas, visto che i prezzi sono alle stelle. Ma è troppo facile incolpare Putin, o la fame di gas dei consumatori e delle aziende europee. I governi europei non sono riusciti a fare da apripista investendo in infrastrutture rinnovabili. Le grandi compagnie europee dei combustibili fossili hanno preferito fornire ai loro partner russi le tecnologie necessarie per estrarre riserve fossili negli aspri ma vulnerabili ecosistemi russi, spesso coperti dal permafrost. E per trasportare questi combustibili fossili ai mercati europei, distanti migliaia di chilometri. Le banche e gli investitori hanno alimentato l’industria russa con migliaia di miliardi di euro. Finanziando tutte le fasi della catena del valore, dall’esplorazione e produzione agli oleodotti e altre infrastrutture necessarie per lo stoccaggio e il trasporto. I grafici seguenti indicano quali sono le principali banche europee che hanno finanziato i settori del petrolio, del gas e del carbone in Russia nei cinque anni successivi all’Accordo di Parigi. Anche se alcuni investitori europei hanno escluso gli investimenti in combustibili fossili e società russe già da tempo, i dati indicano che in molti detengono ancora partecipazioni azionarie e obbligazionarie. Nel frattempo, le banche e gli investitori europei hanno trascurato, come detto, gli investimenti nelle energie rinnovabili. Per esempio, alla fine del 2020, l’88% (34,3 miliardi di euro) degli investimenti totali di banche, assicuratori e fondi pensione olandesi nel settore energetico è andato a carbone, petrolio e gas. Tra il 2018 e il 2020, il 69% (9,1 miliardi di euro) dei prestiti bancari olandesi al settore energetico era attribuibile ai combustibili fossili. Persino l’Agenzia Internazionale dell’Energia, per lungo tempo la più importante sostenitrice dell’industria, in un recente rapporto ha concluso che il mondo «non ha bisogno di nuovi progetti sui combustibili fossili» se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima. Oltre a finanziare il settore russo dei combustibili fossili, molti investitori europei, come i fondi pensione, le compagnie di assicurazione e i gestori di patrimoni, hanno anche investito in titoli di Stato russi. I proventi di queste obbligazioni sono direttamente utilizzati per finanziare tutte le spese del governo russo. Comprese le enormi somme stanziate per l’esercito, per la produzione di armi e per il mantenimento delle testate nucleari. Degno di nota è anche il fatto che il sostegno europeo all’economia russa, e quindi al potere militare di Putin, è stato orchestrato in larga misura dai consulenti fiscali e dagli uffici fiduciari del centro finanziario di Amsterdam. Utilizzando le norme fiscali favorevoli dei Paesi Bassi e la sua rete internazionale senza precedenti di trattati fiscali, questi consulenti hanno aiutato le aziende russe e gli oligarchi a creare centinaia di società fittizie. Veicoli di finanziamento utilizzati per emettere obbligazioni societarie sui mercati internazionali, attirare prestiti da consorzi di banche internazionali e evitare le tasse su dividendi e interess Se i governi, le aziende e gli investitori europei si fossero preoccupati prima dei principi etici che hanno scoperto dopo l’invasione in Ucraina e se avessero preso sul serio la lotta ai cambiamenti climatici fin dalla Dichiarazione di Rio del 1992, avrebbero dato priorità alle rinnovabili. Avevano i mezzi e la responsabilità per assicurare già ora all’Europa la completa autosufficienza. Dare priorità alle energie alternative non solo avrebbe evitato il rafforzamento del potere economico e militare della Russia che l’Europa ora cerca di contrastare imponendo sanzioni. Avrebbe anche svolto un ruolo importante nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Questa settimana il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) ha pubblicato un nuovo rapporto in cui conclude che gli esseri umani e la natura sono ormai spinti oltre le loro capacità di adattamento. Siccità, incendi, tempeste, inondazioni e altri eventi meteorologici estremi minacceranno i mezzi di sussistenza di oltre il 40% della popolazione mondiale nei prossimi decenni. Ciò porterà migrazioni di massa a livelli da fare impallidire ciò a cui oggi assistiamo in Ucraina. Il presidente siriano Assad, con il sostegno militare russo, ha bombardato la sua stessa popolazione solo pochi anni fa. È solo un esempio di una lunga lista di conflitti drammatici, spesso legati ai combustibili fossili e ad altre risorse, degli ultimi decenni. Nei quali gli interessi economici hanno prevalso sulle preoccupazioni umanitarie e giuridiche. L’Europa ha reagito con risposte deboli o inesistenti. E quasi nessuna azienda o finanziatore ha disinvestito. Le persone che fuggono da questi conflitti sono ancora lasciate annegare nel Mediterraneo. Sono respinte alle frontiere europee. O costrette a confrontarsi con i malfunzionanti sistemi di asilo del Vecchio Continente. Solo ora che i carri armati russi sono pronti a percorrere le strade di Kiev, con il rischio di un’escalation del conflitto in altri Paesi europei, l’atteggiamento cambia. I governi offrono supporto militare e accolgono gli sfollati, le aziende si ritirano e gli investitori disinvestono. Perché c’è una grande differenza tra Putin e Assad: Putin sta minacciando vite e interessi europei, Assad no. Le vite siriane non valevano la pena. Proprio per questo gli attuali eventi in Ucraina potrebbero rappresentare un campanello d’allarme e rafforzare la richiesta di politiche governative basate sui diritti umani e sui principi di sostenibilità. Assieme ad una nuova e sincera ondata di responsabilità sociale delle imprese (Corporate Social Responsibility – CSR) nel mondo aziendale e finanziario. In quest’ottica, i passi effettuati nell’ultima settimana possono essere visti come un precedente. E come un segno che gli attori europei sono in grado di agire insieme per affrontare le diverse crisi in cui ci troviamo. Questo dà alla società civile la speranza e più che mai la legittimità di chiedere azioni tempestive ai diversi attori europei. Dopo l’invasione russa, gli attori politici, aziendali e finanziari europei hanno dimostrato di saper restare uniti e adottare misure significative per difendere la vita dei cittadini. È profondamente triste che sia stata necessaria una guerra devastante in Europa per far sì che questo accada. Ma mostra il potenziale che tutti gli attori europei hanno di agire collettivamente per affrontare le crisi umanitarie presenti e future. Assicuriamoci che tutti i passi che faranno d’ora in poi mettano le vite umane al primo posto. L’Europa si scaglia giustamente contro Putin. Ma serve anche autocriticaCosa c’è dietro le risposte confortanti dell’Europa
Le responsabilità dell’Europa
Il ruolo dell’Europa nella costruzione del potere di Putin
Il rolo delle banche europee
Gli investimenti in titoli di Stato russi
Il mancato raggiungimento dell’autosufficienza con le energie rinnovabili
Perché questa guerra suscita risposte diverse
Cosa potrebbero imparare gli attori europei
Ai governi si domanda:
Alle aziende europee si chiede:
Alle banche e agli investitori si chiede: