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EDITORIALI  E COMMENTI   |     MANIFESTIAMO PER LA PACE

 

08/04/2022

da Left

Di Simona Maggiorelli

 

L'orrore compiuto a Bucha dalle truppe al comando di Putin è indicibile. È stato un eccidio di civili, con esecuzioni sommarie anche di anziani, donne e bambini. Di fronte alle immagini delle fosse comuni e dei cadaveri per strada c’è chi ha l’ardire di dubitare, negando questa agghiacciante realtà comprovata anche dalle immagini satellitari oltre che dalle testimonianze dei sopravvissuti. Torna alla mente Primo Levi quando diceva che non riusciva a parlare dell’Olocausto perché nessuno gli avrebbe creduto.

 

Mentre scriviamo dalla tv arrivano, violentissime, le parole del ministro degli Esteri russo Lavrov che parla di manichini, attori, sceneggiate. Come è possibile, ci chiediamo, che trasmettano questa criminale propaganda sulla tv pubblica italiana senza contraddittorio? La verità atroce con cui dobbiamo tutti fare i conti è che truppe allo sbando in ritirata da Kiev o comandate dall’alto hanno commesso stragi sistematiche. Lo dicono i cadaveri ritrovati con le mani legate dietro la schiena, uccisi con colpi alla testa, non colpiti “per sbaglio” da un missile.

 

Ogni giorno si spalancano nuovi abissi di terrore. Non solo a Bucha ma anche a Irpin sarebbero state praticate torture di massa. E a Borodyanka ci potrebbero essere state più vittime civili che a Bucha. Arrivano notizie che parlano di stupri e atrocità di ogni genere con cui i soldati russi, le truppe cecene e i legionari della Wagner si sono accaniti sulle donne e sulla popolazione inerme, per distruggerne l’integrità psicofisica, arrivando poi a farne strage.

 

Conosciamo i crimini efferati e gratuiti che le truppe naziste in ritirata inflissero ai civili. Ma guardando le immagini che arrivano da Bucha ci tornano alla mente anche i massacri compiuti nella ex Jugoslavia dai serbo bosniaci di Ratko Mladić, a cominciare da quello di Srebrenica.

 

E non sappiamo ancora quante persone sono state uccise a Mariupol, quasi rasa al suolo con la stessa tecnica a tenaglia che Putin aveva già usato ad Aleppo e a Grozny. Impossibile tacere. Non lo facemmo allora non lo facciamo oggi. Impossibile, da sinistra, non prendere posizione di fronte a questa atroce e insensata guerra in cui si fronteggiano un aggressore, la Russia di Putin e un aggredito, l’Ucraina di Zelensky, pur con tutti i difetti di una democrazia in fieri, con molte contraddizioni che non sono rappresentate solo dal battaglione Azov.

 

Fin dall’inizio di questa guerra nel nostro piccolo ci siamo schierati con nettezza per una proposta nonviolenta L’ di risoluzione del conflitto, di costruzione della pace per via diplomatica, che non è stata ancora attuata con determinazione. Con dolore rileviamo che l’Europa non ha ancora esercitato quel ruolo che ci saremmo aspettati. Nata come sogno di pace, di costruzione democratica, inclusiva, basata sul rispetto dei diritti umani e sull’accoglienza, sta ancora mostrando troppo debolmente un volto democratico aprendo le porte ai profughi ucraini ma non facendo altrettanto con chi, di nazionalità diversa, fugge da questa o da altre guerre.

 

Cosa aspetta l’Unione europea a dare il via a una concreta iniziativa politica che porti a un cessate il fuoco e a una vera trattativa di pace? Perché in modo contraddittorio invia armi all’Ucraina ma poi continua di fatto a finanziare la guerra di Putin acquistando gas russo? Quante altre Bucha ci dovranno essere perché si decida per un embargo totale su gas e petrolio?

 

Invece di applicare sanzioni che ricadano in primis sullo zar e i suoi oligarchi, insensatamente, colpiamo il popolo russo isolandolo, mettendo al bando la sua straordinaria storia della letteratura e dell’arte, che innerva profondamente la cultura europea. Lavorare per un’Europa dei popoli e delle culture significa proteggere e preservare il patrimonio storico artistico ucraino (a cui - come raccontiamo su questo numero - sta lavorando anche l’Istituto nazionale di fisica nucleare italiano) ma significa anche non abbandonare quello russo, come scrivono ad apertura di questa storia di copertina lo slavista Lorenzo Pompeo, la docente di lingua e traduzione russa dell’Università per stranieri di Siena Giulia Marcucci e lo scrittore Paolo Nori che ha trasformato la minacciata censura delle sue lezioni su Dostoevskij alla Bicocca in un progetto da portare in giro per tutta l’Italia.

 

I loro diversi punti di vista dialogano e si intrecciano come in passato hanno sempre fatto la cultura ucraina e russa, che oggi sono diventate nemiche su tutti i piani. “Boicottaggio totale dei libri russi nel mondo!” è il titolo dell’appello lanciato dall’Ukrainian book institute. Molte personalità di spicco della cultura ucraina, a cominciare dal ministro della Cultura Oleksandr Tkachenko, a loro volta hanno firmato un appello pubblico invocando sanzioni contro le istituzioni culturali russe e chiedendo espressamente di limitare la presenza della Russia e dei suoi artisti nell’arena culturale internazionale. «La Russia è di fatto uno Stato totalitario, e troppo spesso usa strumenti culturali presi dalla sua cassetta degli attrezzi di propaganda statale», si legge nel testo pubblicato sul sito di Ukrinform, l’agenzia di stampa statale ucraina.

 

Mettere al bando la cultura russa significa isolare ancor di più i russi che si oppongono coraggiosamente a Putin

 

Per denunciare l’aggressione di Putin all’Ucraina, la Russia è stata esclusa dalla fiera del libro di Londra. La Buchmesse ha annunciato di avere sospeso la cooperazione con le istituzioni statali russe incaricate di organizzare lo stand collettivo russo alla Fiera di Francoforte. Nessuna censura culturale, invece, da parte del Salone del Libro di Torino. Ma in Italia non sono mancati episodi di ostracismo. Ha fatto molto discutere il caso del festival Fotografia europea di Reggio Emilia che, per interrompere la collaborazione con istituzioni russe, ha cancellato la mostra del fotografo Alexander Gronsky, arrestato in Russia perché protestava contro Putin.

 

Nonostante abbia lasciato il posto da prima ballerina del Bolshoi, in dissenso con la guerra, Olga Smirnova nei giorni scorsi ha rischiato di non poter danzare al San Carlo di Napoli accanto a Anastasia Gurskaya, prima ballerina dell’Opera di Kiev. Il console ucraino a Napoli e il ministro Tkachenko si sono opposti fortemente allo spettacolo dal titolo Stay with Ukraine perché vede insieme artisti ucraini e russi. Oltre a chiedere l’annullamento di tutti i progetti e la sospensione dei rapporti con centri culturali russi presenti in sedi internazionali, il ministro Tkachenko ha chiesto di vietare la partecipazione di artisti russi alla Biennale di Venezia, a Documenta, a Art Basel, ai festival cinematografici internazionali ecc.

 

Siamo solidali con i cittadini ucraini, sappiamo di storici dell’arte e galleristi ucraini che hanno rischiato e rischiano la vita per mettere in salvo opere d’arte, facendo lunghi viaggi in auto, sotto le bombe, come fecero tanti soprintendenti e storici dell’arte in Italia in tempo di guerra (da Pasquale Rotondi a Palma Bucarelli), ma al contempo non pensiamo che tutta la cultura russa debba essere messa al bando, colpendo peraltro quegli stessi artisti che furono e sono oppressi

 

Basta pensare agli artisti dell’avanguardia che dettero parole poetiche, forme e colori alla rivoluzione di Ottobre e poi furono perseguitati come sovversivi. Basta pensare all’imposizione sovietica del realismo socialista che tese a soffocare ogni altro tipo di libera ricerca. Ma per venire a tempi più vicini a noi potremmo ricordare anche la crescente censura che gli artisti hanno subito in Russia dove il governo ha progressivamente sempre più assecondato le richieste della Chiesa ortodossa.

 

Nel 2003 cinque attivisti cristiani ortodossi addirittura distrussero le opere esposte nella mostra Attenzione! Religione al Museo e centro sociale Sacharov di Mosca, perché giudicate blasfeme.

 

La saldatura fra imperialismo nazionalista di Putin e l’ortodossia religiosa è diventata ancor più forte da quando il presidente ha costituzionalizzato il rapporto con la Chiesa. Gli effetti li vediamo bene oggi con l’aggressione all’Ucraina benedetta dal patriarca Kirill come crociata contro gli omosessuali e l’Occidente corrotto che si è allontano da Dio, patria e famiglia. È questa ideologia di guerra e fondamentalista che va combattuta, non la cultura che è fonte di conoscenza.