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POLITICA ESTERA | ELEZIONI IN FRANCIA
08/04/2022
da Left
Stefano Galieni
Il 10 aprile i francesi votano per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Quali sono le chance della sinistra di ribaltare i pronostici che la davano spacciata fino a poche settimane fa? Ne parliamo con l’europarlamentare di France Insoumise Manon Aubry
Nell’imminenza delle elezioni presidenziali abbiamo raggiunto Manon Aubry, parlamentare europea per France Insoumise e co-presidente del gruppo The Left, a Strasburgo. Il suo partito, che dopo l’aggregazione con numerosi soggetti sociali si presenta come come Union populaire e ha candidato Jean Luc Mélenchon, è accreditato nei sondaggi, mentre scriviamo, di un risultato tale da poter impensierire Macron e Le Pen.
Alle presidenziali del 2017 France Insoumise prese quasi il 20%. Cosa può accadere con Union populaire?
Macron e Le Pen hanno rifiutato qualsiasi confronto N ma tutti i sondaggi hanno mostrato che è necessario fare i conti con noi. Siamo accreditati al 15% nelle intenzioni di voto. Ciò che sembrava impossibile qualche mese fa è ora una seria probabilità. I sondaggi mostrano che potremmo raggiungere il secondo turno eliminando l’estrema destra per poi battere Macron al ballottaggio del 24 aprile. Questa situazione non è frutto del caso ma di un lavoro iniziato più di un anno fa.
Su cosa si è basata la vostra campagna?
Il nostro programma rivendica la rottura netta con le politiche neoliberiste e riflette l’enorme vitalità dei movimenti sociali in Francia degli ultimi 5 anni: marce per il clima, mobilitazioni femministe, manifestazioni antirazziste, contro la distruzione delle pensioni, ecc. Union populaire ha riunito gli attori di queste lotte non attorno a un uomo ma ad un progetto comune lanciando una campagna di mobilitazione a tutto campo con grandi raduni popolari (100mila persone in Place de la République a Parigi) e incontri pubblici guidati da deputati in ogni città e villaggio. Siamo gli unici a bussare alle porte, ad andare davanti alla gente, a cercare gli astensionisti. Una vittoria rappresenterebbe un segnale per tutta la sinistra europea e globale. Il dibattito politico non può essere ridotto al liberalismo estremo contro l’estrema destra. L’alternativa è possibile e intendiamo dimostrarlo.
Avete dato estrema importanza ai temi sociali.
Certo. In caso di vittoria la prima misura che adotteremmo sarebbe il varo di una legge di emergenza per le classi popolari. Salario e pensioni ad un minimo di 1400 euro, il blocco dei prezzi dell’energia e dei generi di prima necessità per contrastare l’inflazione, l’età pensionabile a 60 anni, un’indennità di autonomia giovanile a mille euro e la garanzia che nessuno in Francia viva al di sotto della soglia di povertà.
Programmi ambiziosi, considerando i “danni” prodotti da due anni di pandemia e la crisi sulla crisi provocata dalla guerra.
In questo lasso di tempo le fortune dei 500 più abbienti si sono raddoppiate mentre in Francia ci sono 10 mln di poveri. Noi vogliamo una rivoluzione fiscale affinché l’1% più ricco paghi il dovuto attraverso la tassazione di grandi fortune e redditi elevati.
Cos’è l’ecologia popolare di cui parlate spesso?
I più poveri sono le prime vittime della crisi climatica. La pianificazione ecologica che proponiamo si concentrerà sulla ristrutturazione degli alloggi che riduce le bollette domestiche, sullo sviluppo del trasporto pubblico che deve essere gratuito, sulla produzione pubblica di energie rinnovabili a prezzi bassi. Aver compreso concretamente le interconnessioni fra sociale e ambientale ci rende forti. E un cambiamento istituzionale per la VI Repubblica è il modo per raggiungere questo obiettivo, attraverso un’Assemblea costituente che restituisca al popolo le redini del potere, definendo le regole del gioco stesso.
«Una vittoria di Union populaire rappresenterebbe un segnale per tutta la sinistra europea»
In Francia come in Italia, il consenso delle classi popolari si è però da tempo spostato verso l’estrema destra.
La destra beneficia del discredito della classe politica francese. Marine Le Pen mente quando dichiara di difendere le classi popolari. Il suo programma è molto più vicino a quello di Macron. È contro l’aumento del salaire minimum interprofessionnel de croissance (il salario minimo garantito), contro il pensionamento a 60 anni e contro il ripristino dell’imposta patrimoniale. È l’altra candidata dei ricchi oltre che della xenofobia e del razzismo. Lo abbiamo detto ai tanti “arrabbiati” ma non fascisti, tentati dall’estrema destra: “Non fatevi ingannare. La retorica anti-musulmana che inquina il dibattito con un inquietante livello di violenza è un diversivo”.
Negli ultimi 45 giorni, la campagna elettorale è stata molto influenzata dalla guerra in Ucraina. Quanto ha pesato a suo avviso?
Nelle iniziative di Union populaire si è posto particolare accento sull’indipendenza energetica, sul ruolo dell’Europa, le strategie legate alle alleanze fino a quella che è una catena alimentare globale. Sulla guerra il nostro giudizio è netto. L’aggressione militare di Putin è ingiustificabile e l’abbiamo condannata nei termini più forti. Raggiungere un cessate il fuoco e ritirare le truppe russe è la massima priorità di fronte alla terribile crisi umanitaria che gli ucraini devono affrontare.
Come si raggiunge questo obiettivo?
Costringendo Putin a negoziare, anche attaccando i suoi oligarchi. I loro beni vanno sequestrati e i paradisi fiscali che li ospitano, spesso in maniera opaca, devono essere severamente puniti. Il ritorno della guerra in Europa richiede più che mai una politica internazionale non allineata, che è stata tradizione in Francia dai tempi di De Gaulle. Dobbiamo di fendere gli aggrediti dagli aggressori, chiunque essi siano. Abbiamo detto di no quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq. Diciamo di no quando la Russia invade l’Ucraina. La Nato non è la soluzione, perché impedisce una voce indipendente della Francia e dagli Stati europei. Rifiutiamo il ritorno dei “campi”: la nostra diplomazia deve essere alter-globalista, al servizio della pace e del diritto internazionale.
Quello ucraino è il più vicino degli scenari di crisi e il più preoccupante, ma non certo l’unico.
Le tensioni geopolitiche globali sono elevate e aumenteranno in futuro, anche in conseguenza dei cambiamenti climatici e della scarsità di risorse che ne deriva. Il riarmo diffuso non è la soluzione e la costruzione della pace è un obiettivo prioritario per la sinistra. Noi chiediamo che si tenga una “conferenza sulle frontiere” nel quadro dell’Osce per individuare condizioni di sicurezza comuni per tutti.
Cosa pensa della corsa di diversi Paesi europei al riarmo?
L’Europa deve sollevare la questione della regolamentazione coordinata delle armi, in particolare di quelle nucleari, a livello internazionale, agire per rafforzare gli ambiti di mediazione come l’Onu e realizzare battaglie di interesse comune per l’umanità, soprattutto perché si agisca sul cambiamento climatico.
Lei è di origine corsa. In queste ultime settimane l’isola è scossa da profonde tensioni. Cosa ci può dire su questo?
Ho sempre avuto un attaccamento speciale alla terra della mia famiglia. Conservo magnifici ricordi e credo sia stata anche fonte del mio impegno politico. Ci sono tornata giorni fa e riporto il senso di abbandono che i corsi sentono dagli ultimi 5 anni. L’inflazione si aggiunge alle differenze nei prezzi dovuti all’insularità (tutto costa di più) e molti giovani laureati hanno come unica prospettiva i lavori ultra precari nel turismo. I servizi pubblici cadono in rovina, soprattutto nel settore sanitario e, di fronte a tutto questo, Macron ha mostrato solo disprezzo. Per scoprire che la Corsica esiste ci sono volute le manifestazioni drammatiche e violente, tre settimane prima delle elezioni.
Quali sono le prospettive?
Con Mélenchon abbiamo assunto l’impegno di trovare soluzioni all’emergenza sociale corsa, rispondendo anche al desiderio di autonomia. La Costituzione francese lo consente sulla base di ciò che viene fatto, ad esempio, per la Polinesia. È necessario abbassare le tensioni, oggi molto forti dopo la morte di Yvan Colonna, (l’indipendentista ucciso in carcere da un altro detenuto, alla cui morte sono seguiti disordini nell’isola, ndr) per ripristinare il dialogo e costruire un percorso comune per il futuro.