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POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA
08/08/2022
da Contropiano
di Giacomo Marchetti
Giovedì 4 agosto è stata l’occasione per la presentazione a Napoli del simbolo dell’Unione Popolare.
Il “Capo Politico” di UP, Luigi De Magistris, insieme agli altri rappresentanti delle forze politiche che l’hanno promosso, ha ben spiegato in conferenza stampa il senso di questo progetto nato da una convergenza tra Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, il gruppo delle parlamentari di Manifesta e il movimento che anche nel nome – DemA – , si ispira all’ex sindaco di Napoli.
Definite, in questi giorni, le candidature in accordo con le proposte emerse dai singoli territori, si può passare alla raccolta firme per potere essere presenti alle elezioni politiche anticipate del 25 settembre.
Sarà una corsa contro il tempo, resa ancora più difficoltosa da cavilli burocratici più concepiti per blindare la rappresentanza politica che per incentivare la partecipazione democratica.
E proprio la raccolta firme che avverrà a ritmi serrati ai banchetti quotidiani che i militanti hanno già predisposto, nonostante il caldo torrido dei prossimi giorni, è la prima sfida che affronterà l’Unione Popolare nel mentre il dibattito a sinistra è tutto concentrato sulla costruzione di una alleanza elettorale che tenga insieme il più largo campo possibile per “sconfiggere le destre”.
É un leitmotiv abbastanza logoro che, mutatis mutandis, si sente ad ogni passaggio elettorale per giustificare la dinamica del cosiddetto “voto utile”. A ben vedere il “voto utile” è servito fino a qui a promuovere la subordinazione alle varie mutazioni della maggiore formazione – erede del PCI – della sinistra dopo la svolta della Bolognina, prima PDS e ora PD.
SI ed i Verdi di Bonelli confermano la loro sudditanza politica alla coalizione guidata da Letta, nonostante i tentativi di smarcarsi dall’agenda Draghi, il loro percorso politico è tracciato e gli è mancato il coraggio politico per pensare seriamente ad un alternativa, fuori da questo – abbastanza patetico – mercanteggiare (ad uso delle telecamere) il proprio ruolo dentro il vicolo cieco neo-liberista e guerrafondaio prospettato dal PD. Il Partito Democratico, infatti, mira ad una sommatoria di voti per sconfiggere elettoralmente ma non politicamente le destre, con cui tra l’altro ha governato (con Forza Italia e Lega) sotto l’ala di Draghi. “Incidenti di percorso” non ce ne sono stati, ma solo rallentamenti fisiologici.
Conte, pensa dal canto suo, di preservare un ipotetico “tesoretto di voti” cercando di rifarsi una verginità persa da tempo in un velleitario tentativo di un “ritorno alle origini” del M5S, dissanguato da defezioni e scissioni – a sinistra come a destra – rispetto alle sue scelte governative, proprio a cominciare dall’appoggio al governo Draghi, dopo essere stato il perno di due esecutivi.
Ma la lancetta dell’orologio non può tornare indietro per il due volte capo dell’Esecutivo e per il comico genovese che ha fondato il movimento, soprattutto tenuto conto degli scarsi risultati conseguiti con cui si presenta di fronte a quegli elettori che l’avevano visto nel 2018 come una reale alternativa.
I Pentastellati correranno da soli ma non hanno uno straccio di struttura organizzativa che gli garantisca una capacità di tenuta di fronte alle scelte politiche non azzeccate, a parte tante chiacchire sulla democrazia digitale. L’essersi smarcati da Draghi e la sua agenda, potrebbero essere comunque essere il fattore che potrebbe incentivare l’approdo elettorale per una parte non irrilevante dello storico bacino di voti del Movimento, considerando il fallimento dell’alleanza tra Ital Exit ed Alternativa che rende poco probabile la presenza alle urne della costola staccatasi illo tempore.
Renzi, correndo probabilmente da solo, vuole assicurarsi i margini per la sua spregiudicatezza politica ed il suo trasformismo che non può essere ingessato dentro una coalizione trainata del PD con un peso relativo in cui non fa il bello e cattivo tempo. Ragioni simili hanno portato probabilmente Calenda, a fare un ragionamento simile all’ex sindaco di Firenze, pronti ad offrirsi al miglior offerente a tempo debito.
I due pivot attorno a cui si sono costruite le alleanze delle due maggiori coalizioni in formazione sono stati il PD che dopo la breve stagione del campo largo con il Movimento 5 Stelle – o meglio di ciò che ne rimane – successivamente alla “crisi” di governo si è posto ago della bilancia del raggruppamento del centro-sinistra e Fratelli d’Italia, forte dei risultati alle elezioni municipali e dei sondaggi che sembrano premiare l’opposizione di facciata della Meloni a Draghi, ed incarnare quel populismo d’estrema destra che gode di buona salute in buona parte dell’Unione Europea.
Quello a cui stiamo assistendo non è più né meno che al processo di decomposizione del quadro politico istituzionale delle forze che hanno caratterizzato l’ultima stagione politica che seppur con qualche irrilevante sfumatura o appoggiavano Draghi, o si sono ben tenute lontane dal disturbare seriamente il manovratore e promuovere una coerente opposizione, a destra (la Meloni) o a sinistra (SI).
Uno sfarinamento del quadro politico che è coevo e correlato con l’allargamebto del fossato tra paese reale e paese legale, senza che si intraveda la possibilità di sutura tra due mondi sempre più distanti.
Un processo che nonostante le alchimie elettorali attuali continuerà e si amplierà considerato che nessuno ha ricette nuove su come affrontare i nodi principali della crisi del mondo di produzione capitalistica, che non siano quelle elaborate dalle oligarchie continentali e dagli strateghi euro-atlantici. Questo porterà al netto delle leve che permettono di andare avanti con il pilota automatico da remoto, a una permanente crisi di governabilità ed all’intensificarsi dell’atomizzazione.
In questo contesto e con parole d’ordine chiare, l’Unione Popolare si gioca la propria partita: contro la guerra e per la costruzione della pace, per un transizione ecologica che non sia greenwashing ma risolva l’attuale crisi climatica, per la difesa e l’ampliamento delle ormai residuali garanzie sociali (lavoro, casa, istruzione e sanità) e dei diritti individuali contro le varie discriminazioni che questa società produce.