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La foto, il film, la testimone ammazzata

La foto, il film, la testimone ammazzata

L’immagine che ritrae Mahmoud Ajjour, bimbo palestinese di 9 anni con le braccia amputate, è tragica. Fa male. E deve farci male. L’ha scattata la fotografa palestinese Samar Abu Elouf per il New York Times, ed è stata premiata come foto dell’anno con il World Press Photo. “Questa è una foto silenziosa che parla con forza. Racconta la storia di un singolo bambino, ma anche di una guerra più ampia, le cui conseguenze si estenderanno per generazioni” Così ha dichiarato Joumana El Zein Khoury, direttrice esecutiva della World Press Photo Foundation. Una foto silenziosa, già. Ma che attraversa il rumore ottuso e scintillante dell’epoca e ci costringe a metterci in discussione, a comprendere quale architettura di potere orrenda accettiamo con troppa indifferenza; a chiederci che cosa possiamo fare per sottrarci da questa spirale crudele.

Manca un elemento importante in questa breve narrazione: chi sono i malvagi che hanno spezzato i sogni e le speranze di questo bambino? Sono i soldati dell’esercito israeliano, la cui condotta feroce e devastante prosegue a suon di massacri, con il ricco avallo del presidente Usa, nel silenzio imbarazzato e complice dell’Europa e dei governi satelliti occidentali.

Serve dirlo con una certa chiarezza, visto che sui media italiani la questione viene interpretata con mille equilibrismi, come se non ci fosse una vittima e un criminale, ma nell’onda lunga di una narrazione di convenienza, sicuramente tossica. Con titoli tipo: scontro Israele-Hamas, 100 morti. Senza specificare che lo scontro è nella maggior parte dei casi tra le sofisticate armi israeliane e i civili della Striscia di Gaza: donne, bambini, fuggiaschi terrorizzati e disarmati, medici e feriti sulle ambulanze. E che i morti sono i poveracci affamati e bombardati, spesso nei campi profughi, negli ospedali, o in fuga dalla guerra.

Poi, qualche giorno fa, l’ennesima uccisione selettiva, chirurgica direi. L’esercito israeliano ha fatto saltare in aria la casa di una giovane fotoreporter palestinese, Fatima Hassouna, 25 anni. Con lei ammazzati anche 10 suoi parenti a Gaza City.

Fatima è la protagonista di «Put your soul on your hand and walk», film della regista iraniana Sepideh Farsi che sarà presentato al Festival di Cannes. Un anno di corrispondenze a distanza, di dialoghi attraverso uno schermo, di suoni e testimonianze che ora sono un film. «Lei è diventata i miei occhi a Gaza e io il legame tra lei e il resto del mondo», ha dichiarato la regista. Poi una bomba non casuale sulla sua casa: bum, tutti morti.

Una foto, un film. Una testimone, l’ennesima, massacrata cinicamente da chi non tollera testimoni, da chi vuole che questo genocidio passi sotto silenzio. E se non siete d’accordo sul termine genocidio, indicatene un altro per definire questo massacro sistematico di donne, bambini, giornalisti; questa devastazione senza eguali di un luogo, questo mettere alla fame un popolo per fanatismo. Poi però, tutti insieme, noi cittadini che crediamo nella libertà, nella democrazia, nella giustizia sociale e siamo contro la schiavitù e la manipolazione delle coscienze, prendiamo posizione. Senza infingimenti.

Siamo tutti noi la comunità internazionale che deve salvare Gaza inerme dalla vendetta cinica di Netanyahu. Noi che dobbiamo spingere i nostri governi a rompere il patto scellerato, a non affidarsi ai trafficanti di armi che fanno affari con i criminali e orientano le scelte. Noi, come comunità di uomini e donne che credono nei valori della democrazia, dobbiamo tirar fuori la voce, e visto che siamo nei giorni del 25 aprile, riscoprire che cosa vuol dire Resistenza. Resistenza contro i massacratori e i loro zerbini, contro gli indifferenti e i negazionisti.

Se non cambiamo le cose tra qualche anno la Storia ci farà vergognare per questa opacità, per non aver voluto vedere, per i mille distinguo di comodo, per aver fatto finta di non capire, per essere rimasti schiavi alla catena di una mentalità ignorante e arrogante che sta dilagando nella società.

I nostri figli ci chiederanno conto dei silenzi di fronte alla distruzione del loro diritto a un futuro pacifico, equo, democratico in un pianeta non divorato dagli interessi dei criminali.

20/04/2025

da Remocontro

Antonio Cipriani

 

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