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POLITICA NAZIONALE | POLITICA ITALIANA
30/10/2022
Leonardo Senigallia
Standard Oil New Jersey (ESSO), Anglo Iranian Oil Company (AIOC, successivamente British Petroleum), Socony Vacuum (MOBIL), Standard Oil of California (SOCAL, successivamente Chevron), Texas Oil Company (TEXACO), Gulf Oil Company (GULF), Royal Dutch Shell (SHELL): queste le famose “sette sorelle”, le compagnie petrolifere, principalmente americane (la Shell aveva capitale misto anglo-olandese, la British anglo-americano), che nel 1964 arrivarono a controllare il 64% del mercato mondiale dell’oro nero.
Un vero e proprio oligopolio strumento d’affermazione della volontà geopolitica americana e di controllo dei paesi percepiti subalterni. In particolare dei paesi di recente indipendenza, come quelli del Medio Oriente.
Il controllo del mercato petrolifero era essenziale nell’ottica della Guerra Fredda, sia per finanziare lo sviluppo dei paesi occidentali, sia per prevenire l’acquisto della risorsa da parte dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati. Non si esitò da parte americana a difenderlo con la violenza, anche extralegale.
Nel 1951 il Primo Ministro iraniano Mohammad Mossadeq nazionalizzò l’Anglo-Iranian Oil Company, che da decenni sfruttava le risorse del paese persiano ad esclusivo vantaggio della Corona Britannica. La risposta del blocco occidentale fu immediata: fu imposto un embargo petrolifero all’Iran, in modo da dissuadere eventuali paesi interessati ad intraprendere un simile percorso. Nel 1953, dopo che l’embargo aveva paralizzato il settore petrolifero iraniano, tra il 15 e il 19 agosto i servizi segreti americani ed inglesi, sfruttando settori reazionari della monarchia, condussero l’Operazione Ajax, che rovesciò manu militari il governo di Mossadeq.
Sempre nel 1953, per l’Italia anno del cosiddetto “boom economico”, viene costituito l’Ente Nazionale Idrocarburi, sulla base dell’Agip, nato nel 1926 e sua colonna portante. Al centro dell’operazione Enrico Mattei, ex-partigiano, deputato della Democrazia Cristiana, che seppe garantire la creazione di una realtà economica pubblica nonostante le fortissime pressioni da parte di grandi settori dell’imprenditoria liberale e degli Stati Uniti d’America. Non è un caso che negli anni del Piano Marshall, formalmente “European Recovery Program”, nemmeno un centesimo venne trovato per le casse dell’Agip: dal punto di vista dei signori del petrolio a stelle e strisce la nascita nella penisola italiana di un nuovo contendente era da evitare, mentre dal punto di vista politico si dovevano ovviamente limitare gli spazi d’azione autonomi dello Stato italiano.
Fu Enrico Mattei a coniare l’espressione “sette sorelle”, il suo principale avversario nella sua lotta a tutela dell’interesse nazionale e del bene comune.
Ispirato da una visione “mediterranea”, individuò subito come interlocutori privilegiati i paesi arabi, che, non a caso, stavano affrontando anch’essi le pressioni se non le dirette aggressioni degli Stati Uniti e del blocco occidentale. E’ il caso dell’Egitto socialista di Gamal Abdel Nasser, che fra il 1952 e il 1953 vide l’abbattimento della monarchia e la cacciata delle truppe britanniche.
Gli accordi fra l’Eni e l’Egitto vedevano il paese arabo trattato come interlocutore di pari dignità, con grande impiego di manodopera egiziana a tutti i livelli, non solo a quelli esclusivamente manuali. I progetti per l’Egitto crebbero negli anni al crescere della fiducia fra Nasser e Mattei, e mentre il petrolio egiziano veniva esportato in Italia (28% del totale della lavorazione ENI al 1962), beni e servizi venivano garantiti all’Egitto in un piano di sviluppo infrastrutturale. La cosiddetta “formula Mattei”, fondata sulla cooperazione paritaria e non sul saccheggio, garantì rapporti proficui per entrambe le parti.
Mattei comprendeva perfettamente che lo sviluppo economico dell’Italia non poteva essere coniugato alla stretta osservanza del patto atlantico. L’Italia aveva l’interesse e la necessità di essere ponte fra l’Occidente e il ‘Sud del Mondo’, l’immensa massa di uomini e donne che, in lotta per rivendicare la propria dignità e libertà davanti a Washington e alle sue pedine, si estendeva dal Sud America all’Asia.
Non è infatti un caso che nel 1958, su invito del ‘China Commitee for the Promotion of International Trade’ Mattei si recò a Pechino, incontrandosi con l’allora Ministro degli Esteri della RPC Chen Yi, membro del governo di uno degli Stati in prima fila nella lotta contro ogni tentativo egemonico e guida dei cosiddetti “non allineati”. E non lo sono nemmeno i numerosi accordi commerciali che con la mediazione di Mattei furono raggiunti fra Italia e Unione Sovietica.
Proprio verso i paesi non allineati guardava Mattei. Grazie a Wikileaks, piattaforma di Julian Assange, è venuta alla luce una informativa interna del Ministero dell’Energia Inglese, che riportava queste parole dell’agosto del ‘62 di Mattei, proferite in conversazione privata: “Sono serviti sette anni per convincere il governo sull’apertura a sinistra, ti dirò che me ne serviranno meno di sette per trascinare l’Italia fuori dalla NATO e metterla a capo dei paesi non allineati”.
Appena due mesi dopo, il 27 ottobre, durante il volo fra Milano e Catania l’aereo su cui Mattei stava viaggiando esplose in volo, uccidendo lui, il pilota ed un giornalista. L’attentato con cui fu ucciso è da ascrivere alle numerose violenze di cui gli Stati Uniti si sono resi colpevoli per difendere e promuovere la loro egemonia, e poté essere compiuto con comprovate complicità in seno alle istituzioni italiani e all'azienda stessa. La colpa di Mattei, quella che gli costò la vita, fu quella di aver pensato e tentato di perseguire il sogno di un’Italia non più suddita di Washington, amica e dialogante con il resto del mondo.