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A RETI BONIFICATE

 POLITICA NAZIONALE |  POLITICA ITALIANA

 

31/10/2022

da Tag43

Marco Zini

 

Meloni cambia la Rai: il ministro alla Cultura Sangiuliano può agevolare il ritorno in qualche ente lirico all’ad Fuortes. Rao, in quota Fdi, pronto per il Tg1. Mariella e Preziosi a Tg2 e Radio. Al Pd il Tg3 con Orfeo, per il M5s Rai parlamento con Carboni. Mentre c’è chi resiste. Ma i problemi restano: pubblicità in calo, bolletta alle stelle, ascolti in picchiata.

 

Deve essere calato il gelo in Rai dopo le dichiarazioni programmatiche della presidente Giorgia Meloni quando ha parlato espressamente di merito come una delle linee guida del nuovo esecutivo. In un’azienda che da sempre ha obbedito alla bussola sulla politica, adempiendo a tutti i suoi desiderata, il richiamo al merito ha creato non poco sconcerto. Ma sarà vero o la scommessa per la scelta della futura classe dirigente della tivù pubblica è la solita foglia di fico dietro cui si procede con il solito metodo dei favori al Palazzo e di dirigenti e giornalisti che indossano ben visibile la casacca dei partiti di riferimento? Se si fotografa la situazione all’oggi, si vede come tutti gli attuali direttori di prima fascia che guidano l’azienda siano di estrazione politica. Nello specifico, a grande maggioranza, di derivazione centrosinistra e Movimento 5 stelle, ossia i due partiti al governo prima della vittoria della destra, e che forti di questo negli ultimi anni hanno ottenuto o si sono spartiti le posizioni più rilevanti. Per contro, nell’organigramma aziendale i pochi dirigenti indipendenti sono confinati a posizioni marginali.

 

Con la destra al potere, lo sport preferito a viale Mazzini è quello del riposizionamento

 

Nell’attesa di capire se anche in Rai verrà applicato il principio del merito o viceversa quello tradizionale e consolidato dell’appartenenza politica o di area, lo sport preferito a viale Mazzini è quello del riposizionamento. Preferito e di conseguenza più praticato da mesi, da quando cioè si era capito che il centrodestra avrebbe nettamente vinto le elezioni. Ed ecco che allora direttori come Simona SalaGiuseppina PaternitiAndrea MontanariClaudia MazzolaLuca MazzàPaolo Del BroccoMaria Pia AmmiratiRoberto NataleSilvia Calandrelli, solo per fare alcuni esempi, cercano affannosamente di distinguersi da chi nel passato recente li ha nominati in forza di una fedeltà a forze politiche oggi non più al governo. Come segno tangibile del nuovo corso, in Rai state accolte con calorose congratulazioni e tappeto rosso per la richiesta di aspettativa all’ex direttore del Tg2 e neo ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. A lui, ironia della sorte, il compito di liberare un posto in qualche ente lirico proprio a Carlo Fuortes, l’amministratore delegato della Rai scelto da Mario Draghi (su suggerimento del suo capo di Gabinetto Antonio Funiciello) che se ne pentì poco dopo la nomina. E che in prospettiva, lui che veniva dalla sovrintendenza dell’Opera di Roma, complice il Mibact potrebbe tornare a fare l’antico mestiere.

Fuortes si può salvare nominando subito Giampaolo Rossi direttore generale

 

Tutto questo però non dovrebbe succedere prima di marzo-aprile del 2023, quando ci sarà da scegliere (o confermare) i vertici delle più importanti aziende partecipate, e si libereranno delle caselle da offrire a chi deve dimettersi dal cda Rai per favorire il ricambio e consentire l’ingresso in grande stile di Fratelli d’Italia. A meno che Fuortes – che una capacità di essere trasversale l’ha dimostrata essendo rimasto sovrintendente dell’Opera di Roma mentre in Campidoglio si alternavano tre sindaci di diverso colore – non accetti di nominare subito Giampaolo Rossi, ex amministratore Rai e oggi suggeritore di Giorgia Meloni in materia di tivù e dintorni, come direttore generale.

A Monica Maggioni promessa una ricollocazione prestigiosa, magari anche fuori dalla Rai

 

A quel punto potrebbe partire la girandola delle direzioni dei telegiornali: Nicola Rao, in quota Fdi, per il Tg1 dove Monica Maggioni – che non parla più con Fuortes (e siamo a due dopo Orfeo) per il caso Fiorello – avrebbe avuto ampie rassicurazioni da Meloni in persona di una ricollocazione prestigiosa (magari anche fuori dalla Rai). Angela Mariella, in quota Lega e Antonio Preziosi, in quota Forza Italia, al Tg2 e alla Radio (o viceversa) dove verrebbe sacrificato Andrea Vianello. Al Pd resterebbe solo il Tg3 con l’inossidabile Mario Orfeo e i cinque stelle conquisterebbe Rai parlamento con l’ex direttore del Tg1 Giuseppe Carboni. Sicura conferma invece per Alessandro Casarin (Lega) alla Tgr e Paolo Petrecca (Fdi), nonostante i non certo esaltanti risultati della sua Rainews 24.

Troppa gente inesperta: quelli bravi alla Angelo Teodoli sono stati fatti fuori

 

Ma non sono certo i tg il problema della Rai. Pubblicità in calo, bolletta energetica alle stelle, ascolti in picchiata (solo RaiUno resiste dal Il paradiso delle signore in poi). Il buco nero è la riforma dei generi affidata in mani non esperte e guidata dallo stesso Fuortes. Esclusa la vecchia guardia, quelli bravi alla Angelo Teodoli che l’ex ad Fabrizio Salini aveva scelto per il coordinamento, si è puntato su figure meno esperte ma di più facile obbedienza. Così un po’ di conduttori si sono scelti il genere di riferimento, i manager degli artisti hanno ripreso a fare il bello e il cattivo tempo a dispetto delle policy della Vigilanza, il sindacato a battere i pugni e a ottenere perfino lo spostamento di Fiorello da RaiUno a RaiDue. Con il risultato che nei giorni scorsi sono stati rinviati al 2023 alcuni programmi, in particolare delle fiction, per risparmiare e presentare un bilancio migliore dell’anno scorso. Senza peraltro rinunciare a spendere un po’ di milioni per Fiorello alle 7 del mattino su RaiDue, una rete in gravissima crisi di ascolti. Misteri (e contraddizioni) della Rai che si appresta, complice la nuova maggioranza che guida il Paese, all’ennesimo costoso sottosopra.