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20/12/2012

da Left

Giulio Cavalli

 

Oltre 6 milioni e mezzo di nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato nel 2022, con un aumento del 238%. Il governo Sanchez è andato in direzione contraria rispetto a quello che ripetono da noi gli accesi sostenitori della precarietà come volano del fatturato e dell'occupazione

 

Lo scorso marzo il governo spagnolo ha introdotto nuove norme per il mercato del lavoro. La riforma limita a due i tipi di contratto a tempo determinato: il contratto strutturale legato alla produzione e quello di sostituzione di un altro lavoratore. Nel primo caso si fa riferimento ad aumenti occasionali e imprevedibili di produzione che richiedono un aumento temporaneo della forza lavoro. Può durare fino a sei mesi, fino a un anno nel caso in cui lo prevedano gli accordi di settore. Nella riforma sono rientrati anche i cosiddetti contratti “stagionali” che ora calcolano l’anzianità del lavoratore sulla base della durata del rapporto di lavoro e non solo sui periodi effettivamente lavorati. Si potrebbe dire che in Spagna il governo sia andato in direzione contraria rispetto a quello che ripetono da noi gli accesi sostenitori della precarietà come volano del fatturato e dell’occupazione.

 

E i risultati? Tra gennaio e novembre di quest’anno i nuovi contratti a tempo indeterminato sono stati oltre 6,5 milioni contro i circa 1,9 milioni sottoscritti nello stesso periodo dell’anno precedente: in percentuale, un aumento del 238,4%. I numeri sono stati resi pubblici dal ministero che prevede per il 2022 più di 7 milioni di nuovi posti fissi. A beneficiarne sono i lavoratori giovani (+142%) con una consequenziale discesa della disoccupazione giovanile. Raymond Torres, capo economista del think tank Funcas di Madrid ha spiegato che i «contratti stabili possono aumentare la fiducia dei consumatori e favorire un incremento della spesa per consumi». «Abbiamo messo fine all’idea che l’introduzione dei giovani nella forza lavoro debba avvenire attraverso contratti flessibili e instabili», ha detto Joaquin Perez-Rey, viceministro del lavoro e ideatore della riforma.

 

A proposito: in Spagna dal 2020 è stato introdotto un reddito minimo vitale, roba che qui da noi farebbe rizzare i capelli ai liberali scatenati. In Spagna il governo e i due principali sindacati del Paese, Ugt e Comisiones Obreras, hanno stretto un patto per fissare il salario minimo di quest’anno a 1.000 euro al mese (per 14 mensilità), con un aumento di 35 euro rispetto a quello del 2021. Anche in quel caso qualcuno aveva urlato allarmato che “non era il momento”. I numeri li smentiscono.