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IL RECORD DEI SUICIDI IN CARCERE E LE POSSIBILI SOLUZIONI

EDITORIALI E COMMENTI 

 

24/12/2022

da Tag43

Giulio Cavalli

 

Nel 2022 si sono ammazzate in cella 82 persone: mai così tante da quando si registra il dato. Come si può rendere la detenzione più dignitosa? Con reparti ad hoc per i nuovi arrivati, un’accoglienza seria nelle strutture, l’aiuto psicologico e più contatti con l’esterno.

 

A luglio sarebbe stato libero, ma i sei mesi mancanti non sono bastati per farlo desistere dal suicidio. Si è impiccato con un lenzuolo in cella nel carcere di Rebibbia. Era «un ragazzo di 30 anni», sottolinea la Garante dei detenuti di Roma Gabriella Stramaccioni, «con una pena breve». Il trentenne doveva scontare una condanna a meno di due anni per concorso in rapina e sotto i tre è possibile chiedere una pena alternativa al carcere. Il giovane, di origine bengalese, è l’82esima vittima di suicidio del 2022.

 

Sono 195 le vittime in totale: molte morti in corso di accertamento

 

Secondo il 
segretario generale del Sindacato di polizia penitenziaria (Spp) Aldo Di Giacomo «il suicidio a Rebibbia squarcia il velo del clima solo ritualmente natalizio per ristabilire il clima vero della “mattanza di Stato” che raggiunge il terrificante numero di 82 suicidi dall’inizio dell’anno. Mai un numero così alto da oltre 20 anni: tra suicidi e decessi sono 195 le vittime in totale, senza sottovalutare che per un buon numero le cause sono ancora in corso di accertamento». In realtà l’83esimo suicidio è quello di Giovanni Carbone, il 39enne originario di Matera che lunedì scorso ha ucciso a Miglianico (Chieti), la compagna Eliana Maiori Caratella.

 

Serve un ripensamento della funzione della pena

 

Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), il primo e più rappresentativo di questa categoria, spiega che «la via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere». Capece ha richiamato un pronunciamento del Comitato nazionale per la bioetica che ha sottolineato come «il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi d’identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze».

 

Molti soffrono di disagi psichici e dipendenze

 

L’associazione Antigone che di questo si occupa da sempre non ha dubbi: «Ovviamente non è possibile ricondurre l’accelerazione del fenomeno di quest’anno a delle ragioni precise. Ogni storia è a sé, frutto di personali dolori e personali considerazioni. Quello che però possiamo sicuramente dire è che la maggior parte delle persone che entrano in un istituto di pena ha alle spalle situazioni già di ampia complessità: marginalità sociale ed economica, disagi psichici e dipendenze caratterizzano gran parte della popolazione detenuta. In questi ultimi anni, Antigone nelle sue visite ha raccolto un numero sempre crescente di segnalazioni relative all’aumento di persone detenute con patologie psichiatriche e alla difficoltà di intercettare e gestire queste situazioni, spesso per mancanza di risorse adeguate e per l’inadeguatezza del carcere come luogo per la loro collocazione».

 

Serve più attenzione al momento dell’ingresso e dell’uscita

 

Il 2022 è stato l’anno peggiore per i suicidi avvenuti in carcere da quando si registra il dato. Una mattanza. In carcere ci si uccide oltre 21 volte in più che nel mondo libero. Quando nel 2009 si suicidarono 72 persone, i detenuti erano circa 7 mila in più. Le proposte sono sul tavolo da anni: una particolare attenzione al momento dell’ingresso e dell’uscita dal carcere, entrambe fasi particolarmente delicate e durante le quali anche quest’anno sono avvenuti numerosi casi di suicidio; reparti ad hoc per i nuovi giunti, un servizio di accoglienza strutturato in cui vengono informati sui diritti e le regole all’interno del penitenziario, la fruizione di colloqui con psicologi e/o psichiatri e maggiori contatti con l’esterno; più telefonate (da poter effettuare in qualunque momento, direttamente dalla propria stanza detentiva, non solo ai familiari e alle persone terze che rappresentano legami significativi, ma anche alle autorità di garanzia) e allo stesso modo più colloqui. E magari avere carceri degne di un Paese degno. Che “custodia” è quella di uno Stato che non riesce a salvare i suoi custoditi?