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Salari, lavoro, tasse, pensioni & C. Da Berlusconi trent’anni di promesse tradite

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Ha sempre promesso mari e monti, Silvio Berlusconi. Ma nel corso dei suoi quattro governi (1994-1995, 2001-2005, 2005-2006, 2008-2011) su tasse, lavoro, salari, pensioni nessuna promessa si può dire sia stata mantenuta. Partiamo dalle tasse. La pressione fiscale (dato Ocse) nel 1994 anno della discesa in campo dell’ex Cavaliere risultava al 38,7%.

Nel 2011 Berlusconi la lascia (sempre dato Ocse) al 41,9%. Ma è soprattutto la frase che amava ripetere il leader di Forza Italia – “Non abbiamo mai messo le mani nelle tasche degli italiani” – che si è rivelata falsa. Per dimostrarlo ci vengono in aiuto i diversi fact-checking de lavoce.info fatti nel corso di questi anni. Se fosse vero quanto ha ripetuto nel corso di un trentennio Berlusconi, tra i provvedimenti varati dai suoi governi non si dovrebbe trovare alcun aumento di tasse. Ma così non è stato. Gli economisti de lavoce.info passano ai raggi x l’estate del 2011.

L’IMPATTO DI BERLUSCONI SULL’OCCUPAZIONE È STATO NULLO. E IL SUO ULTIMO ESECUTIVO HA AUMENTATO PURE LE IMPOSTE

Quando nel pieno della tempesta dello spread, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, con l’obiettivo di stabilizzare i mercati, decise un forte aumento delle entrate, in particolare grazie a due decreti estivi (n. 98/2011 e n. 138/2011). Bankitalia riferì che l’aggiustamento di bilancio nel primo biennio (2011 e 2012) sarebbe derivato “quasi interamente da aumenti delle entrate”, a causa dell’aumento dell’aliquota dell’Iva dal 20 al 21 per cento, l’inasprimento delle accise, l’aumento dell’imposta di bollo sui conti deposito e dell’imposizione sulle attività finanziarie.

Il governo Berlusconi introdusse anche una clausola di salvaguardia pari a 20 miliardi, che sarebbe scattata nel caso in cui la legge delega di riforma del sistema fiscale e assistenziale non avesse garantito tagli dello stesso importo. La delega non raggiunse l’obiettivo e la clausola venne in parte disattivata dal governo Monti. Ma una sua seconda parte scattò durante il governo Letta e portò l’Iva al 22 per cento nell’ottobre 2013. Ecco perché negli anni successivi al 2011, la pressione fiscale aumentò del 2 per cento. Dunque sono state le decisioni prese da Berlusconi nell’ultimo anno da premier e scaricate sui governi successivi a determinare l’impennata.

Le manovre estive dell’ultimo governo Berlusconi hanno aumentato in modo considerevole il prelievo: di 2,6 miliardi nel 2011 fino ai quasi 40 miliardi (previsti) per il 2014. Perché il punto vero della questione è che le responsabilità politiche di Berlusconi non si possono limitare ai soli anni di governo ma, da parlamentare e da leader di Forza Italia, ha condiviso anche misure varate dagli esecutivi successivi, da Monti a Letta, da Renzi a Draghi. Quando il cosiddetto decreto salva-Italia, varato in condizioni di emergenza a fine 2011 dal governo Monti, introdusse l’Imu, l’allora Pdl, Berlusconi compreso, votò in modo compatto la misura, salvo ricredersi solo pochi mesi dopo. Seppur soffrendo, Berlusconi votò persino la fiducia al governo Letta e ha fatto parte del governo dell’ex banchiere. Berlusconi ha sostenuto di aver creato nel corso della sua carriera da premier un milione e mezzo di posti di lavoro.

Ma dai dati Istat sugli occupati emerge che l’impatto dei suoi quattro governi sul mercato del lavoro è stato quasi nullo. Il numero di occupati è aumentato solamente nel quinquennio 2001-2006, ossia durante i governi Berlusconi II e III. Durante gli altri due, il primo e l’ultimo, gli occupati sono diminuiti. Quindi, il saldo netto delle variazioni del numero degli occupati, nel corso dei suoi quattro incarichi da premier, è stato di + 71 mila. Per non parlare del flop sulla previdenza.

Dall’innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese promesso nel contratto del 2001, e solo parzialmente realizzato per una platea limitata da alcuni criteri, siamo passati alle pensioni minime a mille euro promesse nell’ultima campagna elettorale. Proprio per il discorso fatto in precedenza, l’eredità di Berlusconi non si può misurare solo sulla crescita a dir poco misera lasciata nei suoi anni di governo (il Pil reale pro-capite è sceso tra il 2001 e il 2011 in Italia del 3,1%) ma si deve valutare nell’arco di un trentennio.

Ecco allora che le responsabilità di Berlusconi si devono anche misurare nella curva sui salari che ci dicono che (dato Ocse) in Italia negli ultimi trent’anni, dal 1990 al 2020, le retribuzioni sono scese del 2,9% mentre nel resto del mondo sono cresciute. Ieri l’Istat ha comunicato che la ripresa dell’economia non ha ridotto il rischio di povertà ed esclusione sociale dei cittadini. Vivono in questa condizione oltre 14 milioni e 300 mila persone, poco meno di un quarto della popolazione nel 2022, quasi come l’anno precedente. Non solo.

Le disuguaglianze nei redditi sono rimaste tali e quali, ma senza il reddito di cittadinanza e gli altri sostegni per il Covid sarebbero state ancora più elevate. Ebbene il nuovo governo di destra, di cui Berlusconi faceva fieramente parte, con il solo rammarico di non sedere sul trono ora occupato da Giorgia Meloni, ha deciso di smantellare il Reddito di cittadinanza. Ci pare abbastanza per valutare le responsabilità politiche di Berlusconi e la sua eredità.

 

15/06/2023

Abbiamo ripreso l'articolo

da La Notizia

di Raffaella Malito