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DALMAZIA MEMORIAE . IL GIORNO DEL RICORDO TRA REVISIONISMO E MANIPOLAZIONE POLITICA

EDITORIALI E COMMENTI    

 

10/02/2023

da Tag43

Marco Fraquelli

 

La tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata non va certo dimenticata. Ma occorre contestualizzarla storicamente, liberandola da incrostazioni ideologiche e revisionismi. Magari riconoscendo finalmente la violenza fascista nella ex Jugoslavia. Purtroppo, ancora oggi, l’impresa sembra impossibile.

 

Si celebra oggi il cosiddetto Giorno del ricordo, istituito da una legge (la n. 92 del 30 marzo 2004) con la quale lo Stato italiano decise di promuovere ufficialmente il ricordo della data simbolo del 10 febbraio 1947, giorno legato alla tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, seguito alla firma del Trattato di pace di Parigi tra l’Italia e le potenze alleate. Con la celebrazione del ricordo, si riaprono però le consuete polemiche che, dal 2004 a oggi, hanno accompagnato questo anniversario. Per la verità, anche in virtù di una narrazione di stampo revisionista che, va detto, fa a pugni con ogni ragionevole contestualizzazione storica. Intendiamoci, quella delle foibe fu vera tragedia, ma per comprenderne la portata occorrerebbe una più serena valutazione in riferimento alla sua contestualizzazione anziché un approccio puramente ideologico con la quale viene rappresentata, e che ha portato a definirla nientemeno che la nostra Shoah (copyright di Matteo Salvini, 10 febbraio 2019).

Il balletto dei numeri

A favorire questa percezione “ipertrofica” della vicenda, il balletto dei numeri a proposito delle vittime, perché, in mancanza di un serio e approfondito studio, si è lasciato campo libero a chiunque di sparare cifre a caso. L’esempio forse più eclatante è quello di Maurizio Gasparri che, nel 2004, mentre era ministro delle Comunicazioni, a una trasmissione radiofonica, parlò di un milione di vittime. Mentre, dopo decenni di ricerche approfondite, gli specialisti del tema concordano su cifre del tutto più contenute (forse un migliaio, al netto di tutte le altre migliaia di morti, civili compresi, che, in quelle zone e in quel concitato momento, caddero vittime della violenza incrociata fra partigiani titini, soldati italiani, civili e collaborazionisti serbi). Naturalmente non è sulla quantità che si misura una tragedia, da questo punto di vista nessuno può disconoscere la drammaticità di quanto accaduto, ma la contestualizzazione storica va sempre e comunque considerata. E possibilmente rispettata.

Le violenze fascista in Jugoslavia

In questo senso è importante chiarire meglio i contorni della italianizzazione forzata dei territori jugoslavi irredenti (che prevedeva addirittura l’adozione della lingua italiana come lingua ufficiale), iniziata con la fine della Prima Guerra mondiale, e che si era accentuata con il fascismo, all’indomani dell’occupazione della Jugoslavia (1941), una occupazione che, impropriamente definita “allegra”, termine che la pubblicistica revisionista ha utilizzato per alimentare il mito dell’italiano tutto sommato comprensivo e non violento, si rivelerà invece cruenta e repressiva. Il risultato delle violenze fasciste è impressionante: oltre 13 mila sloveni e croati morti nei lager in territorio italiano; non meno di 2.500 civili e partigiani fucilati sul posto, cioè durante azioni belliche; 1.500 civili fucilati dopo l’internamento, per stanare le bande partigiane o per vendetta contro azioni verso i nostri militari; quasi 200 morti per sevizie e torture. E questo solo nella provincia di Lubiana.

La mancata Norimberga italiana

Peraltro, e per contro, va anche sottolineato come nessuno dei protagonisti delle violenze fasciste in Slovenia sia mai stato perseguito, disattendendo le aspettative jugoslave per una “Norimberga italiana“. Il principale protagonista, il generale Mario Roatta, fu, in effetti, processato, ma per la sua implicazione nell’omicidio dei fratelli Rosselli, e comunque riuscì a fuggire, con la complicità dei carabinieri (al cui comando in quel periodo c’era Taddeo Orlando, anch’egli militare fascista in Slovenia), in Vaticano e quindi nella Spagna franchista, da dove tornò, amnistiato, nel 1966, per morire due anni dopo, dopo aver fondato il cosiddetto Noto servizio, conosciuto anche come l’Anello, un servizio segreto clandestino che ha attraversato la storia italiana almeno fino ai tardi Anni 70 del secolo scorso, e la cui vita si è intrecciata con le pagine più oscure della nostra storia, dal Golpe Borghese alle stragi di Piazza Fontana e Piazza della Loggia al caso Moro. Nessuna conseguenza anche per Mario Robotti, il “grande deportatore” di Lubiana e molti altri ancora.

                             

Revisionismo a colpi di fiction

Tutto questo, comprese le responsabilità britanniche nel processo di occultamento, è talmente noto che la Bbc produsse, nel 1989, Fascist Legacy, un documentario estremamente approfondito sia sui crimini di guerra italiani in Africa che nei Balcani, sia sulla loro impunità successiva. Fascist Legacy, trasmesso da molte televisioni del mondo, fu acquistato nel 1991 anche dalla Rai, ma mai trasmesso. In compenso, la Rai ha co-prodotto, e trasmesso, due film: Il cuore nel pozzo, 2005, e Rosso Istria (trasmesso da Rai2 anche ieri sera), entrambi smaccatamente revisionisti e addirittura propagandistici, promotori di una tesi vittimistica e assolutoria che presenta un’Istria divisa tra i buoni e innocenti cattolici italiani e cattivi e feroci atei slavi, mentre una violenza improvvisa e immotivata si abbatte sui poveri italiani. Ma se Il cuore nel pozzo si limita a parlare, appunto, di italiani vittime del comunismo slavo, Rosso Istria va oltre: vittime della violenza sono i fascisti, che indossano la camicia nera, invocano il Duce e affidano le loro speranza ai bravi nazisti perché giungano a portare la pace laddove i comunisti hanno portato la guerra.