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Cara Meloni, Argentina Altobelli lottò per il riscatto delle lavoratrici e si oppose al fascismo

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18/03/2023

da Left

Silvia Bianciardi

 

Sindacalista, sostenitrice dei diritti delle donne per 20 anni diresse la Federazione nazionale dei lavoratori della terra. La sua fu una militanza che mirava all’emancipazione delle persone

Sul palco del Congresso della Cgil la presidente del Consiglio e leader di Fratelli d’Italia cita Argentina Altobelli, prima donna in Italia a guidare un sindacato, ma “dimentica” di dire che da socialista si oppose al fascismo che cercò in ogni modo di tacitarla. Per ricordare la straordinaria figura di Altobelli riproponiamo l’articolo della ricercatrice Silvia Bianciardi pubblicato il 26 novembre 21 su Left, in occasione del convegno organizzato dalla Flai Cgil per i 120 anni di Federterra

Argentina Altobelli fu una sindacalista, una pubblicista, una sostenitrice della causa dell’emancipazione e dei diritti della donna ma soprattutto fu una militante socialista, perché questo lei stessa si considerava prima di tutto. L’importanza della Altobelli è connessa al fatto che quasi per vent’anni ricoprì il ruolo di segretaria della prima organizzazione sindacale a carattere nazionale che si costituì in Italia, la Federazione nazionale dei lavoratori della terra (Fnlt) che nacque a Bologna nel 1901 e che rappresentò un fenomeno unico in Europa.


Nata a Imola nel 1866, da una famiglia di idee liberali e di forte sentire patriottico, da nubile si chiamava Bonetti, ma dopo il matrimonio si presentò sempre con il cognome del marito: Abdon Altobelli con il quale stabilì un rapporto moderno, di profonda complicità sentimentale e di condivisione ideale. Abdon, letterato e allievo di Carducci, fu il fautore più convinto dell’attività pubblica della moglie non esitando mai, durante i suoi viaggi per impegni di lavoro, a sostituirsi a lei nelle incombenze domestiche e nella cura dei figli. Argentina, dapprima su posizioni mazziniane, individuò nella causa del riscatto dei lavoratori della terra, e specialmente delle donne dei campi, «le diseredate fra gli oppressi» – come era solita definirle -, il movente della sua adesione al socialismo. Fu tra questa umanità sofferente e sfruttata che con gli altri compagni socialisti della sua generazione intraprese un’intensa opera di “predicazione” del verbo socialista e di materiale creazione e consolidamento delle strutture organizzative di base del nascente Partito socialista italiano (Psi) e del movimento sindacale, che sul finire dell’Ottocento si svilupparono assieme, in un intreccio costante. Nell’ambito delle multiformi istituzioni del movimento operaio in formazione affinò le sue capacità di sindacalista e propagandista: nel 1890 divenne presidente della Società operaia femminile di Bologna; nel 1893 fu tra i fondatori della locale Camera del lavoro. Svolse un’assidua attività pubblicistica su importanti periodici socialisti: l’Avanti!, La Confederazione del lavoro, La Difesa delle lavoratrici e soprattutto La Squilla, che fu poi anche l’organo di stampa della Fnlt. Nel 1901 prese parte al Congresso di fondazione della Fnlt e in quell’occasione intervenne per chiedere di riservare spazio «alle rappresentanti delle leghe femminili», nelle quali individuò «un fenomeno nuovo e interessante», segnalando il tema della presenza di genere che ha poi attraversato tutto il Novecento. Nel 1905 subentrò al socialista mantovano Carlo Vezzani alla segreteria della Fnlt soprattutto in virtù dell’importante lavoro di direzione compiuto nella Federazione provinciale bolognese dei lavoratori della terra, che si era costituita fin dal 1902.

Pochi anni dopo fece il suo ingresso anche nel Consiglio direttivo nazionale della Confederazione generale del lavoro, diretta da Rinaldo Rigola e costituitasi nel 1906 e in quello stesso anno si affermò persino come dirigente nazionale del Psi, quando il IX Congresso nazionale del Partito socialista svoltosi a Roma, la designò tra i componenti della Direzione nazionale del partito, e successivamente fu confermata nell’incarico nel 1908 e nel 1910. Nel 1912 fu nominata, in qualità di rappresentante del lavoro agricolo, tra i componenti del Consiglio superiore del lavoro, organo consultivo dello Stato, istituito dal governo Zanardelli nel 1902 dove la concertazione fece i suoi esordi e dove nacquero le prime leggi sociali e le garanzie sul lavoro così difficili da far valere soprattutto nelle campagne.

 

Fu sempre vicina alla componente riformista del partito e nell’ottobre del 1922, consumatasi la frattura con i massimalisti, seguì Turati, Prampolini e gli altri riformisti, che lasciarono il Psi per aderire al Partito socialista unitario, guidato da Giacomo Matteotti. La Altobelli rimase segretaria della Fnlt fino al suo scioglimento avvenuto tra il 1924 e il 1925. Con il fascismo, ormai anziana si allontanò dalla politica attiva ma fu sempre sorvegliata dal regime, fino alla sua morte nel 1942.


Certamente il dato più appariscente della vicenda umana e politica di Argentina Altobelli è legato alla sua appartenenza di genere: eccezionale si segnala la circostanza che la vide in quanto donna imporsi con incarichi di vertice nel partito, nel sindacato e addirittura affermare la sua presenza nella compagine delle istituzioni statali in un periodo, l’inizio del Novecento, durante il quale le donne erano escluse dal diritto di voto e l’impegno politico era considerato per loro inconsueto e addirittura disdicevole.


Spicca pertanto la modernità del suo personaggio di donna, tra le pochissime attive in politica con funzioni dirigenziali e di grande responsabilità, che agiva in organizzazioni e contesti all’epoca esclusivamente maschili con grande consapevolezza e con la ferma determinazione di non mortificare alcun aspetto, financo il più esteriore del suo essere femminile, rivendicando anzi costantemente, nello svolgimento della sua attività politica e sindacale, l’importanza non solo del ruolo pubblico ma anche del ruolo familiare e materno della donna, cui attribuiva un rilievo appunto politico e sociale, una funzione educativa essenziale che dalla famiglia si estendeva alla società. Con la sua azione politica, ma anche con la forza della sua esperienza personale, la Altobelli si impegnò ad affermare una concezione dell’emancipazione femminile, che secondo la linea indicata da Anna Kuliscioff, poneva al centro la donna essere sociale, cittadina e lavoratrice, un’idea di emancipazione che non si limitava alla enunciazione in astratto della parità di diritti ma che richiamava la differenza tra i generi e la specificità femminile ponendole a sostegno della rivendicazione di riforme sociali in favore della donna, che fossero utili a conferire alla sua uguaglianza di diritti, concretezza e sostanza. Basti pensare anche solo alla propaganda incessante da lei condotta nel 1902 a favore del progetto di legge Kuliscioff sul lavoro delle donne e dei fanciulli.


La sua storia non fu tuttavia solo una storia di emancipazione femminile ma fu soprattutto una storia di militanza socialista tenace, incessante, costantemente riaffermata. La Altobelli fu infatti tra gli esponenti di spicco di quella generazione cosiddetta “dei pionieri” o apostoli del socialismo” che tra Ottocento e Novecento fu materialmente impegnata nella creazione e nell’impianto delle strutture organizzative di base del movimento operaio: le società operaie, le leghe sindacali, le cooperative, i circoli politici e poi le federazioni socialiste, dalle quali si originò il socialismo in Italia, con le sue istituzioni che si rivelarono quelle portanti della sinistra italiana. Fu nel lavoro pratico quotidiano svolto all’interno di queste organizzazioni, nel contatto diretto e ravvicinato stabilito con la classe lavoratrice, e soprattutto con le fasce più marginali e precarie di essa – quali erano i braccianti, gli avventizi, i mezzadri, e ancor più le donne che lavoravano i campi, impiegate spesso nei lavori stagionali, come mondariso o nello svolgimento di lavori a domicilio (sartine, filatrici) – che la Altobelli e gli altri organizzatori ed esponenti socialisti riformisti maturarono una concezione integrale del socialismo.


Questo era inteso come riscatto totale dell’umanità sfruttata tanto dalla schiavitù economica quanto da quella morale, concretandola in un’azione di sensibilizzazione politica e sindacale che non si limitò mai al mero rivendicazionismo economico ma che si tradusse in una vera e propria opera di alfabetizzazione civica e di educazione politica, in un lavoro cioè di vera e paziente costruzione della democrazia e del socialismo dal basso, a partire dai suoi minimi presupposti morali e sociali e innanzitutto a partire dall’uomo, dalla formazione della sua coscienza morale e civica oltre che di classe.