21/03/2023
da Remo Contro
Storia in pillole. La guerra in Iraq (o seconda guerra del Golfo) è iniziata il 20 marzo 2003 con l’invasione da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti ed è terminata il 18 dicembre 2011 col passaggio dei poteri (ma non dei soldi del petrolio) alle autorità irachene comunque agli ordini dall’esercito americano. Obiettivo dichiarato allora, sequestro delle ‘armi di distruzione di massa’ inesistenti, di fatto la deposizione di Saddam Hussein (poi impiccato). Il 15 aprile 2003 tutte le principali città erano già nelle mani della coalizione, e il 1º maggio il presidente Usa Bush dichiara concluse le operazioni militari su larga scala.
Dopo di che, impiccato Saddam, il conflitto si tramutò in una ‘guerra di liberazione’ dalle truppe straniere, considerate invasori da molti gruppi armati arabi sunniti e sciiti, per sfociare infine in una guerra civile fra le varie fazioni, causata da una sciagurata gestione del potere.
Un crimine senza colpevoli e un Paese sotto ricatto Usa
«Nessuno ha mai condannato Bush jr e Blair per l’invasione dell’Iraq nel 2003 e la menzogna delle armi di distruzione di massa mai trovate», la considerazione sintesi di Alberto Negri. «E venti anni dopo l’Iraq non ha riacquistato la sua sovranità monetaria e finanziaria: i soldi del petrolio vanno direttamente alla Fed Usa che poi, quando gli pare, li redistribuisce a Baghdad. Un’arma di ricatto di cui nessuno parla».
‘Negri 2’, crimini di guerra a scelta di chi comanda
«Giusto perseguire Putin ma un giorno si vorrebbero vedere alla sbarra anche i leader americani, inglesi e israeliani che crimini di guerra ne commettono a josa. Venti anni fa Bush jr e Blair scatenavano la guerra in Iraq con la menzogna di armi di distruzione di massa mai trovate: un decennio di anarchia e stragi e 500mila iracheni uccisi. Ma si vede che i bambini iracheni affamati, senza medicine e che morivano nelle incubatrici valevano di meno».
Dopo queste mazzate, cronaca di guerra
«Alimentata da un gruppo di ideologi noti come i ‘neoconservatori’, l’invasione statunitense dell’Iraq del 2003 fu la prima mossa dell’amministrazione Bush per riprogettare il Medio Oriente», l’incipit di Valeria Cagnazzo su Pagine Esteri. Progetto politico di base, fare dell’Itaq una regione più amichevole nei confronti degli interessi statunitensi, isolare l’Iran, e imporre una ‘Pax israeliana’ ai Palestinesi dopo la seconda Intifada del 2000. Oltre a dimostrare il potere statunitense dopo l’attacco dell’11 settembre esibendo la sua forza bruta.
L’invasione e il vuoto a seguire
Ma invece che esportare e far crescere democrazia, l’invasione provocò un vuoto di sicurezza nel cuore della regione. L’Iran a vendicarsi del sostegno di Washington allo Shah e la guerra delegata a Saddam, allora amico Usa, per spegnere la Rivoluzione Islamica. E la polarizzazione politica irachena produsse tre anni di brutale guerra civile, ma assieme, ridusse in brandelli il mito della potenza militare degli Stati Uniti e la sua reputazione di superpotenza.
Per impiccare Saddam si generano Isis e Califfato
Proprio in Iraq si forma una nuova ondata di gruppi jihadisti, prima tra tutte, la nascita dello Stato Islamico di Iraq e Siria, l’Isis. L’offensiva Isis nel 2014 ha poi riportato le truppe statunitensi in Iraq anni dopo che Washington aveva cercato di tirarsi fuori dai disordini nella regione. Ultimo elemento per chi ha ancora la forza di indignarsi: «la beffa delle motivazioni che Bush aveva addotto per giustificarla. Gli investigatori non trovarono né le armi di distruzione di massa in Iraq, né le prove di una connessione tra il regime di Saddam Hussein e gli attacchi dell’11 settembre».
Anatomia di un fallimento
Il dopo Saddam, a farlo rimpiangere. Il parere cinico del Segretario americano alla Difesa Donald Rumsfeld che «la libertà porta disordine». «L’invasione fu un fallimento terribile sotto molti punti di vista, non solo per la mancanza di pianificazione dell’impresa ma anche per la serie di conseguenti disastri che la segnarono», la sintesi di Valeria Cagnazzo. Nel giro di poche settimane, molti gli errori commessi. A partire dal proconsole americano, Jerry Bremer, dotato di ampi poteri che del Paese non conosceva nulla. Lo smantellamento dell’esercito, la struttura meno legata al passato regime. E la purga degli ex del partito baathista dallo Stato, spinta dal desiderio di vendetta dei partiti sciiti per ottenere il potere.
Come crearsi un nemico mortale
Con i Sunniti (Saddam sunnita in un Paese a maggioranza sciita) via dal potere, nel disordine prospera il movimento di Al-Qaeda in Iraq (AQI), che gli Stati Uniti non furono in grado prima di capire e poi di contenere, «probabilmente, poco interessati a fermare, non volendo restare impantanata in quella regione un giorno di più». Con Washington ‘va e vieni’: truppe fuori dal Paese entro la fine del 2011, per tornarci appena tre anni più tardi quando l’Isis (che derivava dall’AQI), conquistò territori in Siria e in Iraq.
L’Iraq che esiste ancora
«Al contrario delle previsioni di alcuni osservatori (e, in qualche caso, anche dei loro desideri), l’invasione non ha comportato la fine dell’Iraq. I curdi sono riusciti a ottenere una maggiore autonomia, ma non la completa indipendenza alla quale ambiscono da tempo. La società irachena è arrivata a godere di una modica libertà. Il Paese ha un sistema multipartitico per la prima volta nella sua storia, elezioni parlamentari ripetute e relativamente trasparenti, e una stampa libera (ma facilmente soggetta a intimidazioni».
«Ma proprio la debolezza del centro, guidato da una classe politica corrotta e incapace di dare anche solo una parvenza di buon governo, ha però permesso l’ascesa di milizie predatorie e di intrusioni ripetute dei vicini Iran e Turchia».
Amara conclusione finale
C’è chi sosteneva già prima della guerra che la spedizione proposta dall’amministrazione Bush fosse mal concepita, basata sulle cattive informazioni fornite da un piccolo gruppo di esuli iracheni, con le loro agende molto ristrette. In quanto tale, non avrebbe mai potuto avere successo, anche se la forza occupante fosse stata meno disastrosamente incompetente di quanto si sia rivelata nei fatti.