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Armi all’uranio impoverito. Dopo oltre vent’anni c’è chi muore ancora di cancro

Armi all’uranio impoverito. Dopo oltre vent’anni c’è chi muore ancora di cancro

24/03/2023

da La Notizia

di Davide Manlio Ruffolo

Dopo la decisione del Regno Unito di fornire munizioni all'uranio impoverito a Kiev, anche in Italia si torna a parlare di queste devastanti armi.

Del resto ne sappiamo qualcosa sulla letalità di questo tipo di armamenti visto che i nostri militari ne hanno pagato o ne continuano a pagare dazio per via delle conseguenze che hanno anche sulla salute di chi le utilizza come anche di chi, per un motivo o per l’altro, ci entra in contatto anche indirettamente. Proprio per questo se vivessimo in un Paese normale, sarebbe lecito aspettarsi che i quotidiani mettessero in guardia tutti dall’usare questo tipo di munizioni e, invece, accade l’esatto opposto con i media nazionali schierati nel difendere l’indifendibile.

Dopo la decisione del Regno Unito di fornire munizioni all'uranio impoverito a Kiev, anche in Italia si torna a parlare di queste devastanti armi.

Eppure ci sono dati che proprio noi italiani dovremmo conoscere più di altri perché, pur non avendo a disposizione tali armi e non potendole né fabbricare e né usare, stiamo pagando un prezzo carissimo in fatto di vite umane da parte dei nostri militari. Questo perché le nostre forze armate hanno operato in teatri di guerra come Balcani, Iraq e Afghanistan, dove tali munizioni venivano usate regolarmente dalle truppe degli Stati Uniti. Eppure è bastato trovarsi fianco a fianco di chi ha in dotazione simili armamenti per causare quella che, dati alla mano, non si fa fatica a definire una strage già costata la vita ad almeno 513 militari italiani, a cui si aggiungono altri 8300 che hanno contratto malattie quali leucemia o forme tumorali di vario tipo.

Si tratta di numeri che non si capisce come possano venire ignorati dai media italiani che in questi giorni sembrano quasi giustificare il fatto che le munizioni all’uranio impoverito che il Regno Unito vuole inviare all’Ucraina affermando che sono “legali” sostanzialmente perché non esiste alcun divieto perentorio. “Sa cosa c’è di curioso? È che in questi giorni mi stanno chiamando da tutto il mondo, tranne che dall’Italia, per parlare del problema dell’uranio impoverito” spiega Domenico Leggiero  dell’Osservatorio militare a La Notizia. Che il problema sia reale e che in Italia venga troppo spesso banalizzato, lo spiega sempre Leggiero che fa notare come “l’unico ministero che non riconosce l’uranio in modo diretto come causa-effetto” delle malattie, “è il ministero della Difesa italiano”.

I media Mainstream giustificano l'invio di munizioni all'uranio che hanno già ucciso di tumore 513 militari italiani 

Negli altri Paesi, in virtù di una differente legislazione, c’è la consapevolezza dei danni causati dall’uranio impoverito e infatti, come nel caso degli Stati Uniti, ai militari viene fatto firmare il “consenso informato”. Si tratta di un atto con cui si spiega senza mezze misure che nel territorio in cui andranno in missione è stato usato l’uranio impoverito e quindi c’è il rischio di contrarre patologie gravi per le quali, nel caso si sviluppi effettivamente la malattia, è previsto un risarcimento che evita di andare in causa. Del resto che l’uranio provochi malattie non è più un mistero ma è stato accertato dall’Organizzazione mondiale della Sanità. E proprio per questo appare strampalata la posizione dell’Italia che pur di non riconoscere la causa di servizio, preferisce scendere in causa con i militari che si ammalano.

“Noi ci troviamo nell’assurdo che il Ministero della Difesa, ad oggi, ha pagato talmente tanti risarcimenti che avrebbe risparmiato milioni di euro se solo avesse ammesso la colpa riconoscendo la causa di servizio a tutti”, continua Leggiero secondo cui sono oltre 300 le cause già perse dalla Difesa. “Ma le dirò di più, quando perdono non è che si fermano e prendono atto ma fanno appello e procedono fino all’ultimo grado di giudizio con spese che pesano sulle spalle dei cittadini” aggiunge.

Insomma il problema è grosso e non si capisce come mai sui giornali italiani non se ne parli adeguatamente, con la notizia dei decessi accertati di militari italiani che nella migliore delle ipotesi viene liquidata con una frasetta, preferendo soffermarsi sul fatto che dopo tutto l’invio di armi programmato da Londra a Kiev è tollerabile – se non del tutto lecito – in quanto si tratta di munizioni “perfettamente legali”.

Sulla carta le armi all'uranio sono legali , ma l'ONU le ha messe al bando da anni 

Peccato che le cose non stiano esattamente così. E a spiegarlo è ancora una volta Leggiero secondo cui è vero che sulla carta tali armi sono “legali” ma è altrettanto vero che esiste una risoluzione delle Nazioni Unite del 2007, documento A/C.1/62/L.18/Rev.1, intitolata “Effetti dell’uso di armamenti e munizioni contenenti uranio impoverito” che è stata approvata con 122 voti a favore, 35 astenuti e 6 contrari e che, pur non essendo strettamente vincolante, dovrebbe costituire un “vincolo etico” per le elite mondiali al loro utilizzo.

Ma è proprio guardando a questo atto dell’Onu che si rilevano alcune sorprese. Da un lato si scopre che tra chi ha portato ad approvare la risoluzione c’è l’Italia, la quale dimostra un comportamento schizofrenico perché vota il documento per mettere al bando l’uranio impoverito per via degli effetti devastanti ma al contempo non riconosce i danni che provoca sui suoi stessi militari, mentre dall’altro si scopre che a votare No sono il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Francia, ossia tre Paesi che detengono tali armamenti, a cui si sono accodati la Repubblica Ceca, l’Olanda e Israele.

E secondo Leggiero è falso anche quanto si legge in molti articoli che pur di giustificare l’invio a Kiev di tali armi sostengono che probabilmente la Russia li ha già usati perché, a suo dire, “non hanno mai usato proiettili all’uranio ma hanno usato altre armi non convenzionali, come il fosforo bianco, che però non intossicano un territorio dove non si potrà più vivere per anni come accaduto in zone dell’ex Jugoslavia”.