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Allarme pensioni anche in Spagna mentre in Francia è rivolta aperta

Allarme pensioni anche in Spagna mentre in Francia è rivolta aperta

30/03/2023

da Remo Contro

Piero Orteca

 

Pandemia finanziaria da ‘virus pensionistico’, dalla Francia ora alla Spagna dilaga a macchia d’olio in tutta l’Europa.

Anche in Spagna il sistema pensionistico è allo scasso e della Francia sappiamo tutti e ancora molto ne vedremo. L’anno scorso il Regno Unito, che ha visto i suoi Fondi-pensione danzare pericolosamente sull’orlo di un vulcano, ha dovuto cacciare in tutta fretta l’improvvida premier Liz Trus.

Deficit dei bilanci previdenziali

Deficit dei bilanci previdenziali stringe i governi alla gola. E non ci sono più soldi che bastino, per tenere in piedi sistemi concepiti in altre situazioni economiche e di vita. Sistemi che ora rischiano di crollare di schianto, sotto la spinta di prestazioni diventate insostenibili. Ha cominciato l’anno scorso il Regno Unito, che ha visto i suoi Fondi-pensione danzare pericolosamente sull’orlo di un vulcano. Il terremoto finanziario è costato la poltrona alla premier, Liz Truss, e al suo Cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng. E le turbolenze non sono finite, perché, proprio ieri, la Banca d’Inghilterra ha chiesto ai Fondi ‘di raddoppiare le riserve di liquidità’, temendo altri rovinosi scompensi nel settore pensionistico.

Macron e la riforma col trucco

Un paio di settimane fa, invece, è toccato (e ancora tocca) a Macron, vedere la Francia messa a ferro e fuoco, per una riforma previdenziale fatta ‘col trucco’, per decreto e con una fiducia ottenuta in maniera risicata. Macron ha deciso di alzare di due anni (da 62 a 64) l’età per potere andare in quiescenza, scatenando la furia popolare. Che sta scuotendo l’Esagono dalle fondamenta e fa presagire scenari da conflitto sociale sessantottino. Adesso, però, è il turno della Spagna a dovere affrontare lo spinosissimo tema, che sembra più complesso di un ‘cubo di Rubik’.

Spagna, riforma della riforma

Domani, in Parlamento, arriva il decreto sulla ‘riforma della riforma’. Visto che l’impianto legislativo del 2013, sta sbarellando tutti i conti dello Stato, il premier socialista Pedro Sanchez e il suo Ministro, Josè Luis Escrivà cercano la soluzione garantendo che i diritti acquisiti non si toccano. Quindi, chi paga? Aumenterà progressivamente la quota contributiva di chi comincia a lavorare ora, mentre i dipendenti più anziani dovrebbero passarla abbastanza liscia. Secondo El Pais, la coalizione di centro-sinistra può contare su almeno 180 voti, sufficienti a battere l’opposizione dei Popolari, di Vox e di Ciudadanos. Il problema, però, è il ‘dopo’.

Ma dopo? Ancora la politica

Con una disoccupazione e un’inflazione che si mantengono alte e la rapida perdita del potere d’acquisto dei salari, la scelta di penalizzare proprio i giovani potrebbe essere pagata rovinosamente in termini di consensi. Su questo puntano le destre, quando accusano Sanchez di chiudere gli occhi davanti al macigno della previdenza e di scaricare, molto semplicemente, il problema sulle spalle delle future generazioni. La questione, comunque e a scanso di equivoci, interessa tutta l’Europa e, prima o dopo, dovrà essere radicalmente affrontata da ogni Paese.

Previdenza e welfare

I sistemi previdenziali e, più in generale, i vari settori del welfare, sono stati concepiti in altre epoche. Quando c’erano disponibilità di bilancio più ampie e nel momento in cui le aspettative di vita erano più basse. Oggi si vive di più e si continua a percepire la pensione fino a tarda età, mentre la ciclicità delle crisi finanziarie, alterando il rapporto tra domanda e offerta, deprime le economie. E meno occupati vuol dire meno contributi, per mantenere la platea, sempre più larga, dei pensionati.

Equità tra generazioni

In fondo, per tornare al dilemma che sta alla base di un corretto sviluppo di un moderno sistema previdenziale, si tratta di bilanciare dignitosamente le pensioni per i lavoratori che si sono già ritirati, garantire una sorta di equità intergenerazionale e preoccuparsi, costantemente, della sostenibilità finanziaria. Ogni Paese, poi, si orienta lungo il sentiero economicamente (e politicamente) più congeniale. Considerando queste premesse, però, bisogna dire che la strada scelta dalla Spagna è piena di fossi.

Spagna ultra generosa

Non c’è un settore privato integrativo, gli importi sono ultragenerosi (l’80 per cento dell’ultimo stipendio) e il debito pubblico viaggia intorno al 120 per cento del Pil. Inoltre, la Commissione di Bruxelles si deve ancora ufficialmente esprimere sul nuovo decreto, mentre l’Agenzia spagnola di sorveglianza fiscale (Airef) ha già detto che la ‘reforma milagrosa’ scasserà i conti.

Speriamo solo che vada un po’ meglio a noi, quando (presto) toccherà anche all’Italia mettere mano a questo dente cariato.