01/04/2023
da Il Manifesto
NUOVA BUFERA SU FDI. Dopo le polemiche sulle Fosse ardeatine, il presidente del Senato attacca la Resistenza. L’Anpi: «Parole indegne». Le opposizioni: «Non può occupare la seconda carica dello Stato»
È passata solo una settimana dalle polemiche per l’affermazione di Giorgia Meloni («335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani») riferita alle vittime dell’eccidio nazifascista delle Fosse ardeatine. Affermazione che cancellava il ruolo dei fascisti tra i carnefici e degli antifascisti, degli ebrei, degli stranieri tra le vittime. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha proseguito ieri nell’opera di riscrittura della storia lungo i binari preferiti da Fratelli d’Italia. L’occasione l’ha offerta il podcast «Terramadre» del quotidiano Libero. Il ragionamento è cominciato con la decisione della Cassazione francese di non accogliere la richiesta italiana di estradizione di 10 terroristi condannati per gli anni di piombo: «La sinistra confonde l’ideologia con il diritto – ha spiegato -. Paradossale che chi lo fa chieda alla destra quotidiane dissociazioni. Ne sono state fatte a sufficienza».
DA QUESTA PREMESSA si arriva alle Fosse ardeatine: alla premier è stato fatto «un attacco pretestuoso – ha continuato -. Tutti sanno che i nazisti hanno assassinato detenuti, anche politici, ebrei, antifascisti e persone rastrellate a caso». Fin qui il discorso riprende la linea difensiva di Meloni («ho usato un termine onnicomprensivo» si era giustificata) ma La Russa si spinge oltre: «Vorrei ricordare che l’attentato di via Rasella (a cui venne risposto con le Fosse ardeatine ndr) non è stata una delle pagine più gloriose della Resistenza partigiana: hanno ammazzato una banda musicale di semipensionati altoatesini e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia al quale esponevano i cittadini romani, antifascisti e non». Infine il punto di caduta del ragionamento è sul 25 Aprile: «Quando ero ministro della Difesa andai a rendere omaggio al Cimitero Maggiore di Milano portando dei fiori sulle tombe dei partigiani. Di tutti, anche di quelli rossi, che come è noto non volevano un’Italia libera e democratica perché avevano il mito della Russia comunista».
A METTERE IN PERICOLO la libertà e la democrazia, quindi, sono i rossi. Il ragionamento sbanda da tutte le parti, a cominciare dalla descrizione del reggimento di polizia Bozen come un gruppo di pensionati (il più giovane aveva 26 anni e il più vecchio 42, l’età media degli effettivi colpiti a via Rasella 35). Ma La Russa non fa una piega e dopo un paio d’ore insiste: «Confermo che a innescare l’odiosa rappresaglia nazista fu l’uccisione di una banda di altoatesini nazisti e sottolineo che tale azione non è stata da me definita ingloriosa bensì tra le meno gloriose della resistenza».
A RIMETTERE IN FILA I FATTI Gianfranco Pagliarulo, presidente di Anpi: «Le parole di La Russa sono indegne per l’alta carica che ricopre e rappresentano un ennesimo, gravissimo strappo teso ad assolvere il fascismo e delegittimare la Resistenza. Il terzo battaglione del Polizeiregiment colpito a via Rasella mentre sfilava armato fino ai denti stava completando l’addestramento per andare poi a combattere gli Alleati e i partigiani, come effettivamente avvenne. Gli altri due battaglioni del Polizeiregiment erano da tempo impegnati in Istria e in Veneto contro i partigiani». Per concludere: «L’attacco di via Rasella, pubblicamente elogiato dai comandi angloamericani, fu la più importante azione di guerra realizzata in una capitale europea. Dopo la presidente del Consiglio, anche il presidente del Senato fa finta di ignorare che non furono i soli nazisti a organizzare il massacro delle Fosse Ardeatine».
SGOMBRATO IL CAMPO dal revisionismo, resta il punto politico. «Parole indecenti, inaccettabili per il ruolo che ricopre» il commento della segretaria Pd Elly Schlein. Roberto Morassut: «Il giudizio su via Rasella è stato chiuso dalle sentenze emesse in sede civile e di Cassazione tra il 1957 e il 1999. Fu un legittimo atto di guerra». La senatrice Sandra Zampa: «La Russa prosegue nelle sue esternazioni anti partigiane, nella negazione del valore dell’antifascismo a cui dobbiamo tutti, lui compreso, la libertà e la democrazia. Può restare ancora alla presidenza del Senato? Secondo me no». E ancora: «Può un fascista occupare la seconda carica della Repubblica nata dalla Resistenza? Risposta: No» scrive Gianni Cuperlo. Infine, Emanuele Fiano: «Il Pd ne chieda le dimissioni».
PIER LUIGI BERSANI: «A pochi giorni dal 25 aprile la seconda carica dello stato rilancia le falsità fasciste sulla Resistenza. È ora di dire basta». Riccardo Magi (+Europa): «Non dovrebbe essere la seconda carica del Paese». Da Avs, Nicola Fratoianni: «Assolutamente inadatto al ruolo». E Angelo Bonelli: «Per queste parole ignobili La Russa si deve dimettere». Maurizio Acerbo (Prc): «È rimasto fascista e non riesce a nasconderlo». Persino Calenda (che spesso solidarizza con l’esecutivo): «Sono ammirato della determinazione con cui La Russa sta riuscendo a dimostrare la sua inadeguatezza come presidente del Senato». I 5S con Vittoria Baldino battono su un altro tasto: «La sfida è non farsi trascinare in questi biechi tentativi di distrazione dai problemi reali, che il governo non risolve e nemmeno affronta o, peggio, aggrava. Tutto condito con un filo di revisionismo».
RICCARDO PACIFICI, ex presidente della Comunità ebraica di Roma e rappresentante della European Jewish Association, liquida la questione: «La brigata Bozen faceva parte di una macchina ben oliata che serviva a scovare ebrei e antifascisti in ogni rifugio dove purtroppo erano costretti a nascondersi per scappare alla furia nazifascista».