01/04/2023
DA Tag43
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Nato – dichiarata un paio d’anni fa «cerebralmente morta» dal presidente francese Emmanuel Macron – è improvvisamente risorta e si è rafforzata, aprendo alla porta ad altri membri, preoccupati dall’aggressività russa, Finlandia e Svezia in primo luogo. Anche nell’ambito dei vari programmi di cooperazione, dall’Eapc (Euro Atlantic Partnership Council) al Meditarranean Dialogue passando per Ici (Istanbul Cooperation Initiative), l’Alleanza atlantica ha cercato, soprattutto con alcuni Paesi dello spazio postsovietico, dalla Georgia alla Moldavia, nuovi impulsi per ulteriore coesione. Altre alleanze guidate dagli Stati Uniti in chiave di contenimento cinese e russo-cinese nell’area dell’Indopacifico come Quad (Quadrilateral Security Dialoge, con Usa, Australia, India e Giappone) e Aukus (Australia, Gran Bretagna e Usa) hanno acquisito contemporaneamente maggiore rilevanza.
Così la Sco si è allargata anche all’Arabia Saudita
Sull’altro versante, oltre al rafforzamento bilaterale dell’asse tra Russia e Cina, è proseguito l’allargamento della Sco, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, che già negli ultimi anni, parallelamente allo scollamento tra Russia e Occidente avviato in maniera netta dopo la crisi ucraina del 2014, ha attirato l’attenzione di un numero più elevato di Paesi, ultimo in ordine di tempo l’Arabia Saudita che ha attualmente lo status di partner per il dialogo: non è dunque un membro ufficiale, ma in una sorta di stand by in attesa di vedere come si svilupperà l’organizzazione che raggruppa ora otto Paesi membri – i più rilevanti sono Cina, Russia, India, Kazakistan e Pakistan – e una dozzina di osservatori e membri per il dialogo, tra cui l’Iran, l’Egitto e la Turchia.
Una cooperazione a metà tra piattaforma economica e militare
La Sco è stata fondata nel 2001 da Pechino e Mosca, con al traino subito un paio di repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, sulle orme della Shanghai Five creata già nel 1996. In oltre 20 anni di vita è sempre rimasta un’organizzazione ibrida, una piattaforma elastica, un po’ militare, un po’ economica, che ha coinvolto però sempre più Stati. Se nella prima fase il motore è stato quello russo, con Mosca che ha cooptato prima di tutto le ex repubbliche, dall’Asia centrala al Caucaso, poi è stata la strategia cinese sulla scacchiera internazionale a creare le condizioni perché altri Paesi cominciassero a guardare in maniera concreta a un’alleanza ampia e forte, non dominata dagli Stati Uniti. E così negli ultimi cinque anni si sono affacciate alla Sco le potenze regionali, dall’India al Pakistan, dall’Egitto all’Arabia Saudita. Si tratta di Paesi che talvolta non hanno relazioni bilaterali idilliache, ma che tra rispettivi interessi nazionali e internazionali si stanno adeguando agli spostamenti degli equilibri del prossimo ordine mondiale.
Il futuro della Sco e la possibile sfida alla Nato
D’altra parte anche nella Nato convivono Stati le cui relazioni sono sempre state problematiche, come Turchia e Grecia. Non c’è troppo da stupirsi quindi se l’Arabia Saudita, per decenni fedele alleata degli Stati Uniti in Medio Oriente, sta allargando gli orizzonti sull’onda del ruolo che la Cina sta guadagnando nella regione. La funzione di mediazione che Pechino ha avuto nel recente avvicinamento tra Arabia e Iran si inserisce nel quadro dell’ampia strategia cinese che passa anche attraverso la Sco. Resta da capire in che modo l’Organizzazione di Shanghai si trasformerà, sia a livello di forma – cioè con quali Paesi e sotto quale egida, collaborando o meno anche con altre organizzazioni e gruppi internazionali – che di contenuti. Se quindi rimarrà un progetto diversificato o prediligerà settori come quello della difesa, al pari della Nato.