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La guerra è una schifezza

La guerra è una schifezza

02/04/2023

da Remo Contro

Antonio Cipriani

…how many times must a man look up
Before he can see the sky?
And how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, and how many deaths will it take ‘til he knows
That too many people have died?

Quelli che vanno in guerra, e ammazzano il nemico col fucile, col cannone, con le bombe, con i droni. Uomini, donne, bambini. Con la divisa di un altro colore o anche senza divisa, per strada, nelle campagne, dove capita, perché la macchina bellica prevede l’errore, il danno collaterale. Ma la morte è la stessa. Te la puoi raccontare come vuoi, ma la guerra è efferatezza, si muove con una crudeltà speciale, e non importano le cause. La guerra serve solo per ammazzare e conquistare o per difendere un obiettivo strategico. E serve soltanto a quelli che ti ci mandano in guerra. I presidenti, i dittatori, i ministri, gli ideologi degli obiettivi strategici, dell’onore e del patriottismo che si fa carne da macello.

Ascolto Bob Dylan che fonde la sua voce con Joan Baez, mi sembra impossibile pensare ai risultati di quelle premesse generazionali. Ascolto le canzoni che cantavamo insieme quando pensavamo che fosse necessario dare una possibilità alla pace. Per noi giovani, per quelli che conoscevo, per il mondo che volevamo cambiare, era impossibile non pensare al pacifismo come riferimento culturale, e anche alla giustizia sociale, alla fine dello sfruttamento tra popoli. Ci chiedevamo quante volte un uomo dovesse alzare lo sguardo prima di poter vedere il cielo. E quante orecchie dovesse avere prima di sentire le persone piangere… E quante morti ci volessero prima di capire che troppe persone sono morte

La guerra era inaccettabile. Un retaggio del passato. Una vergogna che dovevamo cancellare dalla storia. Non è andata così. Non è andata bene. Facendo finta di niente è cambiato il mondo, ma non come volevamo noi sognatori del bello e della pace, ha prevalso il cinismo, l’atrocità ha saputo scegliersi parole migliori, la mentalità goccia dopo goccia ha scavato la pietra della cultura, fino a darle una irriducibile forma militare.

E oggi siamo a questo punto. E per oggi intendo l’ultimo tremendo trentennio; gli effetti sono quelli che ci arrivano attraverso gli alambicchi mediatici, nelle lunghe tortuose buone ragioni che determinano l’insignificanza della verità. O, per meglio dire, l’azione metodica delle verità inconfutabili che alla luce della storia perdono vigore, somigliano a menzogne vestite a festa, a esercizi di stile per incantare l’arena, per convincere e convincerci che sia necessario ammazzare e morire per un gioco di potere, per il dominio, per il mercato, per la nazione, per difendere l’idea che la pace si ottenga o si difenda sul filo della spada. E che fare la guerra sia utile a questa fantomatica pace. Già, la pace… un concetto che sta uscendo dalla narrazione tossica dell’epoca così impregnata di ferocia, mercenari, operazioni segrete e zero politica, zero umanità, zero amore per la vita.

Mi sembra necessario, quindi, in un periodo così pallido e incerto, ricordare e ricordarci che la guerra è una schifezza. Lo è quando i carri armati russi devastano i campi ucraini. Lo è quando le bombe fioccano e i bambini fuggono. Lo è quando gli strateghi della fine della storia e quelli dello scontro tra civiltà si mettono in cattedra e teorizzano. E alla fine del bel discorso bombardano, non prima di aver spiegato al mondo che le bombe al fosforo forse fanno del bene e che l’uranio impoverito ha bisogno di un riscatto e di essere anche un po’ smaltito sparando.

Ci sono mille buone ragioni per nascondere ogni efferatezza.

Poi i tromboni. Perché sono tutti tromboni. E tutti vogliono spiegarci l’utilità. E dobbiamo aggiungere, per non essere ipocriti, che hanno ragione. Hanno ragione i tromboni. Non conta la libertà e non conta la vita, contano interessi superiori che hanno la forma assoluta del potere, tanto più visibili quando indecifrabili. Vediamo la tragedia, non decifriamo con umanità gli effetti drammatici. Abituati al piatto dello schermo, agli emozionanti reportage fotografici su chi sta morendo, abbiamo tutte le informazioni davanti e niente che scende fino alla coscienza. Siamo spettatori di un défilé di alta moda in cui i grandi stilisti fanno sfilare modelle splendide seminude in un inferno. E l’inferno non sono gli altri, l’inferno è pura e semplice location.

In questo passaggio abbiamo perso l’anima, il soffio vitale del pensiero critico che ci fa dire di no, anche se il macigno del potere visibile ci costringe all’indecifrabile accettazione di tutto.

Basta non farlo. Ricordare che noi esseri umani non capiamo, non vogliamo capire, perché siamo pacifisti, siamo nati per dare una mano al prossimo, per salvare chi sta per affogare, per dare il pane agli affamati, per dare da bere agli assetati, per coprire gli ignudi, per abbracciarci, per emozionarci, per sentire sul volto il vento tiepido della primavera, per amare il prossimo nostro come noi stessi, per non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi.

Quindi, con questa invettiva contro la guerra rivendico il diritto di amare la pace, di non pormi in passivo ascolto dell’ultimo geostratega a pagamento dell’arena mediatica, non voglio far parte della schiera degli assuefatti e di chi si arricchisce con l’impresa bellica. Sono dalla parte dei poveri e degli indifesi, di quelli che solo con la pace e con la volontà di esercitare pace potranno vivere.

Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

[Gianni Rodari]