08/04/2023
da Contropiano
Avevamo promesso di tornarci perché eravamo certi che l’”allarme poche nascite” si sarebbe ripetuto sempre uguale, ad ogni rapporto dell’Istat. E infatti eccoci qui, puntuali come la siccità.
Viene pubblicato il rapporto e veniamo travolti da riassuntini, grafici, citazioni, immagini immaginifiche che tutto descrivono ma niente spiegano.
Anzi, dilagano “narrazioni” che vorrebbero in qualche modo colpevolizzare soggetti o fasce sociali che – a ben guardare – sono le prime vittime di questa situazione: giovani “sul divano che non vogliono lavorare”, anziani “egoisti che prendono la pensione”, donne “che non vogliono responsabilità”, immigrati “che ci rubano il lavoro” (che non c’è, e infatti pure loro vanno altrove insieme ai “nostri” giovani).
Prendiamo ad esempio il lancio dell’Agenzia Agi, dal titolo per cinefili (L’Italia è un paese per vecchi), visto che la pigrizia mortale dei sedicenti giornalisti italiani è prontissima a copiare, riprendere, sintetizzare, fantasticare proprio a partire dai lanci delle principali agenzie stampa (Ansa, AdnKronos, Agi, Dire).
L’agenzia controllata dall’Eni ci dice subito che “Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti.”
Per somma sfortuna anche l’Istat semina parecchia confusione, sottolineando che “questa diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, tra le cause pesano tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni)“.
Ma se è dovuta “solo in parte” a questi due fattori – che peraltro dipendono anche loro da altre cause – a cosa si deve questo calo pluridecennale delle nascite?
Silenzio…
Però subito dopo l’anonimo cronista indugia sui dettagli che dovrebbero aiutare ad indicare qualche “colpevole”.
“Un italiano su quattro ha almeno 65 anni. Nonostante l’elevato numero di decessi avvenuto in questi ultimi tre anni, oltre due milioni e 150mila, di cui il 90% riguardante persone con più di 65 anni, il processo di invecchiamento della popolazione è proseguito – spiegano i ricercatori – portando l’età media della popolazione da 45,7 a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023.”
Si noterà il velato sollievo con cui si registra che, “per fortuna”, negli ultimi anni – complice la pandemia e le politiche dei governi in materia – sono morti più anziani del solito. “Purtroppo” (immaginiamo…) un sacco di anziani sono rimasti lo stesso vivi, e dunque “il processo di invecchiamento della popolazione è continuato”.
Altro “colpevole” potenziale sono ovviamente le donne. E anche in questo caso il solerte raccoglitore di senso comune spicciolo ci ricorda che “Dopo il lieve aumento del numero medio di figli per donna verificatosi tra il 2020 e il 2021, riprende il calo dell’indicatore congiunturale di fecondità, il cui valore si attesta nel 2022 a 1,24, tornando così al livello registrato nel 2020.
Prosegue quindi la tendenza alla riduzione dei progetti riproduttivi, già in atto da diversi anni nel nostro Paese, con un’età media al parto stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni.”
Un essere umano pensante si chiederebbe come mai le donne abbiano – senza peraltro mettersi d’accordo tra loro – “scelto” di fare più figli proprio “tra il 2020 e il 2021”. E, se non è decerebrato o immemore, si risponderebbe che probabilmente i lunghi lockdown hanno contribuito a tenere più a lungo le coppie in casa, “liberandole” – paradossalmente – dal dover correre tutto il giorno in giro per lavoro, magari con orari diversi e non coincidenti.
Insomma, un essere umano pensante comincerebbe a sospettare che la dinamica delle nascite non dipende dalle “scelte ideologico-culturali” (rifiuto di assumersi la responsabilità genitoriale, voglia di divertirsi, e stupidaggini simili) ma da condizioni sociali, lavorative, reddituali decisamente stringenti. E che ostacolano grandemente le possibilità di riproduzione.
Restando al lancio di agenzia, sorvoliamo sulla lunghissima disamina delle differenze e similitudini tra regioni italiane, perché non restituisce alcuna informazione indicativa sulle possibili cause di un disastro demografico che sta portando questo paese verso un punto di non ritorno.
Non è un’esagerazione: i nuovi nati sono attualmente il 40% di quelli sbocciati negli anni del “boom” (1948-1964). Non è complicato immaginare quale deserto sociale attende le nuove generazioni (peraltro protagoniste di una nuova emigrazione di massa verso paesi che pagano salari meno infami), e soprattutto quali conseguenze economiche avrà questa “carenza oggettiva di manodopera”.
Dal canto nostro, a meno di tre anni di distanza da analoghe “notizie” su numeri situati lungo l’identica linea discendente, non possiamo che riproporre la stessa spiegazione.
In fondo stiamo parlando di fenomeni di lungo periodo, con cause strutturali che non vengono minimamente toccate – anzi: peggiorate – dalle politiche economiche e sociali imposte dal capitale multinazionale e dai governi italioti. Dunque sono ancora, purtroppo, valide.
Buona lettura
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