23/04/2023
da il Fatto Quotidiano
CONTRO L’INVIO DELLE ARMI - “Non possiamo più tollerare il massacro sotto il velo di una propaganda bugiarda”
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Inizia questo weekend in tutta Italia la raccolta firme per i referendum abrogativi delle leggi che hanno stabilito l’invio di armi in Ucraina. I comitati che hanno lanciato la campagna referendaria sono due: Ripudia la guerra e Generazioni future. Tra i promotori ci sono Ugo Mattei, Pasquale De Sena, Guido Viale, Vladimiro Giacchè, Carlo Freccero, Vauro Senesi, Moni Ovadia e Franco Cardini. Due i quesiti proposti. Il primo vuole limitare il conflitto tra sanità pubblica e privata, abolendo la possibilità che i privati facciano parte della programmazione sanitaria pubblica. Il secondo quesito chiede di abrogare il decreto che consente l’invio di armi in Ucraina per tutto il 2023: “Il Comitato Referendario esorta tutti i cittadini italiani che abbiano a cuore gli esseri umani e la loro salute a sostenere questa iniziativa”. Ecco qui sotto l’intervista-appello di Moni Ovadia sulle pagine de Il Fatto Quotidiano.
Moni Ovadia è tra i promotori dei referendum contro l’invio di armi in Ucraina, la cui raccolta firme inizia oggi. Ci crede davvero, pensa che possano essere uno strumento efficace?
In assoluto penso che il referendum sia uno strumento utile ed efficace. Lo dimostra anche la Francia: guardi quanta paura ha avuto Macron di un referendum sulla sua legge; sapeva che lo avrebbe perso. Io credo che la maggior parte degli italiani vivano con angoscia questa guerra e siano profondamente contrari all’invio di armi. Non so se il referendum sia lo strumento principale o il più appropriato per dire di no, ma è importante che si raccolgano le firme e la gente abbia l’opportunità di votare e dire ai politici che non si sente rappresentata dalle loro scelte sul conflitto. Poi, sa, quelli fanno come gli pare: guardi i referendum sull’acqua; non consultano il popolo italiano, ma le multinazionali.
Crede che il popolo sia abbastanza maturo per esprimersi su delicate scelte di politica internazionale?
Io sono con tutte le mie forze contro la guerra: è la casa della morte. Non credo sia solo una sensibilità popolare, mi pare che la retorica bellicista si stia sgonfiando in molti settori, anche tra gli analisti militari. Non possiamo più tollerare che si macellino esseri umani sotto il velo di questa propaganda bugiarda, non vogliamo esserne complici. È ora di capire che questa guerra, di cui sono principali vittime i civili ucraini, oltre a militari giovani e inesperti, si continua a combattere per gli interessi di due parti. La Nato vuole ridurre la Russia all’irrilevanza, per potersi poi occupare della Cina. Gli Stati Uniti stanno assistendo alla fine del secolo americano, al cambiamento degli assetti globali e allora agiscono con i loro metodi tipici. La difesa della democrazia è una frottola, pronunciata dagli stessi che lasciano massacrare curdi e yemeniti. Cito il titolo dell’ultimo libro di un autore americano, William Blum (non ancora tradotto in Italia): Il prodotto di esportazione più mortale degli Stati Uniti d’America: la democrazia. E poi c’è l’Europa, che è completamente soggetta alle decisioni statunitensi: potrebbe diventare un continente d’equilibrio, se avesse una sua politica estera. Invece non esiste, è un nano politico. Quindi ben vengano i referendum: bisogna fare tutto quello che è nelle nostre facoltà per rompere la complicità con i guerrafondai e per sollecitare l’opinione pubblica a mobilitarsi in massa per fermare questo orrore.
Crede che una soluzione diplomatica sia possibile, o ci si sta avvitando in un conflitto senza fine?
L’iniziativa diplomatica dovrebbe avvenire come minimo a livello europeo – L’Italia conta come il due di picche, è trattata come l’ultima ruota del carro – ma in politica estera si fa quello che dicono gli americani. Qualcosa deve succedere, perché questa guerra non si può vincere sul campo: su questo sono tutti concordi. Ammesso poi che una guerra possa essere vinta in termini assoluti: in Iraq e Afghanistan gli Usa hanno fatto un milione di morti e poi sono scappati con la coda tra le gambe. La guerra serve solo a chi vende le armi, all’establishment economico e militare. Ripeto: ci vorrebbe una mobilitazione di massa per dichiarare la guerra illegale.
Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, opinioni come la sua sono state considerate eretiche, marchiate come “filoputiniane”. Non mi pare che lei se ne preoccupi molto…
(Sorride) E perché dovrei? Ho due padroni: la mia mente e la mia coscienza. Non ho tessere di partito, non appartengo a lobby, dirigo solo un teatro. Nella Russia di Putin sarei in galera: sarei sceso in piazza con qualsiasi minoranza oppressa, a iniziare dagli omosessuali. Ma quale putiniano! Putin governa con un regime ipercapitalista, io sono un comunista. Però ho un profondo sentimento per il popolo russo: sono nato in Bulgaria, i miei genitori non sono finiti per i camini grazie all’Armata Rossa, non dimentico il sacrificio di 26 milioni di sovietici morti nella seconda guerra mondiale, per la libertà dal nazismo. La Russia è un Paese immenso, di cui parlano tutti e quasi nessuno sa niente di niente.
Si avvicina il 25 Aprile. E venendo a questioni più minute, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha detto che nella Costituzione italiana “non si parla di antifascismo”.
Finge di ignorare la disposizione transitoria numero 12 e lo dice uno che ha giurato sulla Carta. A me La Russa sta persino simpatico, ma dice una sciocchezza: tutto l’impianto della Costituzione italiana è antifascista. Se fosse stato un attore, sarebbe stato un Capitan Uncino indimenticabile. Non ho ostilità verso di lui e verso la sua destra, forse sono invecchiato, ma perché si ostinano a fare queste figure? Credo ci siano ragioni di natura psicopatologica. C’è qualcosa che si lega a quel periodo, che non attiene nemmeno alla dimensione politica, ma deve avere fondamenti emotivi, sentimentali.
Però un ministro che parla di “sostituzione etnica” è un problema decisamente politico, non trova?
Il loro problema è che non hanno maturato idee originali, allora si attaccano al vecchio nazionalismo, agitano lo spettro del “diverso”… Sanno che hanno torto, lo sanno benissimo, ma sanno pure che tra i loro elettori c’è chi vuole sentire queste cose. Gli italiani si innamorano di chi gli toglie la colpa: se le cose vanno male non è mai colpa nostra, è colpa dei migranti, o di qualcun altro.
Sarà un 25 Aprile più sentito, con questa destra al governo?
Per me è sempre giusto partecipare. Per libertà, democrazia, dignità degli uomini e uguaglianza. E per tutti quelli che resistono, ieri come oggi, partigiani, curdi o palestinesi, io ci sarò sempre.