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Sulla neutralità climatica mezza Europa in ritardo. E pure l’Italia è messa male. Rischiamo di fallire gli obiettivi 2030 visto che mancano all’appello 183 miliardi

Sulla neutralità climatica mezza Europa in ritardo. E pure l’Italia è messa male. Rischiamo di fallire gli obiettivi 2030 visto che mancano all’appello 183 miliardi

Caro ci costa questo clima. L’Unione europea ha elaborato una serie di obiettivi diventati via via più ambiziosi negli anni. Il più importante riguarda la limitazione delle emissioni di gas a effetto serra ed è basato sull’accordo di Parigi, per limitare l’aumento delle temperature globali e tenerlo al di sotto di 1,5 gradi centigradi.

L’obiettivo per il 2020 era, specificamente, ridurre le emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990. Un traguardo raggiunto da tutti gli stati membri tranne Germania, Irlanda e Malta, che hanno dovuto acquistare Co2 da altri paesi.

LE SCADENZE

Per il 2030 invece il traguardo è pari al 55%. Ma raggiungere questi obiettivi comporterà investimenti ingenti. La transizione ecologica ha costi non indifferenti. L’Unione europea ha previsto, per il periodo compreso tra il 2021 e il 2027, di investire a questo scopo il 30% del proprio bilancio (rispetto al 20% del periodo 2014-2020). 87 miliardi di euro del bilancio Ue da dedicare ogni anno all’azione per il clima, tra 2021 e 2027.

Risorse certamente ingenti, tuttavia si tratta di meno del 10% degli investimenti necessari. Per raggiungere la neutralità climatica infatti si stima che saranno necessari circa mille miliardi di euro l’anno, in questo stesso periodo. Quanto non incluso nel budget dell’Ue dovrà provenire da fondi privati e nazionali. Per quanto riguarda l’Italia, si stima che per il periodo 2017-2030 saranno necessari ben 183 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi rispetto a quanto previsto dalle politiche attuali (+18%).

Questo pone il problema, evidenziato dalla Corte dei conti Ue, non soltanto di garantire l’impiego di queste ingenti risorse, ma anche di assicurare la trasparenza rispetto alle modalità del loro utilizzo. Ma un altro obiettivo fondamentale riguarda le energie rinnovabili. Per il 2020 era previsto che gli stati membri raggiungessero una quota di produzione da rinnovabili pari al 20%. Complessivamente anche questo traguardo è stato superato, fatta eccezione per 6 stati: Belgio, Irlanda, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Slovenia.

L’obiettivo per il 2030 è diventato sempre più ambizioso fino a raggiungere, con il RePowerEu, quota 45%. Infine c’è la promozione dell’efficienza energetica, con cui si intende la riduzione dei consumi. L’obiettivo 2020 era di contrarre i consumi del 20% e, a parte 7 stati (Austria, Belgio, Bulgaria, Germania, Lituania, Polonia e Svezia) anche questo traguardo può dirsi superato.

LE STIME

Per quanto riguarda il 2030, la riduzione prevista è pari al 42%. È vero che gli obiettivi 2020 sono stati raggiunti, ma secondo la ricostruzione della corte dei conti ciò è dipeso in larga parte da fattori esterni. In particolare la crisi economica del 2009 e lo scoppio della pandemia da Covid-19, due episodi che hanno avuto un impatto sulla crescita economica e quindi sul prodotto interno lordo (Pil).

Non un progresso che si può quindi attribuire esclusivamente all’azione per il clima portata avanti dall’Unione europea. In vista del raggiungimento della neutralità climatica, l’Unione europea vuole, in particolare, disaccoppiare le emissioni di gas serra dalla crescita economica. Ovvero perseguire una politica di crescita economica sostenibile. Emissioni per milione di euro nell’Unione europea, tra 2000 e 2021.

Le emissioni rispetto al Pil sono gradualmente diminuite negli ultimi 20 anni, passando da oltre 400 chilotonnellate (kt) nel 2000 a 245 nel 2021. Tuttavia il valore del 2021 segna un lieve aumento rispetto all’anno precedente (244 kt). Anno caratterizzato, appunto, dallo scoppio della pandemia e dalla conseguente interruzione di molte attività produttive.

23/07/2023

Abbiamo ripreso l'articolo 

da Lanotizia

di Maria Elena Cosenza