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In piena crisi climatica Eni fa causa alle Ong

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Il colosso italiano, anziché concentrarsi sull'abbandono delle fossili, fa causa a Greenpeace e ReCommon.

Nubifragi sul nord Italia, incendi al sud. A Milano strade bloccate e mezzi pubblici fermi a causa di numerosi alberi abbattuti. Cinque morti e danni incalcolabili in tutta Italia. La crisi climatica colpisce duramente il nostro Paese, così come l’Europa e molte altre regioni del mondo. Ed è in questo contesto che Eni, una delle aziende maggiormente responsabili della crisi climatica, ha deciso di intentare una causa di risarcimento danni per diffamazione nei confronti di Greenpeace Italia e ReCommon.

La “Giusta Causa” di Greenpeace e ReCommon contro Eni

maggio scorso le due organizzazioni insieme a 12 cittadine e cittadini avevano notificato a Eni l’apertura di una causa civile nei confronti della società «per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole». Greenpeace e ReCommon chiedevano anche che Eni fosse obbligata a rivedere la propria strategia energetica per rispettare gli impegni internazionali dell’Accordo di Parigi sul clima. Si tratta della prima climate litigation italiana contro una società privata.

«Proprio nei giorni in cui migliaia di persone vivono sulla propria pelle gli effetti disastrosi della crisi climatica, con un tempismo davvero sconcertante ENI pensa di zittirci minacciando una causa di risarcimento danni per diffamazione», ha dichiarato Chiara Campione, responsabile dell’Unità Clima di Greenpeace Italia. «I vertici di ENI devono sapere che questa richiesta di risarcimento non farà che motivarci ancora di più nella nostra battaglia in difesa del clima e delle generazioni presenti e future».

L’associazione ambientalista sottolinea come sia paradossale che la più importante multinazionale italiana, partecipata dallo Stato, chieda un risarcimento danni a chi non ha fatto altro che sollecitare un reale cambiamento nelle sue politiche fossili che minacciano il Pianeta e la sicurezza delle persone. Eni non ha ancora quantificato le richieste economiche alle due associazioni ma, a quanto si legge nell’atto notificato saranno superiori a 50mila euro per ciascuna organizzazione.

Le SLAPP, cause strategiche per disincentivare le proteste pubbliche

«Sapevamo a cosa andavamo incontro quando abbiamo lanciato la Giusta Causa e abbiamo scelto di farlo perché nessun rischio è più grande di quello climatico. Intendiamo resistere a questo tentativo di intimidazione da parte di Eni e chiediamo il sostegno di tutte le persone e gli enti pubblici e privati che hanno a cuore la causa della giustizia climatica, a partire da chi vive e opera nei territori che stanno vivendo sulla propria le conseguenze catastrofiche della crisi», ha dichiara Antonio Tricarico di ReCommon

Cause come questa che ENI ha annunciato contro Greenpeace Italia e ReCommon vengono denominate SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation, o cause strategiche contro la pubblica partecipazione). Si tratta di cause civili che, sebbene siano spesso basate su accuse infondate, sono intentate da grandi gruppi di potere per disincentivare la protesta pubblica, sottraendo risorse economiche alle parti chiamate in causa. In altre parole, si tratta di uno stratagemma ormai ben collaudato per soffocare sul nascere ogni critica e ogni forma di protesta, ma che conosciamo bene. «Non basterà a fermare la nostra richiesta di abbandonare il gas e il petrolio per salvarci dall’inferno climatico!», precisano Greenpeace e ReCommon.Cause come questa che ENI ha annunciato contro Greenpeace Italia e ReCommon vengono denominate SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation, o cause strategiche contro la pubblica partecipazione). Si tratta di cause civili che, sebbene siano spesso basate su accuse infondate, sono intentate da grandi gruppi di potere per disincentivare la protesta pubblica, sottraendo risorse economiche alle parti chiamate in causa. In altre parole, si tratta di uno stratagemma ormai ben collaudato per soffocare sul nascere ogni critica e ogni forma di protesta, ma che conosciamo bene. «Non basterà a fermare la nostra richiesta di abbandonare il gas e il petrolio per salvarci dall’inferno climatico!», precisano Greenpeace e ReCommon.

27/07/2023

Abbiamo ripreso

l'articolo da Valori

di Claudia Vago