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«Io, Madeleine, vittima di tratta in Italia»: una storia di sfruttamento, disperazione e riscatto

«Io, Madeleine, vittima di tratta in Italia»: una storia di sfruttamento, disperazione e riscatto

Racconti di vita vissuta 

Finita nella rete delle "madame" in Congo Brazzaville, la ragazza è riuscita a scappare. Ecco cosa ha raccontato agli autori di "Trattamento speciale", il reportage in onda il 31 luglio (Il fattore umano, Rai 3), all'indomani della Giornata internazionale contro la tratta degli esseri umani

«Ci aspetta al capolinea degli autobus, dobbiamo sbrigarci». Alla guida della macchina c’è Marta Mearini, una sociologa di BeFree, cooperativa sociale che opera all’interno di una rete nazionale antitratta. Ha ricevuto una richiesta di aiuto da parte di una ragazza che ha passato tutta la notte in fuga dai suoi aguzzini a bordo di un autobus, viaggiando da un capo all’altro dell’Italia. Non c’è tempo da perdere perché le persone da cui è scappata la staranno già cercando. Dopo qualche decina di chilometri di strade di campagna, la intravediamo al capolinea degli autobus, sul ciglio della strada e lontana dagli altri pochi passeggeri presenti.

Madeleine è una ragazza di 33 anni originaria del Congo Brazzaville, sola, spaventata. È in Italia da meno di 36 ore e con ogni probabilità sono state le peggiori di tutta la sua vita.
Mearini si avvicina con discrezione, qualche scambio in francese per riconoscersi, per fidarsi l’una dell’altra, e poi via verso un luogo sicuro. Quello che sta avvenendo sotto ai nostri occhi si chiama “estrazione” e si mette in moto nel momento in cui una ragazza, vittima prima di tratta e poi di sfruttamento, riesce a sottrarsi alla sua prigionia e a chiedere aiuto. L’obiettivo dell’operazione è di portarla in una struttura protetta nel minor tempo possibile.

Dal 2007 ad oggi la cooperativa BeFree ha supportato oltre 1000 donne sopravvissute a tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento, soprattutto sessuale. Più in generale, i numeri ufficiali del Dipartimento per le Pari opportunità dicono che dal 2016, da quando cioè esiste una elaborazione dei dati coordinata a livello nazionale, sono stati 12.500 i casi di donne identificate come vittime di tratta. «E il timore è che questa sia solo la punta dell’iceberg» ci confessa Francesca De Masi, sociologa di BeFree, mentre ci apre le porte della struttura che ospiterà Madeleine. Si chiama “casa di fuga” ed è un luogo dove si da la possibilità a queste ragazze di sentirsi al sicuro e avere il tempo e il sostegno necessari per analizzare cosa è accaduto, elaborare il trauma e provare a ripartire. La prima tappa di un percorso di autonomia che durerà mesi, o addirittura anni.

Madeleine si unirà alle altre ragazze già presenti in casa. «Le loro storie sono molto diverse, terribili ognuna a modo suo – continua De Masi – eppure hanno tutte un minimo comune denominatore. Queste ragazze si sono fidate di qualcuno che ha promesso loro una vita migliore in Europa. E invece nel momento esatto in cui hanno messo piede in Italia, la loro vita è diventata un inferno». Come è successo a Samira, marocchina, che per ottenere un visto ha accettato di sposare un italiano di ottant’anni e si è ritrovata in una condizione di schiavitù, controllata a vista notte e giorno. C’è Florence, dal Ghana, che è persino passata sotto le bombe russe in Ucraina prima di arrivare a Caserta e scoprire una condizione ancora peggiore della guerra, prigioniera di chi le aveva pagato il viaggio per l’Europa. E infine c’è Grace, partita dalla Nigeria con la sua gemella. Ha attraversato il deserto, i lager libici e il Mediterraneo, ma è a Torino che ha incontrato i suoi sfruttatori. Nel frattempo, è rimasta sola, sua sorella è morta in un incendio in Libia. Sono passati tre anni, ma Grace non ha ancora trovato il coraggio di raccontarlo ai genitori e durante le loro videochiamate interpreta entrambi i personaggi, tenendo in vita la sorella, almeno fino alla prossima telefonata.

Nonostante la loro giovane età, tutte queste ragazze hanno già subito una serie impressionante di traumi, da cui all’occhio di un osservatore esterno appare impossibile riprendersi. Eppure succede. Il racconto di quello che è successo è il primo passo verso la risalita, il momento più duro- Lo è anche per Madeleine.
Il suo racconto inizia dall’orgoglio per il titolo di studio, laurea in gestione delle risorse umane con tanto di master. Nonostante la formazione di alto livello però, in Congo Brazzaville non è riuscita a trovare un lavoro nel suo campo, così si arrangia lavorando come commessa in un piccolo negozio di quartiere. La svolta avviene quando un giorno entra in negozio una signora molto elegante. «Ha iniziato a farmi tanti complimenti, per il mio portamento, il mio modo di esprimermi. Mi ha detto che ero speciale, non come le altre ragazze che vedeva in giro. Poi ha aggiunto che lei lavorava in Italia e che laggiù una ragazza in gamba come me non avrebbe avuto problemi a trovare lavoro». Ad ammaliare Madeleine con le sue parole lusinghiere è una cosiddetta “madame”, una donna spesso originaria di quello stesso quartiere, quasi sempre vicina alle famiglie delle ragazze, che forte della fama di una vita in Europa esercita sulle sue vittime una grande capacità di persuasione. Si insinua nelle insoddisfazioni e nelle aspirazioni di una vita migliore di queste giovani donne e basta davvero poco per convincerle a seguirla in un altro continente. Anche la madame che ha agganciato Madeleine ha seguito lo stesso schema. Promette di aiutarla con la richiesta di documenti, si offre di pagarle il viaggio, sottolinea di non preoccuparsi dei soldi, quelli glieli ridarà con calma quando avrà un buon lavoro in Italia. Su quello non ci sono dubbi, ne è sicura. «In quel momento ho sentito di avere una opportunità unica, irripetibile – continua Madeleine – Non mi sembrava vero. Ed infatti non lo era».

Passano poche settimane e, forte anche del suo titolo di studio, Madeleine riceve il visto e un biglietto aereo di sola andata per l’Italia. È tutto pronto, quella che sembrava una vita irraggiungibile e lontana adesso è a portata di mano. Arriva a Roma in un rigido giorno d’inverno, ad attenderla in aeroporto non c’è la madame, ma un uomo incaricato di condurla da lei. Il viaggio non è breve, direzione nord Italia, provincia di Vicenza. «Arriviamo davanti ad una grande casa e vedo subito la madame venirmi incontro, era già lì. Sorridente e accogliente, come me la ricordavo». La madame gli mostra la casa e le presenta le altre ragazze che ci abitano. Hanno l’aria un po’ dimessa, ma sembrano simpatiche, Madeleine è contenta di avere compagnia. Le viene mostrata anche la sua stanza, tutta per sé, dove può sistemare le sue cose e riposarsi dal lungo viaggio. «Quando ho chiuso la porta della mia stanza ho pensato: ce l’ho fatta. Sono in Europa!». Passa solo qualche ora e a quella stessa porta bussa di nuovo la madame. Questa volta è accompagnata da due uomini, uno dei due parla italiano. «Mi si sono avvicinati, mi parlavano con calma. Uno dei due inizia a toccarmi e ho trovato la cosa un po’ strana – riprende il racconto Madeleine – La madame si è accorta della mia resistenza e mi ha detto che dovevo lasciarlo fare, mi dice che questo è il mio lavoro adesso. Devo lasciarmi fare tutto e andrà tutto bene». È in quel momento che crolla il castello nella testa di Madeleine, in un colpo solo. Ha sempre saputo che quel viaggio non era gratis, ma non immaginava che accettando avrebbe contratto un debito di ventimila euro. È quella la cifra pretesa dalla madame e non la lascerà andare via finché non l’avrà ripagata fino all’ultimo centesimo. A prendere il sopravvento è l’ansia di trovarsi in trappola e soprattutto la vergogna per essere stata così ingenua da fidarsi ciecamente di quella donna. È qui che la voce di Madeleine si spezza e il racconto si interrompe.

Quella sera stessa Madeleine fa una cosa che non tutte le ragazze che si sono trovate nella sua condizione riescono a fare: scappa. Lo fa con solo quello che ha addosso, senza un euro in tasca, senza sapere una parola di italiano, sola e in una zona remota di provincia di un paese che non ha mai visto prima in vita sua. Protagonista e vittima di una brutta storia di tratta, una delle tante storie di tratta che avvengono ogni giorno intorno a noi, sul territorio italiano. Una storia di sfruttamento, di paura, di disperazione. Ma anche di riscatto.

Il reportage “Trattamento speciale” nel programma “Il Fattore umano”, 31 luglio
La vita che Madeleine e altri migranti si trovano ad affrontare una volta arrivati in Europa è raccontata nel reportage “Trattamento speciale” di Raffaele Marco Della Monica e Raffaele Manco, in onda lunedì 31 luglio nel programma “Il Fattore umano” (23.15 su Rai3).

Jean, Senegal, foto Raffaele Manco e Raffaele Marco Della Monica

“Il Fattore umano” è un format di Raffaella Pusceddu e Luigi Montebello (con la collaborazione di Elisabetta Camilleri e Antonella Palmieri, regia di Luigi Montebello), che fa da fact-checking per monitorare quanto i diritti umani siano realmente rispettati nei Paesi del mondo. La voce narrante di “Trattamento speciale” è quella dello scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah, Premio Nobel per la Letteratura nel 2021, conferitogli, si legge nelle motivazioni, «per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti».

NB I nomi delle vittime di tratta e alcuni dettagli biografici sono stati cambiati al fine di proteggere il loro anonimato

In apertura, Madeleine, Congo, foto Raffaele Manco e Raffaele Marco Della Monica

02/08/2023

Abbiamo ripreso l'articolo

da Left

Di Raffaele Marco Della Monica e Raffaele Manco