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«Violenza di genere, il codice penale non basta»

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ECCE HOMO. Il governo spinge nuove norme contro i femminicidi e vuole l’appoggio dell’opposizione, ma gli operatori chiedono interventi più ampi. «Il Codice rosso a costo zero non funziona e spesso espone la donna a rischi maggiori»

Le violenze degli uomini sulle donne si ripetono. La destra farnetica di tour delle vittime nelle scuole e castrazione. Avanza anche una nuova legge penale sui femminicidi. Ma la risposta solo repressiva ha sempre fallito

Anna Scala è stata uccisa il 17 agosto, accoltellata dall’ex che aveva denunciato due volte in un mese: denti spaccati, schiaffi e pugni, ma nessuna misura restrittiva per il suo carnefice. Mariella Marino, 56 anni, è stata uccisa a colpi di pistola dal marito violento da cui si era separata, aveva denunciato: otto mesi, pena che si era trasformata in un percorso per uomini maltrattanti e in libertà. Adela Gabriela Lingurar, 33 anni, si è impiccata in casa, suicida dopo aver denunciato l’ex fidanzato per stalking, lui già ai domiciliari con una pena di undici anni per violenze sessuali, minacce e maltrattamenti. Aveva ricominciato a perseguitarla telefonicamente, l’ha denunciato di nuovo, poi si è uccisa.

«Denunciate», dicono, ma a volte non basta. È il sistema che non funziona? Il governo risponde con un pacchetto di norme annunciate a giugno – identico a quello presentato nella scorsa legislatura dal governo Draghi – e chiede un’approvazione bipartisan in due mesi. Positiva la risposta delle opposizioni.

                                                       

OGNI TRE GIORNI in Italia una donna muore per mano di un uomo: mariti, compagni, ex, fidanzati, che vogliono avere il controllo e possedere fino all’ultimo la vita delle donne. Da gennaio a luglio 2023 i femminicidi sono stati il 36,4% degli omicidi totali, 71 le donne uccise. In aumento sono i cosiddetti «reati spia»: atti persecutori, maltrattamenti e violenze sessuali. Ma in realtà la maggior parte delle donne non denuncia: il 63%. secondo l’ultima Commissione femminicidio.

In Italia le norme contro la violenza di genere, gergalmente chiamate Codice Rosso approvate solo nel 2019 hanno fornito un impianto su come affrontare il fenomeno: «I tribunali italiani hanno sviluppato a una corsia preferenziale per l’attivazione in tempi rapidi, ma rimane una quota in cui la tutela non arriva in maniera tempestiva – spiega Fabrizio Filice, gip a Milano – se una donna denuncia è già in una fase molto critica». I tempi sono stretti a volte troppo da non riuscire ad attivare norme che già esistono. Alcune migliorabili ed inserite nel pacchetto come l’ammonimento, che si allarga ai reati spia; l’aggravamento di pena quando i reati sono commessi da un soggetto già ammonito e con la reiterazione, la querela partirà d’ufficio, senza la denuncia della vittima. Infine il potenziamento dell’uso del braccialetto elettronico che ora prevede il consenso da parte del violento, ma che in caso di consenso negato non potrà essere inferiore a due anni, per non meno di 500 metri e in caso di violazione sarà imposta la detenzione in carcere.

A una risposta penale però i centri antiviolenza chiedono una soluzione più ampia: «Il Codice Rosso pur essendo nel complesso una buona legge, sconta la mancanza di essere a costo zero», spiega Anna Maria Picozzi, procuratrice aggiunta a Palermo. «Sarebbe opportuno investire risorse finanziarie nei centri antiviolenza, che riescono ad avere dei contatti tempestivi con le donne. Prima di denunciare infatti spesso le donne si rivolgono a loro, hanno paura ad esempio che venga messa in discussione la genitorialità», aggiunge Filice.

Secondo D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza che gestisce gestisce oltre 110 Centri antiviolenza e più di 60 case rifugio, solo il 27% delle donne che si rivolgono a loro denunciano. «Più che concentrarci sulla donna che denuncia, dobbiamo pensare al contesto: è inutile dire alla donna di buttarsi se non siamo pronti a raccoglierla», fa notare Elena Baggioni, avvocata e vicepresidente D.i.Re. Il tema delle case rifugio è centrale. Non esistono mappatura nazionale e finanziamenti pubblici appositi: serve poi omologare le leggi regionali che spesso fanno distinzione di reddito. Così come da anni chiede il Grevio, il gruppo di esperti del Consiglio d’Europa che si occupa del tema e che nel 2020 ha redatto un rapporto con tutte le criticità italiane. Formazione continuativa per le forze dell’ordine, giudici e magistrati; ma non solo: educazione nelle scuole, attenzione ai media che trasmettono stereotipi sessisti. E tanto altro.

UNA DONNA che denuncia in tre giorni, visto l’obbligo del giudice di sentire chi ha commesso violenza, rischia di trovarsi in una situazione ancora più pericolosa, in casa con il carnefice. «Manca una rete pubblica e non ci sono percorsi di ricollocazione. Non è possibile affrontare la materia solo dal punto di vista penale, chiediamo multidisciplinearità e un impegno anche in senso culturale che metta in discussione il modello maschile e di famiglia», conclude Filice che ammette che l’80% delle misure cautelari che emette riguardano la violenza contro le donne.

«I cambiamenti culturali richiedono anni e impegni concreti, mentre fare una legge che inasprisce le pene è molto più semplice e finisce col delegare a magistratura e forze dell’ordine la risoluzione dei problemi», conclude Picozzi. «La senatrice Valente, ex presidente della Commissione femminicidio, ha detto che dovrebbe esserci una presa di coscienza contro la violenza sulle donne pari a quella che c’è stata, dopo le stragi del 1992 e 1993, contro la mafia. Sono assolutamente d’accordo con lei».