La richiesta di arresto di Netanyahu & C. dovrebbe spingere l'Occidente cambiare rotta. Ma con i tempi (e i leader) che corrono...
Ebbene sì. Dopo oltre sette mesi di guerra e circa 35mila morti palestinesi, si può affermare che la reazione di Israele – ma è più corretto dire del governo Netanyahu – al vile attentato di Hamas del 7 ottobre scorso, è stata ed è del tutto sproporzionata senza per questo essere tacciati di antisemitismo.
Ma se finora è stato possibile affermarlo, come questo giornale ha fatto sin dai primi giorni successivi all’invasione militare nella Striscia di Gaza, per l’evidenza empirica del numero spropositato di vittime civili, donne e bambini compresi, da oggi sarà difficile negare l’evidenza anche per chi si è ostinato a giustificare la carneficina in nome del diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Che peraltro nessuno mette in discussione.
Purtroppo per loro, però, la richiesta di arresto formulata ieri dal Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (Cpi), Karim Khan, nei confronti di Netanyahu, del suo ministro della Difesa, oltre al leader di Hamas, Sinwar, ed altri esponenti dell’organizzazione – sulla quale dovrà ora pronunciarsi la Camera preliminare del tribunale dell’Aia – ha sdoganato le parole crimini di guerra e contro l’umanità.
I reati, cioè, che per chiunque fino a ieri osasse solo pronunciare equivalevano a uno stigma. Resta ora da capire cosa farà l’Occidente. Che utilizzò il mandato di cattura spiccato dalla Cpi nei confronti di Putin, per giustificare le scellerate forniture di armi a Zelensky, cancellando dal tavolo ogni ipotesi di soluzione diplomatica in Ucraina.
Applicando la stessa logica, la richiesta di arresto nei confronti di Netanyahu dovrebbe spingerli ora a bloccare quelle verso Israele. Ma con i tempi (e i leader) che corrono il condizionale è più che mai d’obbligo.
21/05/2024
da La Notizia