Acqua:


Il Parlamento europeo ha fatto propria la proposta dei movimenti per l’acqua

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21.03.2018

di Sergio Cararo

 

Sabato prossimo a Bologna, la Piattaforma Eurostop discuterà intorno a due proposte di legge che possono determinare l’agenda politica dei prossimi mesi.

 

La prima è la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare che chiede le “Modifiche agli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, concernenti l’equilibrio di bilancio (il principio del “pareggio di bilancio”), al fine di salvaguardare i diritti fondamentali della persona”, più nota come proposta per abrogare la formulazione dell’art.81 nella Costituzione imposta nel 2012 dal governo Monti/Fornero su diktat della lettera della Bce di Draghi e Trichet dell’agosto 2011.

 

La seconda è la “Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per l’indizione di un referendum di indirizzo sull’uscita dell’Italia dall’Unione Europea”. In pratica chiede una legge che consenta un referendum sulla prosecuzione o meno dell’adesione dell’Italia ai Trattati dell’Unione Europea, inclusi i più recenti come il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla  governance nell’Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) e il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES).

 

Per entrambe le leggi servono almeno 50.000 firme per essere consegnate al Parlamento e richiederne la discussione – possibilmente anche l’approvazione – in aula. Il dato interessante è che le leggi di iniziativa popolare, una volta spesso lasciate marcire negli archivi della Camera o del Senato, adesso vanno obbligatoriamente discusse entro tre mesi.

 

Sulla prima proposta, già depositata in Cassazione il 4 dicembre del 2017 in occasione dell’anniversario della vittoria sul referendum controcostituzionale, si è costituita un’ampia coalizione di forze politiche, sociali, sindacali e di giuristi che ha avviato la raccolta di firme. In realtà ancora poche. In mezzo c’è stata la campagna elettorale e, da quanto sembra, solo Potere al Popolo ha avuto la sensibilità e la coerenza di raccogliere le firme nei mesi scorsi, spesso insieme alla Legge di iniziativa popolare contro la Buona Scuola. La tematica della campagna sull’art.81 è apparentemente ostica e di non facile comprensione per i non addetti ai lavori. Ma era così anche per il referendum sulla controriforma costituzionale di Renzi, solo l’aver declinato la campagna sul NO sociale, ha consentito di estendere la mobilitazione e il coinvolgimento popolare che ha sconfitto il disegno reazionario del governo il 4 dicembre del 2016.

 

La seconda proposta di legge, quella per il referendum sull’Unione Europea, verrà discussa sabato a Bologna e presentata nelle prossime settimane in Cassazione – al momento solo da Eurostop ma il fronte potrebbe allargarsi– e da quel momento ci saranno sei mesi per la raccolta delle 50mila firme.

 

Questa proposta di legge indubbiamente più chiara e diretta, per ora incontra riluttanze ed entusiasmi. Riluttanze nella “sinistra” e tra molti costituzionalisti, entusiasmi in realtà sociali/sindacali e in settori politici che hanno ormai maturato l’idea che sulla rottura con l’Unione Europea si possa seriamente costruire un movimento popolare, di classe e democratico capace declinare questa battaglia con un segno fortemente progressista e internazionalista.

 

Diversi costituzionalisti sostengono che questa proposta di legge abbia un obiettivo non raggiungibile. I paletti della Costituzione – l’art.75 – negano infatti che in materia di trattati internazionali e leggi di bilancio si possano fare i referendum. I promotori della legge di iniziativa popolare, tra cui Franco Russo che l’ha materialmente redatta, si fanno invece forza della mutata situazione politica, della legge esistente e del precedente del referendum del 1989 sull’affidamento di poteri costituenti al Parlamento Europeo: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1989/04/24/089A1761/sg

 

Probabilmente i legislatori del 1989, ritenevano che l’euroentusiasmo della società italiana potesse essere perpetuo e inamovibile e non calcolarono gli effetti futuri di quella legge. In effetti quel referendum del 1989 fu un plebiscito europeista sostenuto da tutti i partiti presenti in Parlamento, un po’ come le leggi del governo Monti su cui oggi si piange e ci si straccia i capelli dopo averle votate nel 2012.

 

Ma i tempi cambiano e la realtà chiarisce come stanno le cose. Di fronte a 25 anni di tagli, austerity, privatizzazioni, liquidazione dei diritti sociali e dei lavoratori imposti dal “vincolo esterno” – i trattati dell’Unione Europea – una parte crescente della società italiana ha cominciato a fare il calcolo tra costi e benefici dell’adesione all’Eurozona e all’Unione Europea, ed è arrivata alla conclusione che il costo sociale è diventato insopportabile. A favore di questa battaglia intorno alla proposta di legge che consenta il referendum sull’uscita dall’Unione Europea, giocano dunque due fattori:

 

  • L’aumento di tutti gli indicatori del disagio sociale (povertà, diminuzione della salute, boom dei working poors, diminuzione delle aspettative di vita e delle aspettative generali della società). E’ evidente come la principale causa di questo imbarbarimento delle condizioni sociali siano i diktat economici e di bilancio imposti dall’Unione Europea. Ma anche sul piano della sovranità democratica si assiste ormai al ricatto e all’ingerenza continua del cosiddetto “pilota automatico” europeo sulle scelte interne del paese, della sua vita democratica e sociale.
  • In secondo luogo, a meno che non si torni al voto, per i prossimi mesi e per la prima volta, alla Camera e al Senato non c’è più una maggioranza blindata “europeista”. E’ uno spazio di manovra interessante. E lo è anche, perché portare in Parlamento una legge che chiede esplicitamente che si possa fare un referendum sull’adesione all’Unione Europea, metterebbe le due forze che hanno vinto le elezioni (M5S e Lega) di fronte a se stesse e alle loro contraddizioni.

 

Si apre dunque una sfida interessante e a tutto campo. Di questo si discuterà sabato 24 marzo a Bologna e su questo la Piattaforma Eurostop intende discutere anche dentro Potere al Popolo, cercando di arrivare ad una azione condivisa ovunque sia possibile.

20.03.2018

Maurizio Acerbo

 

Oggi  Podemos e France Insoumise di J.L.Melenchon hanno lanciato una campagna europea contro i paradisi fiscali e l’evasione dei super-ricchi é una campagna che condividiamo fortemente e a cui come Rifondazione Comunista-Sinistra Europea condividiamo e aderiamo.

 

Ci impegniamo quindi a portare avanti iniziative comuni in Parlamento europeo e a promuovere iniziative in Italia coinvolgendo tutte le realtà sociali e politiche che condividono la campagna.

 

 L’evasione fiscale di super-ricchi e grande capitale è uno scandalo che le istituzioni dell’Unione europea, e in particolare la Commissione europea di Juncker, hanno dimostrato di non prendere sul serio. Al contrario, le loro iniziative e misure vanno nella direzione di proteggere i truffatori e i paradisi fiscali. Ad esempio, la cosiddetta lista nera europea dei paradisi fiscali, che è diventata piuttosto una lista per riciclare molti paradisi fiscali.

 

Un’efficace politica europea di lotta all’evasione fiscale consentirebbe di contrastare crescita disuguaglianze, finanziare misure sociali e ecologiche, rilanciare occupazione.

19 mar 2018

COMUNICATO STAMPA

 

Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dichiara:

 

«Il sequestro della nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms e le accuse ai cooperanti, “rei” di aver salvato delle vite umane, è il risultato aberrante della campagna contro le Ong del M5S che ha affiancato Salvini e Meloni nella demagogia contro gli sbarchi. Criminalizzare i volontari che salvano i migranti è un’operazione che nulla a che vedere con la sicurezza, ma solo con l’isteria xenofoba. Siamo all’apoteosi della disumanità: coi migranti che muoiono di fame una volta sbarcati e i magistrati che trattano da delinquenti chi cerca di salvarli.

 

La nostra solidarietà alla nave e agli operatori del progetto spagnolo e a tutte le Ong che ogni giorno fanno quello che i nostri governi hanno scelto di non fare: salvare vite umane».

Marco Boccitto

 

Rio. Consigliera comunale della sinistra, leader «negra» e femminista, denunciava i crimini della polizia nelle favelas. Ondata di sdegno e di manifestazioni in tutto il Paese.

 

Un’esecuzione in piena regola, nello stile che lei non aveva esitato a definire da «squadroni della morte», nelle sue più recenti denunce sui metodi utilizzati dalle forze di sicurezza, in particolare dalla polizia militare, per «ammazzare i nostri giovani» nelle favelas.

 

È morta così anche Marielle Franco, 38 anni, figura pubblica molto stimata a sinistra, popolare nelle strade come nelle reti sociali. Quattro pallottole l’hanno raggiunta alla testa in pieno centro a Rio de Janeiro. I sicari hanno sparato da un’auto che si è affiancata a quella su cui viaggiava la donna, mercoledì notte, uccidendo anche un accompagnatore che era alla guida e ferendo una terza persona, una giornalista, che si trovava sui sedili posteriori.

 

MARIELLE TORNAVA A CASA dopo aver partecipato a una delle tante iniziative a cui non ha mai fatto mancare il suo sostegno. Al fianco in questo caso delle mulheres negras, donne nere e arrabbiate come lei, perché discriminate due volte nella società brasiliana. Nel 2016 era stata eletta vereadora nel consiglio comunale della metropoli carioca. Candidata nelle liste del Partito socialismo e libertà (Psol), il suo è risultato il quinto nome più votato di tutta Rio, con oltre 46 mila preferenze.

 

Sembrava essere il naturale sbocco di una vita iniziata nel Complexo da Maré, durissima favela della Zona Norte, e continuata sempre dalla parte dei poveracci, delle vittime di abusi in senso lato. Sociologa di formazione, attivissima sul fronte dei diritti, le questioni di genere, la lotta alle storture economico-razziali, le brutali disuguaglianze sociali che affliggono il Brasile e in particolare questo Brasile, tornato a destra sui binari delle vecchie oligarchie; con un presidente de facto e plurinquisito come Michel Temer che all’aumento della violenza nelle favelas ha da poco risposto con altra violenza, affidando all’esercito il controllo della città e la supervisione delle operazioni di polizia nelle zone più disgraziate.

 

L’OMICIDIO ha suscitato un’impressione tremenda e un’ondata di mobilitazioni in tutto il Paese. L’ex presidente Lula lo ha definito «abominevole» e ha chiesto «che il governo di Rio e le forze armate rendano conto alla società, trovando i colpevoli. Se è stata la polizia, sarà ancora più facile».

Mentre la notizia iniziava a diffondersi in tutto il mondo anche la sezione brasiliana dell’Onu rendeva omaggio a Marielle («una delle principali voci in difesa dei diritti umani») e Amnesty International chiedeva «un’inchiesta immediata e rigorosa». Secondo Glauber Rocha, deputato federale del Psol, «tutto indica che si tratta di un’esecuzione mirata». Dal lato opposto non è mancato all’appello lo sdegno di circostanza di Temer («inammissibile attentato alla democrazia e allo stato di diritto») e di alcuni membri del governo.

«Quanti altri devono morire prima che finisca questa guerra?»L'ultimo tweet di Marielle Franco

 

IL FERETRO DI MARIELLE FRANCO ieri ha attraversato le strade di Rio tra lacrime, pugni chiusi e slogan. Fendendo una folla commossa e infuriata che si era radunata di fronte a Cinelândia è stato portato nel Salone d’onore del municipio carioca, dove nel pomeriggio è iniziata la veglia funebre. Alla stessa ora manifestazioni si sono svolte a Sãn Paolo, Belo Horizonte, Florianópolis, Natal, Recife, Curitiba… Da sud a nord, è una vibrazione collettiva che sta unendo chi confidava anche in una figura come quella della consigliera municipale assassinata per riportare la sinistra brasiliana in condizioni di riprendere (e possibilmente perfezionare) il cammino intrapreso con Lula.

 

IL GIORNO PRIMA di essere uccisa Marielle aveva dedicato l’ultimo tweet a un ragazzo di 17 anni, ennesima vittima della guerra che insanguina gli scorci meno poetici della cidade maravilhosa: «Ancora un omicidio che potrebbe entrare nel conto di quelli compiuti dalla polizia militare – scriveva -. Matheus Melo stava uscendo dalla chiesa. Quanti altri devono morire prima che finisca questa guerra?».

 

16.03.2018

 

Potere al Popolo porta in tv la voce dei milioni di lavoratori che hanno subito sulla loro pelle gli effetti di una delle leggi peggiori della storia della Repubblica!

 

Aumento dell'età pensionabile, aumento dell'orario di lavoro nell'arco della vita, impoverimento diffuso: ecco cosa significa legge Fornero!


FACCIAMO GIRARE!

 

Scontro epico, stamattina, dagli schermi de La7.  Gli spettatori hanno avuto – e avranno, rivedendo le immagini, che Pd, Forza Italia, “un medico”, una ex “sindacalista” come la Polverini, al massimo sufferiscono di “apportare qualche piccola modifica” a una delle leggi più infami che – come la “tassa sul macinato” – mira a riempire le casse dello stato affamando gli strati più deboli della popolazione: i lavoratori dipendenti.

Uno contro tutti, Cremaschi dimostra che soltanto una forza indipendente, sganciata dalle vecchie liturgie politiciste proprie anche della antica “sinistra radicale”, può davvero rappresentare l’alternativa.

15/03/2018

 

Piacenza pare concorrere per il triste primato delle denunce e degli avvisi di garanzia contro chi ha protestato per il barbaro assassinio di Abd El Salam avvenuto il 14 Settembre 2016 durante il picchetto alla GLS contro i licenziamenti e per i diritti contrattuali  dei lavoratori della logistica.


Sergio Bellavita e Maria Teresa Chiarello, due dirigenti sindacali USB,  hanno ricevuto due avvisi di garanzia in ordine a gravi reati quali interruzione di pubblico servizio, manifestazione non autorizzata e altri in relazione alle manifestazioni che il giorno seguente all’assassinio del delegato hanno attraversato Piacenza.


Ma la solerzia della questura piacentina non si ferma qui: gli stessi due compagni sono indagati anche per un altro episodio legato alle proteste contro il licenziamento arbitrario di tre lavoratori, deciso dalla RG Servizi,  un’azienda di verniciature industriali che lavora anche in appalti per la Difesa, sulla base di  accuse pretestuose, tanto che uno dei tre lavoratori ha già ottenuto dalla magistratura il reintegro.

 

Anche in questo caso accuse pesanti di violenza privata e di concorso, per aver difeso le ragioni dei lavoratori ingiustamente accusati.
Ormai da tempo assistiamo al fatto che sempre più spesso si tenta di rimuovere il conflitto, di annullarlo, colpendo chi ancora non si sottomette alla logica dei ricatti, alle prepotenze e all’arroganza di chi, forte del suo potere,  pensa di poter disporre della vita di lavoratori e delle lavoratrici a suo piacimento.


A@ compagn@ colpiti dalla denunce la solidarietà e il pieno sostegno di tutta la  organizzazione USB e di PRC che saranno sempre al fianco di chi lotta per i diritti dei lavoratori e per la vera giustizia sociale.

15.03.2018

Giorgio Cremaschi

 

 

La giunta di destra di Genova, applicando la legge Minniti sul decoro urbano, ha deciso di multare con 200 euro i poveri che cercano da mangiare. Poi l’assessore alla sicurezza, il leghista Garassino, ha aggiunto che queste misure saranno applicate “con umanità”.

 

Buffone, fa il generoso su ciò che non potrà riscuotere mai. Il sindaco Bucci ha aggiunto che Genova è città turistica e certe scene di miseria non si devono vedere. Per eliminare queste brutte visioni ed ogni vagabondaggio fastidioso la giunta ha anche deciso di riempire di sbarre di ferro i luoghi ove prima ci si poteva sedere. Mancano filo spinato e corrente elettrica, ma arriveranno.

 

Ora il PD, che ha votato quelle leggi Minniti che affrontano le questioni sociali come arredamento cittadino, esprime ipocrita scandalo per le decisioni della giunta genovese. Che ha ben ragione a rispondere: stiamo applicando le leggi del governo Gentiloni.

 

Il ministro Minniti non ha avuto l’apprezzamento dell’elettorato, ma ha ricevuto quello di tutto il palazzo di destra e sinistra. Anzi é stato ben giudicato anche da parte di chi quel palazzo lo contesta, come Di Battista.

 

Minniti ha stabilito per legge che i poveri, chi soffre e ancor di più lotta, sono una offesa al bell’aspetto delle nostre città; e pertanto vanno affrontati con misure di polizia, Daspo, multe. “Devono sparire”, urlava il funzionario di polizia che voleva spezzare le braccia ai rifugiati di Piazza Indipendenza a Roma. Non devono mangiare, rispondono a Genova.

 

È vero in fondo che oggi solo piccole minoranze fanatiche sono razziste sulla base del colore della pelle. È altrettanto vero però che tutto il potere alimenta l’odio razziale verso i poveri. Anche le irrisioni ai meridionali in presunta fila per il reddito di cittadinanza fanno parte di questo razzismo.

 

La lotta alla povertà non si fa e non si vuole fare, quella ai poveri invece viene viene organizzata con meticolosa precisione. E viene giustificata e banalizzata come problema di decoro e buon aspetto delle nostre città, dove si deve poter fare affari in santa pace, senza che di quegli affari si vedano gli effetti..I poveri devono sparire, comunque.

 

È la banalità del male, il nazismo politicamente corretto del terzo millennio

14.03.2018

COMUNICATO STAMPA

«Stephen Hawking – dichiara Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – non è stato soltanto un grande scienziato ma per tutta la vita un compagno e un intellettuale socialmente impegnato. Si autodefiniva socialista e ateo, difendeva il servizio sanitario pubblico e universale.
In queste ore, mentre si moltiplicano omaggi e rievocazioni, va ricordato il suo monito: ” Non dobbiamo avere paura dei robot ma del capitalismo“.

 

Hawking spiegò molto bene quanto nel tempo presente sia necessaria un’alternativa socialista al capitalismo neoliberista:
“Se le macchine finiranno per produrre tutto quello di cui abbiamo bisogno, il risultato dipenderà da come le cose verranno distribuite. Tutti potranno godere di una vita serena nel tempo libero, se la ricchezza prodotta dalla macchina verrà condivisa, o la maggior parte delle persone si ritroveranno miseramente in povertà se la lobby dei proprietari delle macchine si batteranno contro la redistribuzione della ricchezza. Finora, la tendenza sembra essere verso la seconda opzione, con la tecnologia che sta creando crescente disuguaglianza”.


Un genio come Stephen Hawking non si faceva abbindolare nè dal fondamentalismo religioso nè da quello del capitalismo. Rendiamo omaggio a una persona meravigliosa che ha servito l’umanità».

 

14.03.2018

 

 

Il Consiglio di Stato ha respinto i ricorsi avanzati dalla regione Abruzzo e dalla regione Puglia contro il Ministero dell'Ambiente e la società Spectrum Geo Lfd dando di fatto il via libera alle trivellazioni nell'Adriatico. 


I firmatari del ricorso avevano sottolineato che "bucare" il mare in cerca di gas o petrolio avrebbe potuto disturbare la vita dei cetacei e provocare onde sismiche, ma tutto questo è stato ritenuto inammissibile e infondato. 


Ancora una volta, dunque, la volontà di chi vive e abita realmente i territori viene bypassata dalla logica del profitto!


Potere al Popolo sa da che parte stare!


L'unica energia "pulita" è quella che si ottiene mettendo al primo piano la tutela dell'ambiente e delle persone e non cedendo alle leggi del profitto.

 

14.03.2018

Giovanni Di Fronzo

 

Si profila un disastro ad Afrin. Nelle scorse settimane le difese delle Ypg/Ypj curde, accompagnate dalle Forze di Difesa Nazionale (NDF) legate al governo siriano sono rapidamente collassate di fronte all’avanzata dell’esercito turco e dei suoi proxy, nonché di fronte ai martellamenti dell’aviazione di Ankara, portati nell’ambito dell’operazione “ramo di ulivo” con lo scopo di rimuovere il cosiddetto Cantone di Afrin a guida del ramo siriano del Pkk; attualmente le forze filo-turche si trovano alle porte di Afrin (800 metri secondo alcune fonti, 2 km secondo altre) e sono sul punto di dividere in due la sacca in mani curde.

 

Al momento la situazione non sembra avere sbocchi: si avvicina una battaglia urbana sanguinosa con le forze filo-turche in netto vantaggio di uomini e mezzi; a nulla sono valsi i rinforzi giunti a migliaia ad Afrin dalle altre aree che le SDF controllano per conto degli USA; tale afflusso nel nord-ovest del paese di miliziani delle Ypg, fra l’altro, hanno costretto nei giorni scorsi i comandi militari yankee a dichiarare che la fase offensiva della battaglia contro l’Isis nelle aree orientali della Siria è sospesa per mancanza di uomini (si è trattata della prima ammissione aperta da parte della coalizione a guida USA che le Ypg sono in pratica l’unica forza militare efficace nell’ambito delle SDF, cosa che tutto il mondo sapeva ma, per l’appunto, non era mai stata ammessa apertamente per salvare le forme nei rapporti con la Turchia). A nulla è valso anche il limitatissimo accordo con il governo di Damasco che ha portato allo schieramento ad Afrin delle NDF, milizie che, essendo forze popolari per lo più volontarie non parte integrante dell’esercito siriano, sono state colpite dall’aviazione turca senza alcuna remora.

 

Vediamo ora come procederà la battaglia urbana.

 

Come considerazione a contorno si può dire che la Turchia sta riuscendo a sfruttare la situazione di isolamento politico del Cantone di Afrin, colpito in un momento in cui i rapporti fra le Ypg e l’asse Siria-Russia erano ai minimi termini: nella battaglia nella provincia di Deir-ez-Zor, infatti, le milizie curde si sono legate strettamente agli interessi strategici degli USA conquistando ai danni dell’Isis quasi tutti i giacimenti petroliferi situati a est dell’Eufrate e rivendicati dall’esercito siriano, che è stato costretto ad attestarsi sulla riva occidentale del grande fiume; ciò, evidentemente, nella convinzione mal riposta che questo servizio reso agli USA sarebbe stato ricambiato con la protezione del Cantone di Afrin, da mesi nelle mire turche. Tuttavia, come prevedibile, il Pentagono ha fatto orecchie da mercante ed ha abbandonato Afrin col pretesto dell’assenza di miliziani dell’Isis nell’area.

 

Nondimeno la Russia, anche a causa di quanto accaduto a Deir-ez-Zor, ha anch’essa privilegiato i rapporti con la Turchia, con cui aveva in piedi gli accordi sulle de-escalation zone, e ha dato il disco verde all’operazione “ramo di ulivo”, impedendo probabilmente anche un più vasto accordo fra Damasco e le autorità di Afrin.

 

Così un’area che era stata toccata relativamente poco dalla guerra e che, quindi, era tra l’altro il rifugio di centinaia di migliaia di profughi, rischia di passare di mano dal modello progressista e democratico delle Ypg all’oscurantismo islamista delle milizie filo turche, che andrebbero a ricongiungersi con i commilitoni, i quali già controllano il triangolo Abab, Azaz, Jarablus dalla precedente operazione militare turca “scudo dell’Eufrate”. Il rafforzamento di tali milizie, duramente colpite nei mesi precedenti dalle vittorie dell’esercito siriano a nord di Hama e nella parte sud-orientale della provincia di Idlib, e, in generale, dell’area di influenza turca potrebbero, tra l’altro, alimentare le ambizioni smisurate di Ankara e prolungare ulteriormente la guerra.

 

Si tratta, pertanto, di un vero disastro. Che, stando alle dichiarazioni del Presidente Erdogan, potrebbe estendersi alla città di Manbij, prossimo obiettivo dichiarato. Per quel che riguarda Manbij, non è chiaro se nell’area vi sia una presenza militare americana a fare da potenziale deterrente; tuttavia, stando alle dichiarazioni ufficiali del pentagono, l’alleanza con le SDF riguarda esclusivamente le aree situate sulla sponda orientale dell’Eufrate, quindi nemmeno Manbij.

 

Al netto di ciò, riporre speranze nell’”alleato”, come si è visto, non garantisce alcuna protezione sicura alle Ypg; né a est, né a ovest dell’Eufrate, aggiungiamo noi. Pertanto, l’alternativa sarebbe anche in questo caso implementare un più largo accordo di coesistenza con Damasco, che dovrebbe prevedere una qualche forma di condivisione del potere nell’area di Manbij e il collocamento di soldati dell’esercito siriano sul confine con la Turchia al fine di togliere ad Ankara il pretesto del “pericolo terrorista sul confine” e di poter svolgere una funzione di deterrenza più ampia rispetto a quella che stanno svolgendo le NDF ad Afrin. Tale opzione converrebbe, ovviamente, anche a Damasco e forse anche alla Russia, la quale, concessa Afrin, potrebbe non avere voglia di alimentare eccessivamente gli appetiti neo-ottomani. Tuttavia, al momento non pare la più probabile.

 

Intanto sull’altro fronte caldo, ovvero l’ex-area di de-escalation del Ghouta Orientale che Damasco e Mosca hanno deciso di porre interamente sotto il controllo dell’esercito siriano, le Forze Tigre stanno rapidamente avanzando e sono riuscite a dividere in due la sacca jihadista, dove le formazioni salafite sotto egida delle potenze straniere (Ahrar al-Sham, Faylaq al-Rahman, Jaysh al-Islam e altre) collaborano con i “terroristi riconosciuti” di Hayat Tahrir al-Sham, ex al-Nusra e continuano a bersagliare il centro della capitale con colpi di mortaio e ad impedire la fruizione dei corridoi umanitari ai civili in fuga.

 

Anche qui si approssima una dura battaglia urbana e i media occidentali, a fronte del sostanziale silenzio su Afrin, sono pieni di report che accusano Damasco di ogni sorta di atrocità, comprese le ormai trite e ritrite menzogne sull’utilizzo di armi chimiche che ci accompagnano ormai dal 2013.

 

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