Acqua:


Il Parlamento europeo ha fatto propria la proposta dei movimenti per l’acqua

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Marina Catucci

 

Stati uniti. Centinaia di migliaia di persone marciano contro la Nra, in testa i ragazzi sopravvissuti al mass shooting di Parkland. «Oggi marcio, ma a novembre voto», è il messaggio degli adolescenti alla politica.

 

La più imponente manifestazione per il controllo delle armi ha richiamato a Washington centinaia di migliaia di persone e altre hanno protestato praticamente ovunque negli Stati uniti, non solo nelle grandi città delle due coste, ma anche nei piccoli centri. Per dire enough is enough, ora è troppo, una regolamentazione è necessaria ed è necessaria ora.

 

A organizzare tutto ciò, a dare il via a questo movimento così partecipato e potente, sono stati i ragazzi della scuola superiore di Parkland in Florida dove il 15 febbraio 18 ragazzi hanno perso la vita in un mass shooting. In poco più di un mese l’onda si è alzata e non accenna a scendere, a differenza di tutte le altre volte in cui un massacro simile si è consumato.

 

Per la prima volta i sopravvissuti e i parenti delle vittime non hanno solo accettato abbracci e preghiere, ma hanno dato vita a una protesta su scala nazionale mandando un messaggio ben preciso: oggi marcio, ma a novembre voto.

 

Su molti cartelli presenti in tutte le manifestazioni di March For Our Lives si legge questo concetto: a novembre ci saranno otto milioni di nuovi elettori, nel 2020 saranno ancora di più, e non voteranno nessuno che abbia legami con la lobby della armi, la Nra.

 

Sul palco di Washington, alla fine del cortei, si sono susseguiti i contributi di studenti, insegnanti, genitori e sopravvissuti ai mass shooting; per la maggior parte sono ragazzi, diremmo ragazzini, dai 15 ai 18 anni, che affrontano un palco con di fronte centinaia di migliaia di persone e tutti i network nazionali, con un cipiglio che viene interrotto dall’emozione, dal dolore, per poi riprendersi e ricominciare a parlare.

 

Una delle studentesse della Florida si deve interrompere per vomitare per poi riprendere l’appello: dovete lasciarci vivere, le armi sono meno importanti di noi. I racconti più forti arrivano dai ragazzi sopravvissuti ai massacri avvenuti nelle scuole americane, come gli adolescenti che erano bambini nella scuola elementare di Sandy Hook in Connecticut e che descrivono quel giorno, quando un ventenne disturbato entrò nella loro scuola uccidendo 20 bambini e sette adulti. Tutti i messaggi finiscono dicendo «Non faremo vincere la vostra agenda dettata dalla Nra, non vi voteremo, noi vi sconfiggeremo».

 

Sul palco arrivano anche la nipote di Martin Luther King e artisti che cantano per loro, Ariana Grande, Jennifer Hudson, cori gospel, ma i veri protagonisti sono loro, gli adolescenti americani feriti e consapevoli, che affrontano il comizio con cipiglio da leoni spezzato dalle lacrime, come accade a Emma Gonzalez che insieme a David Hogg è uno dei volti più noti di questo movimento.

 

Gonzalez sale sul palco e chiede di restare in silenzio per i sei minuti e mezzo che è durata la sparatoria in Florida. In quei sei minuti le lacrime rigano i volti di chi è sul palco come tra la folla. La maggior parte dei presenti sono giovanissimi, ma si vedono anche i baby boomer e i rappresentanti della generazione X, nonni e genitori di questi ragazzi che sono andati alla manifestazione accompagnati.

 

«Vengo da Stantfort in Connecticut – dice Isa, 15 anni – Sono venuta con mio padre, è da quando sono nata che sento queste storie alla tv e alla radio, sento che ci sono veglie di preghiera, poi mentre il giorno dopo vado a scuola mi chiedo se magari non capiterà anche a me. Prima o poi arriva il momento di dire ’ora basta’. A scuola studiamo che queste cose non si fermano da sole, il compito di cambiare è della mia generazione».

 

Le manifestazioni delle altre città sono state altrettanto emozionanti e partecipate. Negli Stati più attivi e con le leggi più restrittive riguardo le armi i governatori, i sindaci, i senatori sono scesi in piazza, ma sempre un passo indietro rispetto ai ragazzi. «Io sono un ragazzo delle superiori e sono anche nero – dice Sam, 17 anni, al corteo di New York – Sai quante probabilità ho di venire ucciso da armi fuoco? Pensaci, ho nemici ovunque. Non mi vengano a parlare di secondo emendamento per una mitragliatrice semi automatica, per favore».

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Luigi Pandolfi

 

Dopo il voto. In Europa, nelle sue varie forme, ha percentuali a due cifre, e in alcuni paesi è al governo. In casa nostra è stata dilaniata. Come tentare di ripartire

 

La povertà come volano per l’economia dell’export: un modello sociale che «valorizza» le disuguaglianze nei processi di elevazione della competitività, rovesciando il paradigma che stava alla base del vecchio «modello sociale europeo».

 

La crisi economica che ha scosso il capitalismo mondiale tra il 2007 e il 2009 ha dato una nuova base «oggettiva» alle politiche di smantellamento del welfare state e dei diritti dei lavoratori, che, nel nostro Paese, erano iniziate già vent’anni prima. L’Italia è entrata nella crisi con un’economia in declino e ne è uscita con una società ancora più diseguale, riorganizzata in funzione del modello neo-mercantile che la Germania ha imposto, con successo, a tutta l’Europa.

 

È stata una rivoluzione, che non ha visto come protagonisti gli operai, i «ceti subalterni», per dirla con Gramsci, ma il capitale, per mezzo dei governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni. Una storia che chiama direttamente in causa la «sinistra di governo», in larga parte erede del Pci, la più determinata, la più cinica, la più arrogante, nel portare avanti la rivoluzione neoliberista.

 

Oggi, per milioni di cittadini, sinistra è sinonimo di contratti flessibili, di licenziamenti facili, di lavoro a termine, di pensione a settant’anni, di ticket sanitari, di aiuti alla scuola privata, di privatizzazioni. Quante volte abbiamo sentito dire negli ultimi anni, ed anche nella recente campagna elettorale, «la sinistra ci ha rovinato»? Sì, certo, il Pd non è più un partito di sinistra, a sinistra c’è anche chi si è opposto a tutto questo, ma, come il dato delle elezioni del 4 marzo ha dimostrato, non è bastato per riscattare l’onore della parola.

 

Eppure, se il discrimine tra destra e sinistra rimane, per dirla con Bobbio, «il diverso atteggiamento di fronte all’ideale dell’eguaglianza», come si può decretare la morte della sinistra in un paese dove l’1% più ricco dei suoi abitanti possiede una ricchezza 240 volte superiore a quella detenuta dal 20% più povero e conta 10 milioni di persone sotto la soglia di povertà?

 

La soluzione non può essere la flat tax di Salvini, né la flexsecurity di Di Maio. Due proposte di «sistema», a dispetto del racconto di chi ne è portatore. Ma l’inganno si è consumato: la gran parte di quei dieci milioni di poveri ha scelto la Lega e il M5Stelle, mentre la sinistra si divideva nello stesso recinto, per spartirsi le spoglie di un elettorato sempre più esiguo.

 

Perché tanti operai, disoccupati, casalinghe, pensionati al minimo, hanno preferito il partito della flat tax alla sinistra del welfare universalistico e dei diritti sociali? Forse perché era temperata con lo slogan «prima gli italiani»? No. Più verosimilmente, perché chi prometteva welfare e diritti non era più credibile, avendo contribuito al loro picconamento fino al giorno prima, oppure era percepito come qualcosa di estraneo al sentire popolare, nonostante il nome che portava.

 

Da un lato un’operazione grigia e politicista, dall’altro una scapigliatura, con tratti di freschezza, certo, ma appoggiata sulle «gambe anchilosate e affaticate», parafrasando Pirandello, di piccolissime formazioni residuali della sinistra radicale, comunque accomunate, nell’immaginario collettivo, al resto della «sinistra che ci ha rovinato».

 

È il caso italiano, che è diverso da quello di altri paesi europei. In Grecia e Portogallo la sinistra è al governo, in Francia e Spagna ha percentuali a doppia cifra, come in Irlanda, mentre il nuovo Labour inglese potrebbe addirittura vincere le prossime elezioni politiche. Pur con differenze significative tra Est ed Ovest, la sinistra è viva ed influente in Germania, resiste in alcuni Paesi dell’ex blocco socialista.

 

Parliamo di sinistra d’alternativa, affermatasi sull’onda della crisi economica e delle socialdemocrazie, che ha saputo interpretare il malessere di larghi strati della popolazione, impedendo che lo stesso defluisse tutto a destra, verso lidi populisti, xenofobi, neofascisti.

 

Sinistre popolari, capaci di fare politica, in un momento storico difficile, dove il tema all’ordine del giorno non è il socialismo, ma la ricostruzione delle reti di protezione sociale e degli spazi di democrazia che la rivoluzione conservatrice ha distrutto in questi anni. Il tempo è quello di conquistare «fortezze e casematte», non quello di assaltare il Palazzo d’Inverno. Di raccordare lotte sociali e rappresentanza istituzionale, di avviare poche e significative campagne su temi di maggiore impatto sociale (lavoro, sanità, pensioni).

 

Manca un tassello, però. Il punto da cui ripartire. Le urne sono state spietate con le due principali proposte in campo. Con un paradosso: Leu ha eletto un pugno di parlamentari ma non esiste come soggetto politico; Potere al Popolo non ha eletto parlamentari, ma esprime, a suo modo, maggiore vitalità. Non è da queste due debolezze, in ogni caso, che si può ripartire, ma entrambe (penso più alla base, agli elettori, che ai leader) potrebbero essere parte di un progetto più ampio, che non potrà nascere sedendosi a tavolino, ma sparigliando, dal di fuori.

22.03.2018

 

Da tempo ci occupiamo a vario titolo della tortura praticata in Italia e delle risposte offerte dallo Stato e perciò crediamo che Enrico Zucca, nel suo intervento di ieri a un convegno a Genova, abbia espresso una verità che ci trova pienamente concordi.

 

La risposta delle istituzioni alle torture compiute su decine e decine di persone nelle giornate del G8 di Genova del 2001 è stata gravemente inadeguata e ha tradito largamente lo spirito e la lettera delle sentenze di condanna contro l’Italia inflitte dalla Corte europea per i diritti umani per i casi Diaz e Bolzaneto.

 

Sono state disattese sia le indicazioni sulle misure necessarie a prevenire nuovi abusi (vedi la contorta e inapplicabile legge dell’estate scorsa e la mancata introduzione dei codici di riconoscimento sulle divise), sia le prescrizioni circa la necessaria rimozione dei funzionari condannati in via definitiva (abbiamo invece avuto protezioni, promozioni, inopinati ritorni al vertice). Solo rispettando simili indicazioni è possibile tutelare la dignità e credibilità delle forze di polizia, sia sul piano interno sia su quello internazionale. Enrico Zucca ha detto una semplice quanto sacrosanta verità, che sottoscriviamo".

Noi stiamo aderendo, ognuno può farlo inviando una mail a 

appellozucca@altreconomia.it

22.03.2018 

 

Benoit Ducos, in foto, rischia 5 anni di galera. 

La vicenda risale a sabato 10 marzo, quando la guida alpina e volontario dell’associazione francese Refuge solidaire, Benoît Ducos, ha soccorso quattro membri di una famiglia nigeriana al confine tra Italia e Francia, persi a circa 1.900 metri d’altezza nel dipartimento di Hautes-Alpes, tra il Monginevro e Claviere. Oltre al padre e ai due figli (di due e quattro anni), a compiere la traversata alpina c’era anche la mamma incinta di 8 mesi. L’intera famiglia rischiava di morire assiderata.

 

Cosa ci faceva lì una famiglia nigeriana? Purtroppo, dopo che i tentativi sul versante costiero, a Ventimiglia, sono stati quasi del tutto bloccati, da tempo i migranti cercano di passare in Francia attraverso i valichi di montagna, partendo dalla zona di Bardonecchia.

Dall’altra parte del confine, quello francese, esiste da un anno a Briançon un centro di accoglienza privato, che il governo di Parigi ha cercato di far chiudere a più riprese. Succede allora, che i migranti raggiungano l’ultimo paese italiano prima del confine, Claviere, in bus oppure accompagnati da passeur. Una volta al confine, si incamminano lungo le piste da sci che portano al di là del confine.

 

La guida alpina, dunque, individuata la famiglia nigeriana sulla neve e accortosi, insieme a un altro volontario, della situazione disperata della donna che non riusciva più a camminare per le doglie, ha deciso di accompagnare la famiglia in macchina in un ospedale di Briançon per le cure necessarie e il parto.

Come ha raccontato lo stesso Ducos al giornale Libération, la Gendarmerie, alle porte di Briançon, ha bloccato l’auto con a bordo la famiglia e ha contestato la mancanza di documenti: Ducos implorava invano i poliziotti di poter raggiungere un posto sicuro per il parto, ottenendo solo un fermo diniego. Intanto la donna cominciava ad avere dolori più forti e da lì a poco partoriva.


In che mondo, precisamente, viviamo?

22.03.2018

 

 

Il 16 marzo scorso il tribunale di Milano ha decretato il fallimento della società di proprietà dell’imprenditore pugliese Piccinno, radicata con il marchio Trony, in Basilicata, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia e Veneto. La Filcams aveva dichiarato poco credibile il piano industriale presentato nel 2017, che vedeva la nascita di una nuova società denominata Vertex e che avrebbe dovuto rilanciare, oltre alla rete di vendita, anche il mercato dell’online.



In Veneto ieri è scattata la protesta con un presidio davanti al palazzo Grandi stazioni di Venezia, nei pressi della stazione ferroviaria di Santa Lucia. I lavoratori veneti che rischiano il licenziamento sono 250 nei negozi di Conselve, Albignasego, Sarmeola di Rubano (provincia di Padova), Zero Branco (Treviso), Verona, S. Maria di Sala nel veneziano.

 

Grande tensione anche in Piemonte, dove dopo i casi di Embraco (500 addetti), l’ex Seat Pagine Gialle (400), e Carlson Wagonlit (50), cento persone rischiano di perdere il posto di lavoro a Chivasso, Settimo Torinese, Cuneo e Alessandria. A Torino il punto vendita aveva già chiuso alcuni mesi fa. Ai 100 lavoratori piemontesi è arrivato solo un avviso su Whatsapp: «la sede è chiusa, non presentatevi in negozio».

 

"Purtroppo - per il sindacato -, la conferma è arrivata quando l’imprenditore è stato costretto a chiedere il concordato preventivo in bianco, neanche sei mesi dopo aver annunciato il rilancio. In queste ultime settimane, i referenti aziendali hanno continuato a tranquillizzare le lavoratrici e i lavoratori sul futuro, ma, probabilmente, neanche il tribunale ha creduto alle prospettive di Dps e il concordato con continuazione di attività non è stato concesso. Poi è arrivata la doccia fredda e 500 persone perderanno il lavoro: l’ultima speranza è che ci sia il tanto atteso intervento di terzi, che acquisiscano la rete vendita", dichiara in un comunicato.



Il sindacato di categoria denuncia la mancanza di strumenti a sostegno del settore: “La riforma degli ammortizzatori sociali lascia lavoratrici e lavoratori senza strumenti adeguati”, rileva la sigla del commercio e turismo della Cgil. L’epilogo della Dps Trony "è sicuramente da addebitare all'incapacità imprenditoriale di guardare con maggior lungimiranza al futuro e al saper far fronte alle trasformazioni investendo e innovando, ma è altrettanto vero che, nel cavalcare il cambiamento, la politica ha prestato attenzioni esclusivamente alle evoluzioni dell’online, senza però individuare strumenti che avrebbero dovuto accompagnare il cambiamento, per governare il settore e non far ricadere tutto sul mercato del lavoro”.


Per questo, sarà richiesto immediatamente un incontro al ministero dello Sviluppo economico: “È indispensabile – conclude la Filcams – un ammortizzatore sociale che attutisca l’impatto occupazionale e consenta alle lavoratrici e ai lavoratori di poter cogliere l’opportunità di essere ceduti a terzi”.

 

21.03.2018

di Sergio Cararo

 

Sabato prossimo a Bologna, la Piattaforma Eurostop discuterà intorno a due proposte di legge che possono determinare l’agenda politica dei prossimi mesi.

 

La prima è la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare che chiede le “Modifiche agli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, concernenti l’equilibrio di bilancio (il principio del “pareggio di bilancio”), al fine di salvaguardare i diritti fondamentali della persona”, più nota come proposta per abrogare la formulazione dell’art.81 nella Costituzione imposta nel 2012 dal governo Monti/Fornero su diktat della lettera della Bce di Draghi e Trichet dell’agosto 2011.

 

La seconda è la “Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per l’indizione di un referendum di indirizzo sull’uscita dell’Italia dall’Unione Europea”. In pratica chiede una legge che consenta un referendum sulla prosecuzione o meno dell’adesione dell’Italia ai Trattati dell’Unione Europea, inclusi i più recenti come il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla  governance nell’Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) e il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES).

 

Per entrambe le leggi servono almeno 50.000 firme per essere consegnate al Parlamento e richiederne la discussione – possibilmente anche l’approvazione – in aula. Il dato interessante è che le leggi di iniziativa popolare, una volta spesso lasciate marcire negli archivi della Camera o del Senato, adesso vanno obbligatoriamente discusse entro tre mesi.

 

Sulla prima proposta, già depositata in Cassazione il 4 dicembre del 2017 in occasione dell’anniversario della vittoria sul referendum controcostituzionale, si è costituita un’ampia coalizione di forze politiche, sociali, sindacali e di giuristi che ha avviato la raccolta di firme. In realtà ancora poche. In mezzo c’è stata la campagna elettorale e, da quanto sembra, solo Potere al Popolo ha avuto la sensibilità e la coerenza di raccogliere le firme nei mesi scorsi, spesso insieme alla Legge di iniziativa popolare contro la Buona Scuola. La tematica della campagna sull’art.81 è apparentemente ostica e di non facile comprensione per i non addetti ai lavori. Ma era così anche per il referendum sulla controriforma costituzionale di Renzi, solo l’aver declinato la campagna sul NO sociale, ha consentito di estendere la mobilitazione e il coinvolgimento popolare che ha sconfitto il disegno reazionario del governo il 4 dicembre del 2016.

 

La seconda proposta di legge, quella per il referendum sull’Unione Europea, verrà discussa sabato a Bologna e presentata nelle prossime settimane in Cassazione – al momento solo da Eurostop ma il fronte potrebbe allargarsi– e da quel momento ci saranno sei mesi per la raccolta delle 50mila firme.

 

Questa proposta di legge indubbiamente più chiara e diretta, per ora incontra riluttanze ed entusiasmi. Riluttanze nella “sinistra” e tra molti costituzionalisti, entusiasmi in realtà sociali/sindacali e in settori politici che hanno ormai maturato l’idea che sulla rottura con l’Unione Europea si possa seriamente costruire un movimento popolare, di classe e democratico capace declinare questa battaglia con un segno fortemente progressista e internazionalista.

 

Diversi costituzionalisti sostengono che questa proposta di legge abbia un obiettivo non raggiungibile. I paletti della Costituzione – l’art.75 – negano infatti che in materia di trattati internazionali e leggi di bilancio si possano fare i referendum. I promotori della legge di iniziativa popolare, tra cui Franco Russo che l’ha materialmente redatta, si fanno invece forza della mutata situazione politica, della legge esistente e del precedente del referendum del 1989 sull’affidamento di poteri costituenti al Parlamento Europeo: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1989/04/24/089A1761/sg

 

Probabilmente i legislatori del 1989, ritenevano che l’euroentusiasmo della società italiana potesse essere perpetuo e inamovibile e non calcolarono gli effetti futuri di quella legge. In effetti quel referendum del 1989 fu un plebiscito europeista sostenuto da tutti i partiti presenti in Parlamento, un po’ come le leggi del governo Monti su cui oggi si piange e ci si straccia i capelli dopo averle votate nel 2012.

 

Ma i tempi cambiano e la realtà chiarisce come stanno le cose. Di fronte a 25 anni di tagli, austerity, privatizzazioni, liquidazione dei diritti sociali e dei lavoratori imposti dal “vincolo esterno” – i trattati dell’Unione Europea – una parte crescente della società italiana ha cominciato a fare il calcolo tra costi e benefici dell’adesione all’Eurozona e all’Unione Europea, ed è arrivata alla conclusione che il costo sociale è diventato insopportabile. A favore di questa battaglia intorno alla proposta di legge che consenta il referendum sull’uscita dall’Unione Europea, giocano dunque due fattori:

 

  • L’aumento di tutti gli indicatori del disagio sociale (povertà, diminuzione della salute, boom dei working poors, diminuzione delle aspettative di vita e delle aspettative generali della società). E’ evidente come la principale causa di questo imbarbarimento delle condizioni sociali siano i diktat economici e di bilancio imposti dall’Unione Europea. Ma anche sul piano della sovranità democratica si assiste ormai al ricatto e all’ingerenza continua del cosiddetto “pilota automatico” europeo sulle scelte interne del paese, della sua vita democratica e sociale.
  • In secondo luogo, a meno che non si torni al voto, per i prossimi mesi e per la prima volta, alla Camera e al Senato non c’è più una maggioranza blindata “europeista”. E’ uno spazio di manovra interessante. E lo è anche, perché portare in Parlamento una legge che chiede esplicitamente che si possa fare un referendum sull’adesione all’Unione Europea, metterebbe le due forze che hanno vinto le elezioni (M5S e Lega) di fronte a se stesse e alle loro contraddizioni.

 

Si apre dunque una sfida interessante e a tutto campo. Di questo si discuterà sabato 24 marzo a Bologna e su questo la Piattaforma Eurostop intende discutere anche dentro Potere al Popolo, cercando di arrivare ad una azione condivisa ovunque sia possibile.

20.03.2018

Maurizio Acerbo

 

Oggi  Podemos e France Insoumise di J.L.Melenchon hanno lanciato una campagna europea contro i paradisi fiscali e l’evasione dei super-ricchi é una campagna che condividiamo fortemente e a cui come Rifondazione Comunista-Sinistra Europea condividiamo e aderiamo.

 

Ci impegniamo quindi a portare avanti iniziative comuni in Parlamento europeo e a promuovere iniziative in Italia coinvolgendo tutte le realtà sociali e politiche che condividono la campagna.

 

 L’evasione fiscale di super-ricchi e grande capitale è uno scandalo che le istituzioni dell’Unione europea, e in particolare la Commissione europea di Juncker, hanno dimostrato di non prendere sul serio. Al contrario, le loro iniziative e misure vanno nella direzione di proteggere i truffatori e i paradisi fiscali. Ad esempio, la cosiddetta lista nera europea dei paradisi fiscali, che è diventata piuttosto una lista per riciclare molti paradisi fiscali.

 

Un’efficace politica europea di lotta all’evasione fiscale consentirebbe di contrastare crescita disuguaglianze, finanziare misure sociali e ecologiche, rilanciare occupazione.

19 mar 2018

COMUNICATO STAMPA

 

Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dichiara:

 

«Il sequestro della nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms e le accuse ai cooperanti, “rei” di aver salvato delle vite umane, è il risultato aberrante della campagna contro le Ong del M5S che ha affiancato Salvini e Meloni nella demagogia contro gli sbarchi. Criminalizzare i volontari che salvano i migranti è un’operazione che nulla a che vedere con la sicurezza, ma solo con l’isteria xenofoba. Siamo all’apoteosi della disumanità: coi migranti che muoiono di fame una volta sbarcati e i magistrati che trattano da delinquenti chi cerca di salvarli.

 

La nostra solidarietà alla nave e agli operatori del progetto spagnolo e a tutte le Ong che ogni giorno fanno quello che i nostri governi hanno scelto di non fare: salvare vite umane».

Marco Boccitto

 

Rio. Consigliera comunale della sinistra, leader «negra» e femminista, denunciava i crimini della polizia nelle favelas. Ondata di sdegno e di manifestazioni in tutto il Paese.

 

Un’esecuzione in piena regola, nello stile che lei non aveva esitato a definire da «squadroni della morte», nelle sue più recenti denunce sui metodi utilizzati dalle forze di sicurezza, in particolare dalla polizia militare, per «ammazzare i nostri giovani» nelle favelas.

 

È morta così anche Marielle Franco, 38 anni, figura pubblica molto stimata a sinistra, popolare nelle strade come nelle reti sociali. Quattro pallottole l’hanno raggiunta alla testa in pieno centro a Rio de Janeiro. I sicari hanno sparato da un’auto che si è affiancata a quella su cui viaggiava la donna, mercoledì notte, uccidendo anche un accompagnatore che era alla guida e ferendo una terza persona, una giornalista, che si trovava sui sedili posteriori.

 

MARIELLE TORNAVA A CASA dopo aver partecipato a una delle tante iniziative a cui non ha mai fatto mancare il suo sostegno. Al fianco in questo caso delle mulheres negras, donne nere e arrabbiate come lei, perché discriminate due volte nella società brasiliana. Nel 2016 era stata eletta vereadora nel consiglio comunale della metropoli carioca. Candidata nelle liste del Partito socialismo e libertà (Psol), il suo è risultato il quinto nome più votato di tutta Rio, con oltre 46 mila preferenze.

 

Sembrava essere il naturale sbocco di una vita iniziata nel Complexo da Maré, durissima favela della Zona Norte, e continuata sempre dalla parte dei poveracci, delle vittime di abusi in senso lato. Sociologa di formazione, attivissima sul fronte dei diritti, le questioni di genere, la lotta alle storture economico-razziali, le brutali disuguaglianze sociali che affliggono il Brasile e in particolare questo Brasile, tornato a destra sui binari delle vecchie oligarchie; con un presidente de facto e plurinquisito come Michel Temer che all’aumento della violenza nelle favelas ha da poco risposto con altra violenza, affidando all’esercito il controllo della città e la supervisione delle operazioni di polizia nelle zone più disgraziate.

 

L’OMICIDIO ha suscitato un’impressione tremenda e un’ondata di mobilitazioni in tutto il Paese. L’ex presidente Lula lo ha definito «abominevole» e ha chiesto «che il governo di Rio e le forze armate rendano conto alla società, trovando i colpevoli. Se è stata la polizia, sarà ancora più facile».

Mentre la notizia iniziava a diffondersi in tutto il mondo anche la sezione brasiliana dell’Onu rendeva omaggio a Marielle («una delle principali voci in difesa dei diritti umani») e Amnesty International chiedeva «un’inchiesta immediata e rigorosa». Secondo Glauber Rocha, deputato federale del Psol, «tutto indica che si tratta di un’esecuzione mirata». Dal lato opposto non è mancato all’appello lo sdegno di circostanza di Temer («inammissibile attentato alla democrazia e allo stato di diritto») e di alcuni membri del governo.

«Quanti altri devono morire prima che finisca questa guerra?»L'ultimo tweet di Marielle Franco

 

IL FERETRO DI MARIELLE FRANCO ieri ha attraversato le strade di Rio tra lacrime, pugni chiusi e slogan. Fendendo una folla commossa e infuriata che si era radunata di fronte a Cinelândia è stato portato nel Salone d’onore del municipio carioca, dove nel pomeriggio è iniziata la veglia funebre. Alla stessa ora manifestazioni si sono svolte a Sãn Paolo, Belo Horizonte, Florianópolis, Natal, Recife, Curitiba… Da sud a nord, è una vibrazione collettiva che sta unendo chi confidava anche in una figura come quella della consigliera municipale assassinata per riportare la sinistra brasiliana in condizioni di riprendere (e possibilmente perfezionare) il cammino intrapreso con Lula.

 

IL GIORNO PRIMA di essere uccisa Marielle aveva dedicato l’ultimo tweet a un ragazzo di 17 anni, ennesima vittima della guerra che insanguina gli scorci meno poetici della cidade maravilhosa: «Ancora un omicidio che potrebbe entrare nel conto di quelli compiuti dalla polizia militare – scriveva -. Matheus Melo stava uscendo dalla chiesa. Quanti altri devono morire prima che finisca questa guerra?».

 

16.03.2018

 

Potere al Popolo porta in tv la voce dei milioni di lavoratori che hanno subito sulla loro pelle gli effetti di una delle leggi peggiori della storia della Repubblica!

 

Aumento dell'età pensionabile, aumento dell'orario di lavoro nell'arco della vita, impoverimento diffuso: ecco cosa significa legge Fornero!


FACCIAMO GIRARE!

 

Scontro epico, stamattina, dagli schermi de La7.  Gli spettatori hanno avuto – e avranno, rivedendo le immagini, che Pd, Forza Italia, “un medico”, una ex “sindacalista” come la Polverini, al massimo sufferiscono di “apportare qualche piccola modifica” a una delle leggi più infami che – come la “tassa sul macinato” – mira a riempire le casse dello stato affamando gli strati più deboli della popolazione: i lavoratori dipendenti.

Uno contro tutti, Cremaschi dimostra che soltanto una forza indipendente, sganciata dalle vecchie liturgie politiciste proprie anche della antica “sinistra radicale”, può davvero rappresentare l’alternativa.

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